Al Museo d’Orsay di Parigi si trova un dipinto di Georges Seurat, Poseuse de profil, che ritrae una modella con la tecnica del puntinismo. Di fronte a questo quadro, ho scoperto che la distanza è fondamentale per apprezzare i dipinti realizzati con questa tecnica. Da vicino, gli occhi colgono la miriade di puntini policromatici che Seurat ha disposto sulla tela, ma il ritratto nel suo complesso sembrerà avvolto in una nuvola. Per apprezzare al meglio i contorni della modella, bisogna fare più di un passo all’indietro: solo con la giusta distanza tra voi e il dipinto i singoli puntini si fonderanno tra loro e faranno emergere una figura più nitida e comprensibile.
Questo ritratto di Seurat, e lo sforzo necessario per aggiustare la distanza da cui lo si osserva, mi hanno ricordato uno dei problemi con cui la ricerca biomedica ha iniziato a confrontarsi di recente: dopo decenni passati a investigare i dettagli molecolari di meccanismi fisiologici e patologici, oggi molti gruppi di ricerca iniziano a chiedersi se non sia il caso di fare qualche passo indietro e iniziare a guardare i sistemi biologici da una certa distanza.
Il modo di dire anglosassone – miss the forest for the trees – incarna bene il rischio che si corre con un approccio incentrato esclusivamente su dettagli molecolari: quello di concentrarsi così tanto sui singoli alberi da perder di vista la foresta di cui fanno parte. Trasferito in ambito biologico, questo cambio di prospettiva è un invito a studiare le interazioni molecolari considerando l’organismo nel suo complesso: la network medicine, o medicina delle reti, è una nuova disciplina che offre questa possibilità unendo la scienza delle reti e la biologia dei sistemi. L'obiettivo è quello di spiegare come le innumerevoli molecole cellulari interagiscono tra loro per determinare un certo fenotipo, una funzione metabolica o una patologia complessa.
Immaginiamo che ogni molecola sia un puntino – proprio come quelli del dipinto di Seurat – e iniziamo a collegare con una riga le molecole che interagiscono tra di loro: sotto i nostri occhi inizierà a formarsi una rete sempre più complessa e ricca di informazioni. Se la osserviamo da vicino, possiamo vedere che la molecola A interagisce con le molecole C, D ed E. Ma se ci allontaniamo un po’ e cerchiamo di osservare la nuvola di molecole che circonda la molecola A, quante altre nuove funzioni o connessioni potremmo scoprire?
Cambiare punto di vista: perché ne abbiamo bisogno?
Negli ultimi decenni la ricerca biomedica ha avuto come obiettivo principale quello di identificare i meccanismi molecolari alla base delle patologie. Questo tipo di approccio, chiamato riduzionista, si concentra sui dettagli dell’interazione tra un enzima e il suo substrato oppure sull’azione di una proteina in una specifica via di segnalazione. Con questo metodo sono stati identificati target terapeutici da colpire con farmaci mirati, grazie ai quali è stato possibile migliorare la qualità della vita di molte persone. Uno degli esempi più conosciuti è quello dell’imatinib, un farmaco che ha rivoluzionato il trattamento della leucemia mieloide cronica.
Questo approccio, mirato ed efficace, presenta però dei limiti: la sua potenza di fuoco si arresta quando cerchiamo di decifrare i meccanismi alla base di malattie complesse, come le malattie cardiovascolari o il cancro, che sono anche le più diffuse nella popolazione. Nonostante i progressi fatti dalle tecniche di indagine biologica e bioinformatica, molte malattie complesse rimangono ai nostri occhi un ginepraio molecolare, in cui identificare un singolo meccanismo patogenetico non solo è molto difficile, ma potrebbe essere impossibile, perché la malattia è il risultato di molti meccanismi che si intrecciano e si influenzano a vicenda.
