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La medicina che fa bene a tutte e tutti

Medicina di genere, ma anche salute equa e inclusiva per valorizzare le differenze: l’era del “paziente medio” è ormai al tramonto

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Con l’approvazione della Legge 3/2018 (art. 3), seguita dal Piano attuativo per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere (2019), l’Italia è stato il primo Paese al mondo a definire un piano normativo per promuovere la parità di genere nella salute. Questo cambio di passo, in linea con gli obiettivi 3, 5 e 10 dell’Agenda 2030, riconosce quanto sia importante anche in ambito sanitario dare valore alle differenze di genere.

Nelle donne e negli uomini, la stessa malattia può presentarsi con sintomi diversi oppure rispondere più o meno bene alle stesse terapie. In passato queste differenze sarebbero state considerate come anomalie individuali, senza una spiegazione chiara. Oggi un numero crescente di studi ci dice che il sesso e il genere possono essere tra le cause di queste diverse sfumature. È come se, per anni, la comunità medica e scientifica avesse indossato occhiali che permettevano solo una vista monocromatica. Oggi abbiamo finalmente gli strumenti per iniziare a vedere e valorizzare molte gradazioni di colore: il quadro che si delinea è sicuramente più complesso, ma il vantaggio sarà una medicina più equa e in grado di offrire a ciascuno la cura più appropriata.

Quali sono gli obiettivi della medicina di genere?

Secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la medicina di genere o genere-specifica si occupa delle caratteristiche biologiche (legate al sesso) e socioculturali (definite dal genere) che influenzano la salute delle persone. L’obiettivo è identificare e comprendere i meccanismi con cui il sesso biologico e le differenze di genere influiscono sulla prevenzione e l’insorgenza delle malattie, sull’efficacia dei trattamenti o sulla comparsa di effetti avversi causati dalle terapie.

Il sesso e il genere possono influenzare la salute in modi diversi, che si intrecciano e influenzano a vicenda. Vediamo qualche esempio.

  • Il sesso biologico regola le fluttuazioni ormonali e la salute riproduttiva, ma anche altre caratteristiche definite dal patrimonio genetico ed epigenetico, come il peso, la composizione corporea, la capacità di filtrazione renale: tutti fattori che possono avere un impatto notevole, per esempio, sull’assorbimento di un farmaco e sulla sua efficacia.
  • Il genere - definito da fattori sociali, economici e culturali – incide a 360° sullo stato di salute perché influenza lo stile di vita, la dieta, l’accesso ai servizi di prevenzione e screening delle malattie, lo sviluppo di malattie occupazionali e anche il modo in cui, nei due sessi, vengono tollerati o incentivati comportamenti a rischio, come l’abitudine all’alcol o al fumo. Il genere contribuisce quindi a definire il ruolo e i comportamenti attribuiti alle persone, con conseguenze sulla loro salute: per esempio, il fumo è generalmente più diffuso tra gli uomini perché in molte culture non è considerato “appropriato” per le donne; al contrario, gli incidenti domestici riguardano spesso le donne, perché in molte culture sono le uniche incaricate delle attività domestiche.

Sesso e genere sono concetti distinti, anche se interagiscono e si influenzano a vicenda. Per approfondire il ruolo del genere nella salute e le differenze con il concetto di sesso biologico, consiglio questa pagina (in inglese) dell’OMS: Gender and Health

Com’è nata la medicina di genere?

La medicina di genere è una disciplina piuttosto recente: solo negli anni Novanta del Novecento la variabile “sesso-genere” ha iniziato a essere presa in considerazione per spiegare alcune differenze nella salute delle persone.

In passato, lo sguardo della medicina e della ricerca biomedica è stato quasi sempre incentrato sul paradigma di un “paziente medio” di riferimento che, storicamente, corrispondeva a un individuo maschio, giovane e bianco. Questo “strabismo di genere” ha portato a una medicina androcentrica, in cui l’interesse specifico per le donne si limitava alla salute riproduttiva e gestazionale. Questo approccio così sbilanciato si è riproposto per decenni, in modo quasi automatico, anche sulle sperimentazioni cliniche, che molto spesso reclutavano gruppi composti per lo più da uomini. I risultati finali di questi studi venivano poi estesi alle donne, considerate – erroneamente – equivalenti agli uomini dal punto di vista farmacologico e medico.

Eppure, alcuni indizi che le donne non fossero, dal punto di vista fisiologico, così equivalenti agli uomini erano insiti proprio nelle motivazioni per cui, per anni, esse erano state escluse da molti studi clinici: per esempio, le periodiche fluttuazioni ormonali che scandiscono la vita delle donne possono influire sull’efficacia di un farmaco. Decidere, per questi motivi, di non includere le donne nella sperimentazione può però rivelarsi una scelta poco lungimirante: una volta immesso sul mercato, il farmaco sarà usato anche dalle donne e la sua azione sarà inevitabilmente soggetta alle variazioni ormonali femminili tipiche dell’età riproduttiva.

