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Vivere oltre un secolo

Vivere oltre un secolo: che cosa sa la scienza della longevità estrema? Come si mantengono intatte le capacità cognitive? La ricetta di Oliver Sacks.
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Il 30 dicembre mia nonna ha compiuto 100 anni. Non che pensi che sia l’unica. Con oltre 15.000 italiani, quasi 80.000 americani e circa 44.000 giapponesi è in buona compagnia. Ma è la prima della mia tribù e dunque l’abbiamo festeggiata.

Se nei paesi industrializzati una persona ogni 6000 raggiunge un’età a tre cifre, perché proprio lei e non gli altri tre nonni? L’epidemiologia dà risposte che valgono per molti e mai per un singolo caso, ma questo compleanno mi ha dato la scusa per capire qualcosa di ciò che si sa sulla schiera dei molto longevi. Il New England Centenerian Study è la più ampia osservazione effettuata finora sui colleghi americani della nonna, uno studio che ha lo scopo di capire che cosa distingue dal punto di vista medico e biologico queste persone da quelle che si fermano prima. L’obiettivo è individuare geni e molecole che un giorno potrebbero diventare terapie per migliorare la qualità della vita nella società che invecchia.
 
Un po’ per scherzo ho provato a confrontare alcune caratteristiche della nonna con quelle più comuni trovate dallo studio.
 
  • Innanzitutto è una donna. Gli uomini che arrivano a 100 anni sono solo il 15%, anche se sono “pochi ma buoni”, visto che arrivano al traguardo più in forma rispetto al gentil sesso.
  • Come quasi tutti i suoi pari non ha mai fumato.
  • Ha sempre mangiato e bevuto con moderazione, non è mai ingrassata molto e adesso è decisamente magretta.
  • Ha avuto la sua seconda e ultima figlia, mia madre, dopo i 35 anni. Non si sa bene perché, ma un'ultima gravidanza un po’ tardiva è un fattore predittivo di longevità.
  • Ha geni adatti a una lunga vita: suo fratello è morto a 95 anni, sua sorella ha passato da poco i 90 e i suoi genitori sono morti molto anziani.
Divagando un po’ potrei aggiungere che ha passato parecchio tempo in movimento all’aria aperta, coltivando un interesse forte (un giardino e le sue piante); ha avuto una famiglia che l’ha sostenuta e non ha avuto grandi dolori.
 
La nonna nel suo giardino, una cinquantina d’anni fa  
 
Ma ci sono altrettante ragioni per cui avrebbe potuto lasciarci da tempo: due guerre, l’influenza Spagnola, la notevole dose di pesticidi che ha spruzzato sugli amatissimi fiori, forse anche l’aria di Milano avrebbero potuto lasciare più di un segno. Che dire dell’alimentazione? È stata certo più a base di carne e riso che non di pesce e alghe, come quella dei giapponesi di Okinawa, la popolazione più longeva al mondo (nonostante lo scandalo scoppiato in Giappone in seguito alla scoperta che molti decessi non erano stati denunciati da familiari senza scrupoli, per non perdere la pensione, i dati sulla popolazione di Okinawa sembrano tenere).
 
La nonna non è nemmeno stata mai molto sportiva. Certamente meno di Ruth Frith, la fenomenale lanciatrice del peso, di Brisbane:

Quello che mi stupisce di più è come funziona ancora il suo cervello (fortunata anche in questo, visto che la prevalenza della malattia di Alzheimer negli over 85 è di circa uno su due). L’ultimo dell’anno ha sfogliato come al solito il giornale, fatto qualche solitario e letto diverse pagine di uno o due libri; la sera ha ascoltato alla televisione il discorso del Presidente (“Una fantastica esortazione ai giovani!” è stato il suo commento) e infine ha cenato in compagnia di nipoti e bisnipoti, sveglia e vigile fin oltre la mezzanotte (“Il più bel Capodanno da anni!” ha detto).
 
Ogni tanto mi chiedo se impari ancora delle cose, di certo ne ricorda parecchie. Mi piacerebbe sapere se i suoi neuroni formano ancora nuove sinapsi, le connessioni fra un neurone e l’altro che marcano fisicamente i cambiamenti impressi dalle esperienze che viviamo. Secondo l’ultimo studio pubblicato su Nature Neuroscience dal Programma Genes to Cognition dell’Università di Cambridge (che sta mappando l’intera rete genetica e biochimica delle connessioni nervose), ogni neurone, dei 100 miliardi che possediamo, crea in media 1000 connessioni con gli altri neuroni, impiegando circa 1500 proteine. Quante ne crea ancora la nonna?
 
Secondo Oliver Sacks la plasticità del cervello umano è sorprendente anche negli anziani. Non so se fra i suoi pazienti ci siano centenari, ma la capacità dei casi che descrive di “riavviare l’hard disk cognitivo", a partire da condizioni apparentemente disperate, è sempre commovente oltre che di grande ispirazione e speranza. Nell’articolo che ha pubblicato il primo dell’anno sul New York Times, il Professor Sacks suggerisce un bel proposito per il 2011: “Quest’anno modifica il tuo cervello” (Marco Boscolo ne parla più diffusamente in questo articolo). Che uno lo faccia “imparando una lingua, viaggiando in un posto sconosciuto, sviluppando una passione per l’apicoltura o semplicemente pensando a un vecchio problema in modo differente, ognuno di noi può trovare la maniera di stimolare il proprio cervello a crescere, quest’anno e negli anni che seguiranno. Come l’attività fisica è essenziale per mantenere un corpo sano, sfidare il proprio cervello tenendolo attivo, occupato, flessibile e vivace non è solamente divertente. È essenziale alla fitness cognitiva”.
 
Buon anno a tutti, centenari e non.

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