Per studiare e comprendere la patogenesi di malattie complesse c’è quindi bisogno di un cambio di prospettiva: fare un passo indietro, per permettere allo sguardo di cogliere un panorama molecolare più ampio, che ci permetta di vedere la rete di interazioni che si instaurano tra tutte le biomolecole della cellula.
Quando fu avviato il Progetto Genoma Umano, in molti speravano che la conoscenza di tutti i geni umani avrebbe permesso di individuare e disinnescare i meccanismi patogenetici delle malattie umane. In realtà, molto prima del completamento del genoma fu chiaro che un organismo è un sistema complesso e, come tale, il suo funzionamento o le sue patologie sono molto più della somma di singoli geni. La naturale prosecuzione del PGU potrebbe quindi essere proprio la network medicine, come già si intuiva dalle ultime pagine dello storico articolo di Science, in cui il gruppo di studio di Craig Venter condivideva la sequenza del genoma:
…non esistono geni "buoni" o geni "cattivi", ma solo reti che esistono a diversi livelli, sono connesse in vario modo, e rispondono in modo diverso alle perturbazioni.
Che cos’è la network medicine?
Il termine network medicine è stato coniato dal ricercatore ungherese Albert-László Barabási, uno dei primi a intuire che la scienza delle reti poteva essere usata per abbracciare la complessità molecolare che è alla base delle patologie umane. Nell’ultimo decennio, è infatti emersa un’importante caratteristica condivisa dalle interazioni sociali (relazioni tra individui), tecnologiche (internet) e anche biologiche (sistemi complessi): tutti questi ambiti condividono un principio organizzativo che può essere descritto mediante la teoria dei grafi.
La topologia di una rete è definita da diverse caratteristiche strutturali. Per semplicità, qui prenderemo in considerazione solo gli elementi fondamentali: i nodi della rete e i link che li collegano. In una rete biologica, i nodi possono rappresentare geni, proteine, metaboliti o malattie, mentre i link che li collegano identificano le relazioni che si instaurano tra di essi, per esempio le interazioni proteina-proteina, le reazioni metaboliche oppure i geni che sono coinvolti in più patologie.
Lo studio della struttura di una rete aiuta non solo a definire le relazioni tra i suoi nodi, ma anche a capire come potrebbe modificarsi se un evento ne perturba l’equilibrio. Per esempio, che cosa accade alla rete se uno dei suoi nodi viene rimosso? O, in termini biologici, che cosa accade se un gene viene mutato, se un enzima non è più in grado di legare il suo substrato, se un metabolita inizia a scarseggiare? La risposta breve è: dipende dal tipo di nodo.
«La cellula è come Internet»
Albert-László Barabási, Link, Einaudi (2002), pag. 203
Proprio come per Internet, anche i nodi di una rete cellulare non sono tutti uguali dal punto di vista funzionale: alcuni nodi, chiamati hub, sono molto connessi (nel senso che sono responsabili di controllare un numero molto elevato di altre proteine); altri nodi – a dire il vero, la maggior parte – presentano invece un numero piuttosto scarso di connessioni. Come incide questo sul funzionamento di una rete biologica? Se una mutazione sopprime una delle proteine poco connesse, le ripercussioni sulla rete sono limitate e probabilmente compensate dagli altri nodi ancora attivi; se invece a essere soppressa è una proteina hub, su cui poggiano le funzioni di molti altri nodi, allora quella porzione della rete può collassare, con ripercussioni che si possono estendere anche ad altre funzioni fisiologiche.
La medicina delle reti utilizza quindi gli strumenti di analisi matematica e statistica della teoria dei grafi per studiare i meccanismi fisiologici, biochimici e molecolari che regolano il funzionamento di un sistema complesso e che, se alterati, possono causare una malattia.
Quali dati vengono usati per costruire le reti della network medicine?