La nascita della medicina genere-specifica può quindi essere vista come la risposta ad alcune pratiche della ricerca e della clinica che, seppure consolidate nel tempo, mostrano oggi limiti e stereotipi che devono essere superati. Infatti, lo stato di salute di uomini e donne è tutt’altro che uniforme: le donne si ammalano di più, consumano più farmaci degli uomini e manifestano più effetti collaterali in seguito ai trattamenti. Inoltre, le donne vivono in media più a lungo, ma questi anni “in più” sono caratterizzati da una minore qualità della vita e dalla presenza di malattie croniche e disabilità.

Questi dati sottolineano quanto sia importante includere rappresentanti di tutti i generi nelle sperimentazioni cliniche e tenere conto delle variabili di sesso-genere per definire trattamenti che rispondono alle esigenze delle persone.

In quali ambiti clinici si riscontrano le maggiori differenze di sesso-genere?

Le differenze di sesso e genere sono così pervasive che è difficile immaginare un ambito della salute che non ne sia toccato. Oltre alle malattie tipiche dell’apparato riproduttore, che ovviamente si manifestano in modo diverso nei due sessi, ci sono molte altre patologie, comuni a uomini e donne, in cui il genere sembra influire sui sintomi, sulla risposta alle cure o sulla prognosi. Tra le più studiate, ci sono le malattie cardiovascolari ed endocrine, le malattie respiratorie e i tumori, le malattie infettive e autoimmuni. A queste, si aggiungono gli studi di farmacologia. Qui di seguito, vediamo una breve spiegazione della connotazione di sesso-genere di alcune di queste patologie.

Cardiologia. Da sempre gli uomini sono ritenuti più suscettibili ai disturbi cardiovascolari. Si tratta però di una convinzione che non trova riscontro nei dati epidemiologici più recenti: le malattie cardiovascolari sono infatti tra le maggiori cause di morte anche per le donne, come mostrano questi grafici del Global Health Observatory dell’OMS: in Italia, nel 2019, sia negli uomini sia nelle donne le prime due cause di morte sono state patologie cardiovascolari (coronaropatie e ictus).

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Nonostante questi dati, il pregiudizio di genere continua a influenzare i percorsi di prevenzione, l’interpretazione dei segni clinici e il tipo di terapia. Alcuni studi indicano che nelle donne la diagnosi avviene spesso a uno stadio più avanzato della malattia, con una prognosi peggiore e un maggiore tasso di letalità. Il ritardo della diagnosi nelle donne sembra aggravato anche dalla presenza di sintomi atipici (ansia, dispnea, affaticamento ecc.), che spesso non vengono riconosciuti o approfonditi con ECG di controllo. Gli stessi test strumentali usati per la diagnosi possono rivelarsi meno specifici e sensibili, a causa della differenza di dimensioni del cuore, mediamente più piccolo nelle donne rispetto agli uomini.

Endocrinologia. Gli ormoni sessuali contribuiscono al sesso femminile e maschile, ma l’intreccio tra endocrinologia e medicina di genere riguarda tutto il panorama ormonale. Alcune delle più diffuse malattie endocrine hanno significative differenze di genere: per esempio, le malattie della tiroide (noduli tiroidei o malattie autoimmuni) colpiscono le donne 5-8 volte più degli uomini. Nel caso del tumore alla tiroide, circa il 75% dei casi riguarda donne, ma la prognosi è peggiore negli uomini: una conferma di quanto sia importante tenere conto dei determinanti di sesso-genere per stabilire i percorsi prognostici e terapeutici più adatti a ciascuno.

Risposta immunitaria e malattie autoimmuni. La risposta immunitaria risente di diversi fattori legati al sesso e al genere: tra questi, gli ormoni sessuali (il progesterone, per esempio, ha un effetto antinfiammatorio), il cromosoma X (in cui sono presenti molti geni che codificano per fattori coinvolti nella risposta immunitaria), l’esposizione a sostanze dannose o inquinanti ambientali (fattori occupazionali e stile di vita). In generale, il sistema immunitario delle donne sembra essere più responsivo di quello maschile: è più efficace nel presentare l’antigene, nel produrre citochine infiammatorie e nel generare anticorpi e linfociti T in seguito sia a infezioni naturali sia a vaccinazione. Queste caratteristiche possono conferire alle donne una protezione nei confronti di alcune malattie infettive, ma c’è un risvolto della medaglia: questa alta “reattività” del sistema immunitario sembra predisporre le donne ad alcune malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso, le tiroiditi autoimmuni o la sclerodermia.

