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Studiare sul reader o sui libri di carta?

I reader e i tablet sono sempre più popolari, e la tecnologia migliora, ma i risultati delle ricerche suggeriscono che per memorizzare la lettura su carta non è facile da battere.
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Avete provato a leggere qualche libro su un reader? Io sì, due volte. Il primo e-book l’ho letto nel 2010, per fare un esperimento. Ho provato con un romanzetto, di cui ricordo soltanto che l’autrice è una giovane scrittrice americana. Il nome, la trama, la storia non si sono registrati.

Dopo la prima memorabile esperienza ho fatto una pausa di lettura sul reader fino al 2013, quando ho riprovato con una biografia di Jane Goodall per ragazzi. Avevo necessità di avere il libro “fra le mani” in pochi minuti, e per soddisfare bisogni istantanei e insopprimibili i reader, e specialmente il Kindle, sono unici. Di questo secondo libro ricordo un po’ di più, forse perché la storia era più interessante o forse perché di Jane Goodall sapevo già diverse cose e la lettura ha soltanto riacceso “lampadine”. Non ho però memorizzato né il titolo, né la copertina.
 
In entrambi i casi il ricordo non ha nulla di tangibile: non solo la copertina, ma lo spessore del libro, il corpo del testo, il colore delle pagine sono aspetti talmente assenti dalla lettura digitale che non mi hanno lasciato alcuna impressione.
 
Cara Lisa, hai proprio una pessima memoria, direte voi, e forse vi sarete anche un po’ preoccupati per la mia vecchiaia. Certo, avete ragione, ma ad avere sensazioni di impermanenza da lettura digitale non sono sola. “Paper or electronic?” ha chiesto, brutale, una giornalista del New York Times a Carolyne Kennedy, quasi sapesse già la risposta. “Ho provato l’elettronica, non ricordo nulla”, ha risposto lei, tapina.
 
I nativi digitali non hanno certo i problemi di due signore diversamente giovani, penserete, e qualunque sia il mezzo su cui leggono, ricordano tutto. Ne siete proprio sicuri? Una trentina d’anni di ricerche sulla memoria che resta dopo la lettura a video ci dice che la realtà è un po’ più complicata di così. Soprattutto ci fa capire come il nostro cervello risponde in maniera diversa al testo sullo schermo rispetto alle parole su carta.
 
Una utilissima, ottima sintesi di quel che sappiamo del cervello che legge nell’era digitale si trova in un articolo che Ferris Jabr ha pubblicato su Scientific American, e sono grata a Luisa Carrada per averlo portato alla mia attenzione sul Mestiere di scrivere (un blog che consiglio a tutti, anche a chi vuole soltanto leggere e non scrivere, perché Luisa è una che fa riflettere e ragionare ben oltre la scrittura).
 
Pixel contro inchiostro: la partita è ancora ai preliminari. Dagli anni Ottanta a oggi sono stati pubblicati più di cento studi, e si può dire che ci sono stati due periodi. Negli esperimenti effettuati prima del ’92 la gente che leggeva sullo schermo lo faceva più lentamente, con meno cura e con una visione meno globale del testo rispetto alla carta. Dopo il ’92 le cose sono un po’ cambiate, anche se in maniera non uniforme: alcuni studi confermano le conclusioni precedenti, altri dicono che le attitudini alla lettura a video stanno cambiando con il miglioramento della tecnologia.
 
 
Che ci sia stato un progresso è una conclusione cui potevamo arrivare anche solo col buon senso e senza studi. Dagli anni ’90 a oggi la qualità degli schermi è migliorata in maniera radicale, e poi sono arrivati i tablet e i reader che non esistevano. Abbiate pazienza, e seguitemi ancora un po’, perché i risultati più interessanti vengono fra poco.
 
I problemi maggiori dello schermo per la lettura sono tre: manca l’esperienza tattile; si usano più risorse mentali; non si formano ricordi duraturi con altrettanta facilità che con la carta. Ma ora vediamo ciascun problema un po’ più in dettaglio.
 