Le scienze omiche sono il principale bacino da cui la network medicine attinge i dati da analizzare. Grazie all’enorme mole di dati raccolti tramite esperimenti high throughput, oggi la ricerca biomedica può fotografare lo stato molecolare di una cellula o di un tessuto catalogandone l’insieme di geni (genomica), RNA (trascrittomica), proteine (proteomica) e sostanze metaboliche (metabolomica). A questi si aggiungono anche altri set di dati, come quelli dell’esposoma, che mappa l’effetto dell’esposizione a diversi fattori ambientali (alimentazione, fumo, radiazioni ecc.).
Ogni dato di ciascuno di questi set di dati omici è come un singolo puntino del quadro di Seurat: preso da solo fornisce solo una parte di dati, ma il suo potenziale informativo aumenta se lo mettiamo in relazione con le altre entità dello stesso set oppure con set omici diversi. Per capire le malattie complesse, è quindi utile comprendere come funzionano le reti cellulari e su quali hub si fondano: questo può essere fatto grazie alla medicina delle reti, che fornisce gli strumenti per studiare l’intera impalcatura molecolare su cui si regge il meccanismo patogenetico.
Quali reti possiamo studiare per comprendere le malattie complesse?
Le scienze omiche sono fondamentali per catalogare tutte le biomolecole presenti in una cellula o un tessuto, ma per conoscere il loro ruolo è indispensabile capire come esse interagiscono tra di loro: il legame di alcune proteine con il DNA e gli RNA messaggeri può modulare l’espressione genica, mentre l’interazione di un enzima con un metabolita può modificare gli equilibri di una via metabolica. Analizzare queste relazioni una alla volta, come fatto fino a ora, può dare importanti risultati su un aspetto specifico, ma per abbracciare la complessità del sistema è necessario ricorrere all’interattoma, la rete costituita da tutte le interazioni fisiche che si instaurano tra le biomolecole presenti nella cellula (proteina-proteina, fattore di trascrizione-DNA, enzima-substrato, ecc.).
Conoscere queste interazioni è importante per scoprire meccanismi cellulari ancora sconosciuti: se due biomolecole interagiscono fisicamente tra di loro è probabile che questa interazione influenzi la loro funzione. Altrettanto importante è scoprire quando avvengono queste interazioni (solo durante il periodo di sviluppo embrionale? durante il differenziamento? prima dell’apoptosi?) e dove (nel nucleo? nel citoplasma? nel mitocondrio? in tutti i tessuti?). Un ulteriore livello di complessità si aggiunge se consideriamo che una stessa proteina può avere più isoforme e più domini proteici. Tutti questi dati sono importanti per comprendere le reti patogenetiche alla base di malattie complesse e tumori oppure per definire nuovi target molecolari per gli studi di farmacologia.
Lo stesso approccio può essere usato per studiare altri tipi di interazioni rilevanti per i sistemi biologici. L’analisi delle reti ecologiche, che descrivono le relazioni tra specie diverse, può chiarire le interazioni del microbiota con l’organismo umano e come la loro alterazione possa contribuire alla comparsa di malattie.
Le reti epidemiche sono utili per studiare la diffusione dei virus all’interno di una popolazione. All’inizio dell’epidemia di HIV negli anni Ottanta, fu proprio lo studio delle relazioni all’interno della comunità omosessuale statunitense a chiarire la via di trasmissione del virus. Lo stesso approccio è stato usato di recente per la pandemia di COVID-19, nella quale la rete di relazioni sociali e i contatti ravvicinati sono un aspetto fondamentale della diffusione del contagio.
Questo stesso modello può essere usato per investigare malattie ancora più complesse, in cui le reti genetiche e molecolari non sono che il substrato su cui si innestano altre reti, come quella del condizionamento sociale e psicologico: un caso molto studiato è quello degli adolescenti che iniziano a fumare per conformarsi al gruppo di appartenenza (peer pressure) e acquisiscono un comportamento che può condizionare il loro stato di salute anche a molti anni di distanza.
Il modello “millefoglie”: come interagiscono reti diverse?
