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Siamo nati per camminare

Corsa, attività sportiva, ma anche una semplice camminata. Ecco con quali meccanismi l’attività fisica migliora la salute e ci aiuta a prevenire le malattie

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Per gran parte dei circa duecentomila anni della nostra storia evolutiva, Homo sapiens ha allungato e rafforzato i propri muscoli magari non per andare alle Olimpiadi. Inconsapevolmente i nostri antenati si allenavano cercavando e trasportando cibo, scappando da predatori ed evitando altre minacce. Chi oggi si ispira alle abitudini quanto meno motorie dei nostri progenitori vive più a lungo. Tenere un passo vigoroso per un’oretta circa al giorno regala mediamente quasi cinque anni di vita in più rispetto a chi non fa un esercizio equivalente. Il movimento del corpo è una parte fondante e centrale della fisiologia umana: rafforza il sistema immunitario e scoraggia malattie croniche come il cancro, le patologie cardiovascolari, le malattie infiammatorie dell’intestino, l’asma e il diabete di tipo 2.

Con quali meccanismi il movimento esercita i propri effetti salutari sulle cellule? Gli studi molecolari sono ancora agli albori, ma sembra che ogni esercizio fisico stimoli un vasto intrico di processi molecolari che persistono anche dopo che l’attività è cessata. Alcuni di questi processi tengono a bada l’infiammazione, mentre altri aumentano le attività di riparazione e manutenzione cellulare. Ancora altri segnali, liberati durante gli esercizi, sembrano far comunicare i muscoli con il sistema immunitario e quello cardiovascolare, e il fegato con il cervello. La giornalista scientifica Gemma Conroy ha spiegato a maggio 2024, sulla rivista Nature, alcuni degli effetti dello sport scoperti a livello cellulare e molecolare. (Per le scienziate e gli scienziati citati nel suo articolo, oltre alle scoperte, ha enumerato anche le abitudini sportive). Ecco qui una sintesi dell’articolo.

Quale atleta non conosce il dolore provocato dall’acido lattico secreto dai muscoli, dopo un esercizio intenso? Si tratta di una delle prime molecole scoperte, in relazione al movimento del corpo, attorno al 1910. Fred Ransom, farmacologo all’Università di Cambridge, aveva trovato che le cellule dei muscoli scheletrici liberano, appunto, acido lattico quando bruciano glucosio. Il composto è trasformato in molecole energetiche analoghe al combustibile che usiamo per far viaggiare le auto o scaldare le case. Più tardi, attorno agli anni Sessanta, alcuni scienziati avevano intuito che l’esercizio muscolare contribuisse alla regolazione della concentrazione di glucosio nel sangue.

Cosa si trova nel sangue dei maratoneti, prima e dopo una corsa competitiva? Bente Klarlund Pedersen e colleghi, all’Università di Copenhagen, ne hanno raccolto campioni a cavallo del cambio di secolo, quando stava cominciando la rivoluzione genomica. In quel sangue hanno trovato una serie di citochine la cui concentrazione aumentava immediatamente dopo l’esercizio fisico. Alcune di queste molecole erano ancora a livelli elevati dopo quattro ore dagli sforzi e a volte anche più tardi. L’interleuchina 6 (IL-6), già nota per essere coinvolta nelle attività di difesa dell’organismo, era tra quelle che avevano attirato subito l’attenzione. Un’attività sportiva intensa che dura diverse ore, come correre o andare in bicicletta, coinvolge grandi muscoli e produce notevoli quantità di IL-6.

Occorreva dare un nome alle citochine prodotte in seguito ad attività sportive e la scelta è caduta sul termine “exerchine”. Si tratta di proteine che, a seconda delle circostanze, possono comportarsi da Giano bifronte. Per esempio, alti livelli di IL-6 in un individuo a riposo possono provocare infiammazione e sono associati a obesità e resistenza all’insulina, uno dei sintomi del diabete di tipo 2. La stessa molecola in un organismo più attivo ha però tutt’altri effetti, stimolando a sua volta altri membri di questa famiglia di proteine, tra cui la IL-10 e la IL-1ra che riducono l’infiammazione.