Partiamo dall’esperienza tattile. In questi giorni ogni sera pregusto di riaprire A che punto è la notte, con le sue pagine gialline e l’odore un po’ stantio, da vecchio Oscar Mondadori. Non fraintendetemi, non sono affatto una feticista del libro come oggetto, che in genere maltratto. E questo in particolare non è per niente un bel libro dal punto di vista estetico. Ma la sua fisicità, il suo essere leggero e corposo a un tempo, il rumore delle pagine mentre le giro, nella mia mente si sovrappongono al delitto in cui incappa il commissario Santamaria, al superbo uso degli aggettivi di Fruttero & Lucentini, e a tante altre cose che, insieme al piacere di leggere, aiutano la creazione dei ricordi. Se stessi leggendo le stesse 600 pagine sul reader (a parte che in questo caso l’e-book non esiste), il peso, la forma, la percezione tangibile del libro sarebbero gli stessi di un articolo di una pagina.
 
Per ora nessun reader è riuscito a replicare le esperienze materiali della lettura su carta in modo soddisfacente, e anzi, l’assenza di queste percezioni fisiche, che ci aspettiamo, provocano una dissonanza per i sensi.
 
Per capire meglio come stanno le cose, conviene fare una piccola digressione e riassumere come funziona la lettura dal punto di vista cognitivo. Come hanno chiarito gli studi di Stanislas Dehaene, noi umani non siamo nati con circuiti dedicati a leggere e scrivere. Ben prima di imparare a leggere abbiamo appreso a distinguere le miriadi di forme, dritte, storte, curve, presenti in natura, e poi abbiamo adattato queste capacità alla lettura. Per il cervello il testo è dunque una serie di linee, curve, spazi, che riconosciamo, come fossero pezzi del mondo tangibile, prima ancora di associarli alle lettere e poi alle parole.
 
Ma nella lettura c’è dell’altro, oltre alle forme delle lettere. Ora pensate a una rivista. Mettiamo che ci sia un articolo che vi ha colpito sull’ultimo film con George Clooney. Se il ricordo sarà memorabile, è probabile che nella vostra testa l’articolo su George resterà ancorato alla “fotografia” mentale della pagina, di cui saprete dire se era a destra o a sinistra, quali colori c’erano, se c’erano foto, e se la carta era lucida od opaca. E saprete anche dire se l’articolo era all’inizio, in mezzo o alla fine del giornale.
 
In altre parole, memorizziamo un’informazione interessante che abbiamo letto, proprio come facciamo con un paesaggio, quando ricordiamo che un certo negozio è vicino a un bar con l’insegna rossa e a un parrucchiere che si chiama Mary.
 
La memoria poggia su indizi che non hanno nulla a che fare con ciò che ci interessa ricordare, se non il fatto che si trovano lì vicino. I libri e le riviste di carta, con la loro topografia più ricca dei testi online, ci offrono indizi importantissimi per la memoria: oltre alle pagine di destra e di sinistra, hanno un totale di otto angoli, lo spessore, il tipo di carta e così via.
 
Poi con la carta giriamo le pagine, che è un po' “come mettere un piede davanti all’altro in una passeggiata”, per dirla con Ferris Jabr. Il ritmo della lettura fisica lascia una traccia mentale di quanto ho letto e aiuta a creare una rappresentazione coerente del testo, che diventa sempre più importante via via che la memoria perde di elasticità ed efficienza.
 
Nel digitale questi appigli mancano. Sullo schermo è più difficile collocare ogni passaggio nel contesto del testo intero. E sebbene alcuni reader ricreino la paginazione, a volte anche con i numeri di pagina, lo schermo mostra sempre e solo una pagina virtuale, uguale a tutte le altre. “In un libro fisico la sensazione implicita di dove ti trovi, e dove sei arrivato, è più importante di quel che avevamo realizzato” ha detto Abigail Sellen della Microsoft research Cambridge e autrice di The Myth of Paperless Office.
 
