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Si può leggere il DNA del Faraone?

C'è chi sostiene di avere letto il DNA di Tutankhamon e chi dice che è impossibile perché il genoma delle mummie sarebbe talmente degradato da essere illeggibile. La battaglia è aperta, almeno fino al prossimo sequenziamento con tecniche ancora più potenti.
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Gli scettici non ci credono. Il DNA delle mummie egizie è a detta di molti irrecuperabile, dal momento che la doppia elica nel tempo si spezza in tanti piccoli frammenti, a una velocità che aumenta con la temperatura, e in Egitto fa molto caldo. La PCR, la reazione che a partire da una traccia anche molto esigua di DNA permette di ottenerne una quantità sufficiente per leggerne la sequenza, non funziona su frammenti troppo corti. A complicare le cose, la PCR è molto sensibile alla presenza di DNA contaminante. Se il materiale genetico della mummia è mischiato ad altro DNA, proveniente per esempio dalle mani degli archeologi che vi hanno armeggiato, la PCR creerà più copie genetiche del DNA più moderno e meglio conservato, a scapito dei pezzi rotti e degradati del DNA antico.

Immaginate quanto DNA estraneo può essersi accumulato in una mummia, in tre millenni di riposo all’interno di una tomba e in qualche secolo di scavi, trasporti, studi. In effetti Svante Pääbo, il ricercatore che più di ogni altro ha aperto la strada all’esplorazione della storia genetica umana antica, negli anni Ottanta aveva annunciato di aver isolato un frammento genetico di una mummia di 2400 anni d’età, ma il DNA si rivelò essere una contaminazione.
 
C’è però chi ritiene che dal DNA delle mummie si possano recuperare e leggere le sequenze. Carsten Pusch, genetista dell’Università di Tubinga, e Albert Zink, direttore dell’Istituto EURAC per le Mummie e l’Iceman di Bolzano, hanno concluso nel 2010 l’analisi del DNA della mummia di Tutankhamon, e di altre 10 mummie di suoi familiari, pubblicando i risultati sul Journal of the American Medical Association. Lo studio, di cui si era già parlato nell’Aula di scienze, ha provato a chiarire non solo le relazioni di parentela fra le mummie, ma anche le malattie, fra cui la malaria e la tubercolosi, di cui probabilmente soffrivano gli antichi egizi, faraoni compresi. 

Come il royal wedding, il primo studio sul DNA reale ha meritato una troupe televisiva dedicata. Diretto da Zahi Hawass, il "comandante supremo" dell’archeologia egiziana, lo studio ha richiesto il coinvolgimento di due esperti del calibro di Pusch e Zink e la costruzione di due laboratori dedicati al Cairo, finanziata in parte da Discovery Channel che ne ha ricavato questo documentario:

A un anno di distanza dalla pubblicazione, la controversia fra scettici e credenti è più accesa che mai. Gli studi sulle mummie egizie sono i più dibattuti fra le analisi del DNA umano antico, per diverse ragioni. Innanzitutto, per il clamore e la curiosità che suscitano nei media e nel pubblico. Ma ci sono anche problemi logistici e tecnici. La possibilità di prelevare campioni di mummie da studiare è severamente limitato dalle autorità egiziane e tutte le analisi vanno eseguite in Egitto; in queste condizioni ripetere gli esperimenti in più di un laboratorio indipendente è difficilmente fattibile. Inoltre il DNA umano moderno è una contaminante comune, sostanzialmente indistinguibile da quello delle mummie, visto che i due patrimoni genetici non si sono differenziati a sufficienza in soli tre millenni. Infine, stiamo parlando del DNA dei faraoni: c’è persino chi teme che un domani qualcuno, armato del confronto con la propria sequenza genetica, rivendichi il potere in nome di una discendenza faraonica.
 
Follie di grandeur a parte, in questa ricerca ci sono vari elementi convincenti. Il più rilevante è che nelle mummie di genere femminile non sono stati trovati pezzi del cromosoma Y: se il DNA fosse stato contaminato dal materiale genetico degli archeologi, di solito maschi, questa componente sarebbe dovuta apparire. Inoltre i campioni sono stati prelevati dalle ossa delle mummie, dove è più difficile che penetri il DNA contaminante, e gli esperimenti sono stati ripetuti da due gruppi diversi nei due laboratori.
 
Per ora gli scettici restano scettici e i credenti, credenti. La controversia potrebbe però risolversi a breve, visto che i sequenziatori di nuova generazione sono in grado di ricostruire interi genomi a partire da campioni anche molto frammentati come quelli delle mummie. Grazie a queste tecniche lo scorso anno il gruppo di Pääbo ha sequenziato il genoma di un uomo di Neandertal ritrovato in Siberia e il genoma di Ötzi è prossimo alla pubblicazione da parte di Zink e Pusch. Ma gli scettici dicono che questi reperti, a differenza delle mummie, si sono conservati al freddo: al caldo il DNA è necessariamente degradato. E se il processo di mummificazione, rimuovendo l’acqua, avesse almeno in parte bloccato la degradazione del DNA? La controversia continua. Almeno fino alla prossima puntata.
 
Ho tratto gran parte delle informazioni raccolte in questo post dall’articolo di Jo Marchant, Curse of the Pharaoh’s DNA, pubblicato su Nature il 28 aprile 2011. L’immagine della maschera di Tutankhamon è tratta da Wikipedia.

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