Oncologia. Le differenze di sesso-genere influiscono sui tumori specifici dei maschi, come il carcinoma prostatico, e delle femmine, come il tumore alle ovaie, all’endometrio o al seno (rari casi di carcinoma mammario compaiono anche negli uomini). Molti determinanti di genere sembrano inoltre influire sull’incidenza, la prognosi e la risposta alle terapie anche nei tumori non specifici dell’apparato riproduttore. Per esempio, è stato notato che il tumore del colon tende a localizzarsi in punti diversi: nel colon ascendente per le donne e nel tratto discendente per gli uomini. Le ragioni di queste e altre differenze in ambito oncologico non sono quasi mai note e dovranno essere indagate in futuro per mettere a punto test di screening e terapie più mirate.

Farmacologia. L’efficacia di un farmaco dipende da diversi fenomeni, come assorbimento, distribuzione corporea, metabolismo e processi di eliminazione: tutti processi che risentono di molteplici caratteristiche legate al sesso, come le fluttuazioni ormonali, il peso della persona e la sua composizione corporea, il livello di filtrazione renale, la quantità di molecole o recettori sensibili all’azione farmacologica. Un esempio significativo riguarda il principale farmaco analgesico, la morfina. Diversi studi clinici hanno dimostrato che i suoi effetti sono molto diversi negli uomini e nelle donne; queste ultime richiedono una dose da due a tre volte superiore a quella degli uomini per ottenere lo stesso effetto analgesico. Una delle cause potrebbe essere la diversa attività dei recettori TLR4 nel cervello femminile.

Anche i determinanti di genere influenzano l’effetto dei farmaci: in media, le donne consumano più medicinali degli uomini e riportano più effetti avversi. Quest’ultimo fenomeno merita di essere studiato caso per caso, perché potrebbe dipendere sia dalla maggiore attenzione che le donne riservano alla propria salute, sia dal fatto che molti studi sperimentali sui farmaci sono stati condotti in gruppi prevalentemente maschili.

Per una spiegazione più approfondita delle connotazioni di sesso-genere di diverse patologie, rimando ai seguenti documenti:

La medicina di genere è la “medicina delle donne”?

Chiariamolo subito: no, la medicina di genere non è la “medicina delle donne”.

Le disuguaglianze di sesso-genere hanno ricadute soprattutto sulla salute delle donne, perché per molto tempo le linee guida per la prevenzione, la diagnosi e la terapia delle malattie sono state tracciate sulla base di riferimenti maschili. Fare medicina di genere, quindi, significa in gran parte cercare di appianare le disuguaglianze nelle prestazioni sanitarie fornite alle donne. Ma la medicina di genere non è solo questo.

La salute degli uomini, in casi specifici, non è immune da stereotipi di genere propagati nel tempo. Per esempio, in molti Paesi gli uomini tendono ad avere abitudini di vita più rischiose (abuso di alcol, fumo, comportamenti violenti) oppure sono poco seguiti e curati per malattie ritenute erroneamente “femminili”. Un esempio è l’osteoporosi, considerata una patologia tipica delle donne in menopausa. Le indagini epidemiologiche fanno però emergere un quadro differente: anche gli uomini dopo i 50 anni possono essere soggetti a osteoporosi, ma il test della densità ossea viene loro prescritto più raramente che alle donne, nonostante la mortalità dopo la frattura dell’anca sia maggiore proprio negli uomini.

Non tenere conto delle differenze di genere compromette quindi il diritto alla salute di tutte e tutti. L’obiettivo della medicina di genere va quindi oltre la sfera della salute femminile e abbraccia tutti i generi, attribuendo loro la stessa dignità e il medesimo diritto a cure personalizzate.

Parafrasando cioè che scriveva Simone de Beauvoir sul femminismo in Quando tutte le donne del mondo… (Einaudi, 2015)”, potremmo dire che la medicina di genere “è una causa comune per l’uomo e per la donna” e che i risultati che otterrà faranno bene a tutte e a tutti.

Quali sono gli sviluppi della medicina di genere?

La medicina di genere non è che uno dei modi di interpretare la medicina personalizzata: essa mira a enfatizzare la pluralità delle persone, anziché smussarla o relegarla sotto le code di una distribuzione normale come semplice “eccezione che conferma la regola”. In medicina, però, alcune eccezioni non confermano le regole, ma le smentiscono: distogliere lo sguardo dalla punta del cappello della mediana può aiutare a individuare meccanismi o fenomeni non ancora compresi.