Ora veniamo all’uso delle risorse mentali, il secondo problema cui si è accennato. Quando leggo a video ho spesso voglia di finire il prima possibile, come di fronte a un compito che drena energia, ma di rado ho la stessa sensazione su carta (a meno che il testo non sia di una noia mortale). Perché sia così non è chiaro, ma le ipotesi sono che la lettura sullo schermo è più faticosa, sia per il corpo che per la mente, e non soltanto perché la maggior parte degli schermi riflette la luce. Dipende anche dalle azioni che facciamo mentre siamo davanti a un monitor: pensate a quanto è più scomodo fare lo scroll rispetto a girare una pagina, o evidenziare un testo digitale rispetto alla fluidità di un evidenziatore o di una matita sulla carta. Poi sul video ci sono molte più distrazioni (suoni, email che arrivano) che rendono più duro lo sforzo.
 
Forse, tutta questa fatica cognitiva fa sì che sullo schermo si faccia meno attenzione: gli occhi e il cervello, un po’ stanchi, si limitano a una sorta di scansione diagonale delle parole più importanti, cercando di captare l’essenziale con il minimo sforzo possibile. E non è dunque un caso che a video di solito non si rileggono i testi più di una volta.
 
Per scappare alle mille occasioni di distrazione che offre il computer moderno e iperconnesso, la gente dice che quando vuole approfondire davvero un testo, lo legge su carta (come questi studenti di Taiwan, del Rhode Island e del Messico).
 
Che dire della memoria a lungo termine? In uno studio del 2003 Kate Garland e colleghi alla Università di Leicester hanno chiesto a 50 studenti universitari di studiare parte del materiale di un corso introduttivo di economia su un monitor o in un libretto spiralato. Dopo 20 minuti di lettura entrambi i gruppi hanno risposto a un test a scelta multipla e sono andati ugualmente bene. Ma gli studenti che hanno studiato sul monitor hanno basato le loro risposte molto più sul ricordare che sul sapere, mentre gli studenti che hanno studiato su carta avevano una comprensione più bilanciata.
 
Qual è la differenza fra ricordare e sapere? È più facile capirlo con un esempio. Prendete la tabellina del 7. Quasi tutti la conosciamo a memoria senza ricordare dove, come e quando l’abbiamo imparata. Questo significa che la tabellina del 7 fa parte del sapere, e non del ricordare, perché non è più collegata al libro, o alla lavagna, su cui l’abbiamo studiata alle elementari. Ricordare invece implica richiamare alla memoria un pezzo di informazione che è, per così dire, istigata dalle informazioni di contorno, come la pagina e il colore, quando e dove uno l’ha letta e altri dettagli. Di fatto il ricordare è una forma di memoria più debole, che in genere si affievolisce o scompare, a meno che sia convertita in una forma di memoria a lungo termine più stabile, che forma il cosiddetto sapere.
 
In un altro esperimento del 2011, al Technion Institute of Technology israeliano, un gruppo di studenti universitari ha fatto un test a risposta multipla dopo avere letto un testo a video o su carta. L’esperimento è stato fatto due volte, da due gruppi diversi, con una differenza: nel primo caso la lettura era limitata a 7 minuti, mentre nel secondo caso il testo poteva essere letto e riletto a piacere. Il primo gruppo, sotto pressione per fare in fretta, ha ottenuto risultati uguali, sia che gli studenti avessero letto a video o su carta; viceversa, gli studenti che hanno potuto leggere a piacere, dopo la lettura su carta sono andati molto meglio dei colleghi che hanno letto, per il tempo che ritenevano necessario, sul monitor.
 
Alcuni sondaggi indicano che gli schermi e i reader interferiscono con la casualità e il controllo, altri due aspetti della navigazione di un testo. A chi legge piace sfogliare, tornare indietro, saltare in avanti, ma anche sottolineare, scrivere sui margini o piegare il libro. E tutto questo a video è più difficile da fare.
 
C’è poi un senso di impermanenza: sul reader “uso” un libro, ma non sento di possederlo. Perciò utilizzo questo strumento con testi un po’ usa e getta, che so che non vorrò tenere. In effetti pare che molte persone, quando un libro elettronico gli è piaciuto molto, poi lo comprino anche di carta.
 
Vengo infine alla domanda che vi aspettate fin dall’inizio: i reader possono essere una valida alternativa ai libri di testo, o sono piuttosto un utile complemento? Questi esperimenti, insieme ai molti altri citati nell’articolo di Jabr, non danno una risposta netta, ma dicono che il dilemma è tutto tranne che risolto e fanno riflettere.
 