L’ambivalenza di effetti sia positivi sia negativi si avverte anche a livello cellulare. L’esercizio fisico produce infatti stress ossidativo, tramite molecole come le specie reattive dell’ossigeno (ROS) che possono danneggiare le proteine, i grassi e il DNA. Tuttavia altre molecole, la cui produzione è stimolata anch’essa dall’esercizio, possono controbilanciare i danni, rafforzando le difese. Tra queste ci sono la proteina PGC-1alfa, che regola importanti geni nei muscoli scheletrici, e la proteina NRF2, che attiva enzimi con attività antiossidante. Lo stress è dunque una componente inevitabile delle attività umane: in persone non sedentarie può però rendere più forti anziché fare soltanto danni.

Circa 17.000 molecole di interesse sono emerse da analisi “omiche”, come la proteomica e la metabolomica, effettuate sul sangue di appena 36 persone tra i 40 e i 75 anni di età. I campioni erano stati prelevati nel 2020, prima, durante e dopo gli esercizi, da ricercatori del gruppo del genetista Michael Snyder alla Stanford University in California. Almeno la metà di queste molecole ha mostrato cambiamenti nella concentrazione dopo gli esercizi. Molte di queste erano coinvolte in processi legati al metabolismo, allo stress ossidativo e all’infiammazione. Analoghe analisi nei topi hanno mostrato circa 200 proteine espresse in maniera differente in una ventina di tipi di cellule, rispetto ad animali che non hanno dovuto correre sul tapis roulant. La scoperta forse più sorprendente è che le cellule coinvolte da questi cambiamenti molecolari non si trovano soltanto nei muscoli, nelle ossa e nel fegato, ma in molti altri tessuti e organi.

I risultati di queste analisi stanno mostrando che la quantità e la varietà di cellule e molecole mobilitate dalle attività fisiche è davvero notevole. Ed è chiaro che nessuno dei minuscoli attori molecolari coinvolti agisce da solo. Occorre sbrogliare la matassa, collocando ciascuna molecola e cellula in una mappa dinamica e complessiva di questi fenomeni. Il Molecular Transducers of Physical Activity Consortium (MoTrPAC) è un ampio studio sostenuto dai National Institutes of Health, il cui obiettivo è comprendere i meccanismi molecolari dell’attività fisica che possono migliorare la salute e prevenire le malattie. Lo studio ha finora coinvolto circa 2600 persone e più di 800 ratti. Sia dalle persone che fanno regolarmente o meno attività fisica, sia dai ratti che avevano completato un allenamento di circa 6 settimane sul tapis roulant, sono stati raccolti campioni di sangue e, nel caso degli animali, anche tessuti per analisi.

Nei topi le cellule del fegato liberano diversi tipi di carbossilesterasi, enzimi che fanno aumentare il metabolismo. Alcuni ricercatori del gruppo del patologo Jonathan Long, sempre a Stanford, hanno provato a modificare geneticamente alcuni topi in modo che il loro fegato esprimesse livelli più alti di carbossilesterasi. Quando hanno poi arricchito di grassi la dieta di questi topi, hanno notato che non ingrassavano e resistevano più a lungo agli sforzi.

Oltre che con le exerchine, sembra che tessuti e organi coinvolti dal movimento comunichino tra loro anche tramite la liberazione di vescicole extracellulari. Si tratta di “valigette” di dimensioni nanometriche che trasportano al loro interno oltre 300 proteine diverse. Lo ha mostrato il gruppo di Mark Febbraio, un fisiologo della Monash University di Melbourn, in Australia. I ricercatori hanno prelevato campioni di sangue dall’arteria femorale di 11 uomini prima e dopo che questi si allenassero su una cyclette per circa un’ora. Hanno quindi fatto un’analisi simile nei topi, raccogliendo le vescicole extracellulari da animali che si erano esercitati su una sorta di tapis roulant per roditori. Quindi le hanno iniettate in topi che erano stati a riposo, trovando che la maggior parte delle vescicole era finita nel fegato. Sembra che la progressione di malattie epatiche come la steatosi non alcolica possa essere rallentata dal contenuto di queste vescicole.

