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Un democratico albergo per microbi

Una stima da rivedere: non più 10 batteri per ogni cellula del nostro corpo, ma un più democratico 1,3 a 1. La scienza procede così, a tentoni, con uno scienziato samurai che negli anni Settanta lancia la sfida e giovani epigoni che la riprendono, aiutati nel rivedere e correggere da tecnologie più potenti ed efficaci.
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Sguardi stupefatti e meravigliati ogni volta che raccontavo il prodigio: noi umani, grandi e grossi, immersi in una melassa di piccoletti che ci vedeva perdenti sui numeri. Dieci a uno vincevano i batteri contro le cellule del nostro corpo. «Una maggioranza bulgara, perché non ci hanno ancora mangiato?», recitava un incipit gradasso. La famosa statistica della cacca è sbagliata? Fine della magia? La stima risale agli anni Settanta, quando l’unico modo di calcolare quante cellule batteriche c’erano, per esempio, nell’intestino, era di contare al microscopio uno per uno i microbi in qualche grammo di feci, o di liquido intestinale. Da lì si estrapolava il totale presunto. Come? Con un calcolo da tovagliolo di carta. Niente di male a contare in questo modo. Enrico Fermi si divertiva a creare e risolvere problemi come «Quanti sono gli accordatori di pianoforte nel mondo?» o «Se tutti gli esseri umani della Terra venissero radunati in uno stesso luogo, quanto spazio occuperebbero?». Senza temere i grandi numeri, è possibile fare stime approssimate basandosi su pochi fatti essenziali, ed è anzi salutare. Bastano un tovagliolo o una busta sottratti al cestino e un cervello un po’ allenato. Chissà se Fermi si sarebbe appassionato ai microbi che alloggiano nell'alberghetto umano. In sua assenza ci ha pensato, negli anni Settanta, Thomas Luckey, un microbiologo un po’ pittoresco dell’Università del Missouri che si faceva chiamare Samurai. Considerando che ci sono circa 100 miliardi di microbi in un grammo di feci, e che in un adulto medio stazionano circa 1000 grammi di cacca, Luckey aveva concluso, nel 1972, che l’intestino dovesse contenere in media 100 trilioni di microbi.

Sir Samurai T. Luckey (foto PubMed Central)

Al rapporto 10:1 è arrivato un altro microbiologo, Dwayne Savage. Nel 1977 Savage aveva paragonato i 100 trilioni di microbi stimati da Luckey ai 10 trilioni di cellule che, secondo un libro di testo dell’epoca, intessevano il nostro corpo. Il merito di avere ricostruito la vicenda è di altri due microbiologi, Elio Schaechter e Stanley Maloy. Ora saltiamo al 2016. Ron Milo, professore al Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, con i suoi collaboratori ha fatto una cosa utile, un po’ da secchioni: è andato a rileggere tutti gli articoli che riportavano misure sperimentali del numero di cellule nei diversi tessuti umani e articoli con i numeri, sempre sperimentali, dei microbi nei campioni di feci. Vita facile, la loro. Oggi le stime possono contare sul calcolo automatico dei pezzetti di DNA batterico presenti in milioni di campioni. Con grandi potenze di calcolo e con questi dati, assai più attendibili del quasi nulla a disposizione di Luckey e Savage, Milo e colleghi sono giunti a stime un po’ più precise: 39 trilioni di batteri contro 30 trilioni di cellule. Col microbioma, dicono Milo e colleghi, siamo quasi alla pari. Il rapporto è di circa 1,3 a 1: un compromesso forse faticoso, ma in fondo salutare, che mantiene l’equilibrio come nelle migliori democrazie (o nelle peggiori, a seconda del punto di vista). Ma basta poco per qualche ribaltone temporaneo. Come nelle migliori (o peggiori) democrazie, «ogni evento di defecazione può capovolgere il rapporto e favorire le cellule umane sui batteri», ha scritto Milo nell’articolo che contiene la sua recentissima stima. Sono numeri definitivi? Naturalmente no. C’è già chi ha fatto notare che i metodi sperimentali su cui sono basati i nuovi calcoli sono incerti e proni a errori. Ma va bene così. Procediamo a tentoni, un passo avanti e uno di lato, sempre pronti a rivedere tutto. È il bello della scienza. Servono questi numeri? Di per sé non molto, se non come stimolo a farci ragionare, pensare, calcolare, rivedere le nostre idee. Servono anche a farci arrossire un po’ dei nostri incipit più smargiassi (verificare, ripensare, rivedere sempre!). Soprattutto ci aiutano a guardare ogni cosa, anche quella che riteniamo più banale, con uno sguardo attonito, incredulo, sospeso, come se ci pensassimo per la prima volta. Che i biologi siano ancora oggi incerti sul numero delle cellule del nostro corpo, e sul numero dei nostri microscopici ospiti, è una cosa meravigliosa. E se non ne siete convinti, guardatevi la TED Conference di Stuart Firestein, «Alla ricerca dell’ignoranza». Chiudo con una difesa non d’ufficio di Luckey e Savage. Avevano poi sbagliato di tanto? Ammesso che la stima di Milo tenga, la loro era scentrata di un fattore dieci. Secondo Lawrence Weinstein a John A. Adam, autori di Più o meno quanto? L’arte di fare stime sul mondo, un calcolo approssimato è buono quando la risposta sta dentro un fattore dieci. Perché? «Perché in genere è quel che basta a prendere una decisione». Ho scritto questo post dopo avere letto You’re Probably Not Mostly Microbes di Ed Yong sull’Atlantic (8/1/16). Mentre lo scrivevo e giravo fra le altre fonti citate nel testo, mi è ritornato in mente il bel libretto di Lawrence Weinstein a John A. Adam, Più o meno quanto? L’arte di fare stime sul mondo (Chiavi di lettura Zanichelli 2009). L'immagine di apertura viene dal sito Teach the microbiome.
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