 
Le ricerche in corso dovrebbero imporre una pausa di riflessione anche a chi propone soluzioni frettolose su un tema dalle conseguenze che potrebbero essere ampie e notevoli, se applicate a milioni di studenti. A me vien da pensare che difficilmente ci saranno soluzioni semplici e univoche, “one fits all”. È più verosimile una pletora di possibilità diverse a seconda del tipo di testo e di materia, del tipo di schermo, delle preferenze individuali e di tante altre variabili e circostanze. Per esempio, io apprezzo molto il tablet quando viaggio, perché mi alleggerisce di diversi kili di peso, mentre lo ignoro del tutto quando sono stanziale e ho un ben più comodo e pesante computer appoggiato su un tavolo o addirittura un attraente libro di carta.
 
Se non mi rassegno al reader, finirò anch’io così?
 
Le tecnologie per la lettura digitale sono giovani, sono cambiate enormemente in pochi anni e cambieranno ancora. E le attitudini verso gli e-book muteranno forse in maniera simile a come si sono modificate le abitudini di fruizione della musica.
 
A proposito di musica, chiudo con un aneddoto su Arthur Rubinstein e la sua memoria prodigiosa. Rubinstein era un famoso pianista e nel 1966 doveva suonare il Concerto n. 1 in re minore di Brahms a New York, ma si era dimenticato lo spartito a Parigi. Dopo un giro frenetico in taxi, fra le maggiori librerie musicali di Manhattan, Rubinstein aveva preferito non acquistare un’edizione diversa dalla sua. Avrebbe suonato fidandosi della sua memoria visiva, della copia rimasta a Parigi. Quella che sulla terza pagina aveva una macchia di caffè.
 

 
Oggi a Rubinstein avrebbero offerto un reader con la riproduzione della sua pagina macchiata di caffè, scandita e inviata online da Parigi. Lasciate anche a me macchiare di caffè le pagine dei miei libri sul reader, lasciatemi sentire meglio dove sono arrivata a leggere, e prometto che ci riprovo.
 
Disclaimer: sono una lettrice “forte” e amo la tecnologia purché mi sia utile. Leggo costantemente sullo schermo articoli scientifici e non, in diverse lingue, per lavoro e per diletto. Pur non essendo una gadgettara, sono ben felice di adottare un nuovo aggeggio quando ci trovo qualcosa di utile che prima non avevo. Nel fare il cambio fra un oggetto di ieri e uno di oggi non voglio però perdere nulla di sostanziale. Sui reader avevo grandi aspettative e ho provato con entusiasmo ma finora non mi ci sono trovata a mio agio e sento di aver perso qualcosa di sostanziale rispetto alla carta. Quello che ho scritto in questo post è comunque la mia visione personale e non rispecchia necessariamente la visione della Zanichelli.
 
Per scrivere questo posto ho letto a video l’articolo di Ferris Jabr, The Reading Brain in the Digital Age, uscito sul sito di Scientific American l’11 aprile 2013. Dopo una prima lettura, faticosa e in diagonale, l’ho stampato in PDF e a quel punto l’ho fatto “mio”, evidenziandolo con un evidenziatore digitale. Volevo stamparlo ma ho sfidato me stessa e ho resistito. Nell’articolo di Jabr, liberamente accessibile online, trovate tutti i riferimenti bibliografici alle ricerche che ho citato e a molti altri esperimenti interessanti sulla lettura digitale e la memorizzazione da parte degli studenti.
Prima avevo letto, a video e senza fatica alcuna, il post di Luisa Carrada, Letture e carte topografiche, uscito il 13 aprile sul Blog del Mestiere di scrivere.
L’aneddoto su Rubinstein viene da La musica sveglia il tempo di Daniel Barenboim ed è un ricordo personale (Barenboim aveva accompagnato Rubinstein in taxi a cercare lo spartito dimenticato). Ho letto il libro su carta nel 2007, nell’edizione appena stampata da Feltrinelli, e a sei anni di distanza non ho avuto alcun problema a ripescare la citazione che ricordavo molto bene.
 
Le immagini provengono dall’archivio Shutterstock.

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