La suddivisione tra diversi tipi di rete è utile per analizzare uno specifico gruppo di biomolecole, ma l’organismo umano è un sistema complesso, le cui condizioni fisiologiche o patologiche possono essere descritte solo tenendo conto di molte reti che si influenzano a vicenda. Lo stesso vale per lo studio delle malattie complesse, la cui evoluzione dipende da reti che si trovano a diversi livelli di organizzazione e i cui effetti si stratificano nel tempo.
Alla base di questo modello a “millefoglie” troviamo la rete la rete di regolazione dell’espressione genica che connette geni e RNA messaggeri; gli effetti di questa rete si intersecano con la rete di interazioni proteiche e con la rete metabolica che regola le reazioni biochimiche della cellula.
Fuoriuscendo dai confini cellulari, approdiamo alle reti di comunicazione tra cellule e di trasduzione del segnale, cui afferiscono per esempio i meccanismi di segnalazione endocrina tra tessuti e organi diversi. Queste reti possono aiutare a capire come una patologia complessa abbia ripercussioni sull’interno sistema e a trovare meccanismi patogenetici condivisi da patologie all’apparenza distinte.
Se ci spingiamo oltre il singolo individuo, troviamo la rete delle esposizioni ambientali e quella delle relazioni sociali, che svolgono un ruolo chiave del determinare lo stato di salute di una persona: l’isolamento sociale, il gruppo di persone con cui si è in contatto stabile, il tipo di assistenza medica che si riceve nel luogo in cui si vive sono solo alcuni esempi di come il tessuto sociale può aiutare a definire, insieme a tutte le altre reti sottostanti, il concetto più ampio di rete patogenetica, da cui dipende se e come si svilupperà una malattia.
La network medicine funziona quindi come l’obiettivo di una macchina fotografica, un obiettivo così potente che ci permette di aggiustare lo zoom delle nostre analisi dal mondo micro della cellula al mondo macro delle interazioni sociali e dei rapporti con l’ambiente.
Quali sono le applicazioni delle reti biologiche?
Un passo all’indietro dopo l’altro, eccoci idealmente giunti al centro della sala del Museo d’Orsay che ospita il dipinto di Seurat. Proprio come per i puntini disseminati sul ritratto, anche i dati associati alle reti biologiche iniziano ad assumere un contorno più nitido. Non siamo ancora in grado di risolvere le malattie complesse, ma da questa posizione è possibile vedere le cose sotto un nuovo, e forse illuminante, punto di vista.
In futuro, conoscere la rete patogenetica che porta allo sviluppo di una malattia potrebbe modificare il modo in cui le malattie vengono diagnosticate e trattate. La medicina delle reti offre infatti la possibilità di:
- individuare nuovi geni associati a una patologia: per molte malattie oggi conosciamo solo una minima parte dei geni collegati tra di loro e coinvolti nella patogenesi; molti altri geni, che in passato non sarebbero stati presi in considerazione, potranno in futuro venire individuati perché, nella rete, sono vicini a geni già noti;
- progettare nuovi biomarcatori per monitorare una malattia;
- selezionare nuovi bersagli molecolari per farmaci individuando gli hub su cui basa la rete patogenetica di una malattia;
- individuare percorsi molecolari condivisi da più malattie e che possono quindi beneficiare dello stesso trattamento (drug repositioning);
- prevedere l’effetto che un farmaco avrà sulla rete prima ancora di prescriverlo;
- prevedere il comportamento di un nuovo virus e quali effetti provocherà sull’organismo: questa analisi è stata testata dal laboratorio di Barabási nella primavera del 2020, quando la pandemia di COVID-19 iniziò a diffondersi in Europa e negli Stati Uniti. I risultati mostravano come il virus fosse in grado di "abbracciare" gran parte dell'interattoma umano: un primo indizio degli effetti multisistemici che nei mesi successivi sono stati riportati in molti pazienti infettati da SARS-CoV-2.