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Semi recalcitranti e semi ortodossi

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Dedico questo post a Paolo Nori che sembrava che stesse per morire, come un seme recacitrante nel frigo, e invece è ancora qui, forte e coriaceo come un seme ortodosso. Tanti auguri di ottima ripresa, caro Paolo.

Mi sembra di vederlo il seme che recalcitra, si difende, quasi quasi scalcia. Di finire surgelato non ha alcuna intenzione. Non come i suoi fratelli ortodossi, normali, bene educati, che non fanno le bizze prima di entrare nel congelatore.

Coi semi surgelati pensavamo di avere risolto il problema. Il numero di piante diverse sulla Terra continua a diminuire, ma se conserviamo i semi come gioielli, nei caveaux della Global Svalbard Seed Vault, in Norvegia, o della Millenium Seed Bank di Kew Gardens, siamo a posto, pensavamo.

Non avevamo fatto i conti con i semi che detestano finire sotto zero. Non è che sono poi tanti, questi semi freddolosi: i semi di tre angiosperme su quattro in freezer non fanno storie e i botanici li chiamano per questo ortodossi. I semi ortodossi si possono infatti raccogliere nel loro habitat, mettere in un ambiente molto artificiale come un congelatore, e scongelare a volte anche un secolo dopo.
 
La maggior parte dei semi ortodossi non dà alcun segno di vita neppure a temperatura ambiente. Non crescono, non consumano energia, non si riproducono. Si possono ordinare su Internet o tenere sullo scaffale di un negozio per qualche anno. Eppure, per quanto resistano alle temperature estreme e al secco, per quanto sian forti come rocce, sono pur sempre vivi.
 
Sopravvivono al congelamento in uno stato di animazione sospesa. È uno stato semplice e economico da ottenere, e ci permette di guadagnare tempo per reintrodurre eventualmente le piante più tardi, facendo germogliare i semi in caso di bisogno. Non funziona però con tutte le specie.
 
I semi recalcitranti sono delicati. Sopravvivono bene nel loro “brodo”, l’ambiente naturale in cui si sono evoluti, ma non a lungo, e sopportano male le grandi escursioni di temperatura e umidità. Da questo punto di vista sono molto più simili a noi umani, intolleranti verso i grandi stress, che non ai “fratelli” ortodossi.
 
I semi che recalcitrano infastidiscono i botanici e gli agricoltori che li vorrebbero conservare, e da questo fastidio soltanto umano viene il nome, bellissimo, di queste sementi che comprendono l’avocado, il cacao, il mango, ma anche la quercia.
 
Semi recalcitranti di cacao (da Wikipedia)
 
Il guaio è il ghiaccio. Gli organismi biologici, umani compresi, contengono molta acqua, e così i semi recalcitranti. Se l’acqua si ghiaccia, a parte rare eccezioni, si muore.
 
C’è però una soluzione: evitare che nei tessuti si formino i cristalli di ghiaccio, e questo si può fare tramite la preservazione in azoto liquido. Il segreto di mettere le cellule o i tessuti in azoto liquido non è tanto la temperatura bassissima a cui si scende (per le piante fino a -130°C circa), ma la rapidità con cui la temperatura precipita, che fa sì che i tessuti non formino ghiaccio e quindi non si danneggino.
 
Il metodo non è nuovo. Lo si usa da anni per la crioconservazione di embrioni, cellule uovo, spermatozoi e altri tessuti animali. La novità è che per le piante dai semi delicati si possono applicare sostanzialmente gli stessi principi.
 
Non potremmo mantenere le piante vive in parchi e riserve anziché conservare i semi al freddo? Per crescerle ci vorrebbe tantissima terra in ogni parte del mondo, date le differenze di habitat. Occorrerebbe la disponibilità ad assumersi questo compito di chi possiede le terre, e dello Stato che le ospita. E poi, una o due piante “reliquie” non basterebbero mai a mantenere la varietà genetica di una specie: ce ne vorrebbe un esercito. Coi semi congelati si ottiene lo stesso scopo più facilmente e in economia.
 
C’è chi parla di conservare soltanto il DNA delle piante, ma il DNA non è vivo, è soltanto una molecola in cui è conservata l’informazione genetica. Come non si può riesumare un dinosauro dall’eventuale materiale genetico (ammesso che da un fossile così antico lo si possa recuperare, e non è il caso), così non si può neppure crescere una pianta a partire dal DNA isolato. Ci vuole il seme.
 
Ci vuole proprio il seme, come cantava Sergio Endrigo. Il seme del resto è un imballaggio ideale per il DNA. Dentro il suo involucro il materiale genetico si conserva meglio che isolato, costa meno, e dal seme si può rigenerare rapidamente la pianta. Il seme poi offre molte informazioni in più rispetto alla molecola di acido nucleico: i costituenti chimici, le condizioni in cui preferisce germogliare e così via.

La diversità delle piante è sotto pressione. L’agricoltura mantiene soltanto le varietà che hanno qualche valore commerciale; i cambiamenti climatici modificano le condizioni ambientali; sfamare oltre 7 miliardi di persone è un’impresa che richiede sempre più raccolto. Se impareremo a conservare anche i semi più riluttanti, e a conoscere le ragioni biologiche ed evolutive di tanta ritrosia al freddo, allora potremo mantenere la diversità dei vegetali e fare così un abbondante regalo a chi ha fame.
 
Ho trovato gran parte delle informazioni per questo post nell’articolo di Christina Walters e colleghi, “Preservation of Recalcitrant Seeds”, pubblicato su Science il 22 febbraio 2013, e in questo Podcast (dal minuto 22:05), pubblicato sul sito di Science. Christina Walters dirige la Plant Germplasm Preservation Research Unit presso l’area di ricerca di Fort Collins in Colorado, dell’Agricultural Research Service del Ministero dell’Agricoltura americano. L’immagine con il seme di avocado, in apertura, è tratta dall’archivio Shutterstock, mentre la foto dei semi di cacao viene da Wikipedia.

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