Questo cambio di prospettiva apre la strada all’idea di una salute globale e plurale, che tiene conto non solo del sesso e del genere, ma anche di fattori come l’età, le condizioni economiche, il luogo in cui si vive, il gruppo etnico di appartenenza, ecc. Si tratta di approccio rivoluzionario, che può avere importanti ricadute sulla vita delle persone, come dimostrano gli studi sugli attacchi cardiaci improvvisi negli atleti neri: nonostante i test di screening a cui tutti gli atleti professionisti si sottopongono, gli atleti neri sono più a rischio di rimanere vittime di attacchi cardiaci improvvisi durante le gare. Una delle ipotesi è che il valore-soglia usato in questi screening è inadeguato a cogliere il rischio di ipertrofia cardiaca negli atleti neri (ne ho parlato in questo articolo dell’Aula di Scienze). Questo è solo un esempio, ma evidenzia quanto sia importante rivedere e aggiornare i test di indagine tenendo conto della pluralità delle persone. I biomarcatori basati sul “paziente medio” potrebbero non essere più adeguati, perché il rischio di ciascuno dipende anche da fattori di cui in passato non si teneva conto.

Un altro caso riguarda il carcinoma ovarico. Nonostante i progressi fatti negli ultimi anni nel trattamento di questo tumore, nelle donne nere la sopravvivenza è calata dal 44% al 41%. Le ragioni di questa disparità rispetto agli altri gruppi di donne possono essere diverse e uno studio dedicato, partito nel 2020, valuterà il contributo sia dei fattori biologici (per esempio, il profilo molecolare delle cellule tumorali) sia di quelli socio-culturali (il quartiere in cui la paziente vive, la possibilità di avere un’assicurazione sanitaria o di seguire fino alla fine le terapie prescritte, ecc.). Questo studio è un esempio di come la tutela della salute debba diventare una disciplina globale, in cui la malattia viene analizzata nel contesto di molti parametri.

Come si può promuovere una medicina più equa?

L’approccio riduzionista ha connotato gran parte della ricerca scientifica e clinica degli ultimi decenni. Oggi è importante fare strada al concetto di equità, che non mira a levigare le differenze tra individui, ma al contrario aiuta a identificarle e valorizzarle, per garantire le cure più appropriate a tutti e tutte: l’obiettivo è fornire la migliore salute possibile in base alle diverse variabili che caratterizzano un individuo.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività…”

Art. 32 della Costituzione italiana

Per andare in questa direzione, ci sono diverse strategie che si possono iniziare a mettere in atto a diversi livelli:

  • promuovere percorsi interdisciplinari per favorire l’incontro e lo scambio tra le diverse aree della medicina e le scienze umane;
  • andare oltre il riferimento del “paziente medio” e arruolare negli studi clinici gruppi misti di persone;
  • coinvolgere nella ricerca e nella pianificazione degli studi chi appartiene a gruppi storicamente meno rappresentati;
  • sensibilizzare chi conduce le ricerche e chi presta le cure a tenere conto dell’impatto che le variabili genere-specifiche possono avere sull’esito di studi e terapie; infatti, le differenze di sesso-genere riguardano non solo chi riceve le cure, ma anche chi le eroga, influenzando l’approccio degli operatori sanitari, la qualità delle prestazioni mediche e l’esito del consulto.

Un primo esempio di come si possa iniziare ad ampliare lo sguardo di tutti arriva dalla Nigeria, paese di origine di Chidiebere Ibe, studente della facoltà di medicina e illustratore medico-scientifico. Nel dicembre 2021, la sua illustrazione di un feto nero nel grembo materno è diventata virale in tutto il mondo. Questa e altre illustrazioni di Chidiebere Ibe hanno un duplice valore: il loro impatto aiuta a prendere consapevolezza di uno stereotipo interiorizzato da molti («le illustrazioni mediche hanno sempre raffigurato persone bianche») e allo stesso tempo colmano un vuoto di conoscenza che può avere ripercussioni sulla diagnosi e la qualità delle cure: alcune patologie, come le infezioni della pelle o gli eczemi, si manifestano infatti con segni clinici diversi nelle persone nere.

Il percorso verso una medicina inclusiva e plurale non è privo di ostacoli, tra cui l’aumento notevole di informazioni che dovranno essere raccolte e gestite per ciascuna persona: un possibile aiuto potrà arrivare dalle scienze omiche, dalla medicina delle reti e dalla medicina dei big data, di cui parleremo nei prossimi approfondimenti.

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«Non c’è inclusione senza una rappresentazione adeguata» (immagine: profilo Twitter di Chidiebere Ibe)

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Le prime 10 cause di morte in Italia nel 2019 nella popolazione maschile (in alto) e femminile (in basso). Fonte: WHO Global Healt Observatory