Dafna Bar-Sagi, una biologa cellulare della New York University, negli Stati Uniti, ha studiato con il suo gruppo gli effetti dell’attività fisica in alcuni topi affetti da tumore del pancreas. I ricercatori hanno trovato maggiori quantità di linfociti T di tipo CD8, in grado di distruggere cellule tumorali, in animali che facevano 30 minuti di esercizio aerobico 5 giorni alla settimana, rispetto a topi a riposo. Queste cellule esprimevano tra l’altro la IL-15, un’altra exerchina rilasciata dai muscoli durante l’attività fisica. Quando le cellule T CD8 si legano alla IL-15, la loro risposta immune contro il tumore è più potente, e insieme a essa aumenta la sopravvivenza. Risultati analoghi sono stati osservati anche nei pazienti.

Ma c’è chi, anche volendo, non è in grado di fare attività fisica. Pensate a persone affette da malattie croniche particolarmente gravi o a pazienti paralizzati. Da questi studi potrebbero emergere bersagli molecolari per potenziali farmaci in grado di imitare almeno qualche effetto benefico degli esercizi. Tra i composti allo studio c’è lo SLU-PP-332 sviluppato dal farmacologo Thomas Burris all’Università della Florida a Gainsville. Somministrato ai topi, il composto ha permesso agli animali di correre più intensamente e a lungo rispetto a topi non trattati. Il meccanismo d’azione sembra coinvolgere i cosiddetti recettori estrogeno-correlati. Sono proteine note per attivare vie metaboliche rilevanti in tessuti che, durante gli sforzi fisici, usano molta energia, come il cuore e i muscoli scheletrici. Topi obesi che hanno ricevuto il composto sono ingrassati meno rispetto ad animali che non lo hanno ricevuto, a parità di tipo di dieta e di quantità di esercizio.

Ci sono differenze tra i sessi negli effetti dello sport sull’organismo? La demolizione dei grassi indotta dall’attività fisica sembra essere maggiore nei maschi, mentre nelle femmine aumentano marcatori associati al mantenimento delle cellule adipose e alle vie di segnalazione dell’insulina. Altre differenze possono dipendere dall’età, dallo stato di salute e dall’etnia. Anche per questo non ci sono ricette che vanno bene per tutti e i programmi di attività fisica vanno calibrati individualmente.

Non c’è alcun dubbio che il movimento migliori lo stato di salute. Eppure il 25% circa degli adulti nel mondo non rispetta le raccomandazioni minime dell’Oms: 150-300 minuti di esercizio da moderato a intenso a settimana, equivalente a una camminata quotidiana di buon passo. In alternativa si possono fare, sempre a settimana, da 75 a 150 minuti di esercizi più vigorosi, come per esempio correre.

Quando il medico consiglia di muoversi, camminare, fare ginnastica, sta di fatto prescrivendo una serie di potenti “medicine” endogene. Si tratta infatti di composti che il nostro corpo genera da solo, a costo soltanto di un po’ di fatica, e con pochissime controindicazioni. Eppure quei consigli sono raramente ascoltati, a differenza delle più rispettate e attese ricette di farmaci. Comprendere meglio gli effetti più profondi dell’attività sportiva potrà forse aiutare anche i medici a spiegare quali effetti ci si può aspettare dall’attività fisica. E sarà più semplice far capire perché è così importante praticarla, anche per ridurre il rischio di sviluppare malattie croniche.

Per scrivere questo post ho letto l’articolo di Gemma Conroy, “How exercise Benefits your cells and overall health”, pubblicato su Nature il 2 maggio 2024. Nell’immagine di apertura (Wikipedia, Derek Jensen) bambini giocano a calcio in Indiana.
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Nella comunità Bayaka nella riserva Dzanga Sangha Ndoki, nella Repubblica Centro Africana, le abitudini di vita sono verosimilmente analoghe a quelle dei progenitori cacciatori-raccoglitori (Wikipedia).
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Una maratona a Londra nel 2005 (Wikipedia, Chris J Wood)
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Atleti paralimpici di una squadra sudafricanianel 2010 a Singapore (Wikipedia, Whyohgee Singapore 2010)