Sono passati appena tre anni e mezzo da quando i vaccini a mRNA hanno fatto il loro debutto sulle pagine dei giornali: era la primavera del 2020 e, mentre il mondo era alle prese con gli effetti incontenibili della pandemia di COVID-19, la prima voce di speranza è arrivata proprio da questa innovativa tipologia di vaccini, mai testati prima negli esseri umani.
Oggi l’Accademia di Svezia ha riconosciuto in modo ufficiale il valore della tecnologia che ha permesso di mettere a punto i primi vaccini a RNA e ha assegnato il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina 2023 alla biochimica ungherese Katalin Karikó e all’immunologo statunitense Drew Weissman:
«per le loro scoperte sulle modifiche ai nucleosidi che hanno permesso lo sviluppo di vaccini efficaci a base di mRNA contro il COVID-19»
Un premio che forse può stupire per la rapidità con cui è stato concesso, ma ad essere riconosciuti non sono solo i risultati della campagna vaccinale anti-COVID-19, ma anche i decenni di studi propedeutici che hanno preparato il terreno a questo traguardo delle biotecnologie.
Un successo recente, reso possibile da decenni di studi in sordina
Anche se la ricaduta delle scoperte di Karikó e Weissman è divenuta evidente al pubblico solo nel 2020, l’idea di usare l’mRNA per la preparazione di vaccini ha iniziato a prendere corpo più di 30 anni fa.
Il punto di partenza è l’idea alla base di tutti i vaccini, cioè quella di mettere l’organismo a contatto con un antigene specifico, in modo da stimolare preventivamente una risposta immunitaria con il patogeno a cui appartiene quell’antigene. Nel corso del tempo, questa idea si è sviluppata di pari passo con l’evoluzione delle conoscenze biologiche e delle strategie messe a disposizione delle biotecnologie: dai vaccini tradizionali basati su virus uccisi o attenuati, siamo passati ai vaccini a proteine ricombinanti, che non contengono il patogeno intero, ma solo l’antigene prodotto con le tecniche del DNA ricombinante e poi purificato in laboratorio prima di essere somministrato.
I vaccini a RNA rappresentano un ulteriore passo avanti per ottenere strategie di vaccinazione che, oltre a essere efficaci, siano il più possibile sicure, flessibili e rapide da allestire. Da qui l’idea di usare un filamento di RNA sintetico per veicolare in un organismo l’informazione genetica necessaria a sintetizzare l’antigene e attivare la risposta immunitaria, senza bisogno di ricorrere a un patogeno ucciso o attenuato.
Un’idea semplice, ma complessa da realizzare
L’idea alla base dei vaccini a mRNA può sembrare semplice e immediata, ma Karikó e Weissman hanno dovuto far fronte a numerosi ostacoli per trasformare la loro intuizione in una realtà clinica concreta e spendibile su larga scala. I primi mRNA sintetici prodotti in vitro scatenavano infatti risposte infiammatorie indesiderate e la produzione di proteine antigeniche era troppo bassa perché potesse essere di qualche utilità dal punto di vista clinico. Per molti anni, questi primi ostacoli hanno scoraggiato i potenziali investitori ma, nonostante le difficoltà a ottenere finanziamenti per il proprio progetto, Katalin Karikó non ha mai smesso di puntare sull’idea di usare l’mRNA a fini terapeutici.
All’inizio degli anni Novanta, mentre era all’Università della Pennsylvania, Karikó ha trovato un alleato in Drew Weissman: l’unione delle loro competenze ha permesso ai due di instaurare una collaborazione pluriennale incentrata sulle risposte agli RNA sintetici da parte del sistema immunitario, in particolare delle cellule dendritiche responsabili della presentazione dell’antigene necessaria ad attivare la risposta immune.
La svolta è arrivata quando Karikó e Weissman hanno compreso che, a scatenare la risposta infiammatoria e a precludere un’adeguata produzione dell’antigene nelle cellule, era soprattutto il profilo di modificazioni chimiche dei nucleosidi che costituivano i filamenti di RNA.
L’introduzione nel filamento di mRNA di opportune modificazioni chimiche, in particolare nell’uridina, era infatti in grado di eludere l’attivazione dei recettori TLR (coinvolti nell’infiammazione) e di ridurre la produzione della citochina infiammatoria TNF-alpha. Inoltre, l’utilizzo del nucleoside modificato pseudouridina (ψ) al posto dell’uridina induceva un significativo aumento della produzione di proteine antigeniche nelle cellule. Con questo stratagemma, Karikó e Weissman avevano finalmente trasformato una buona idea in un’idea vincente trasferibile alla clinica e alla preparazione di vaccini.
I risultati della loro scoperta sono stati pubblicati nel 2005 sulla rivista, 15 anni prima della pandemia di COVID-19, e in seguito approfonditi da altri studi del 2008 e 2010. Queste scoperte sono state il trampolino di lancio indispensabile per permettere, nel pieno della pandemia di COVID-19, di allestire a tempo di record due vaccini a base di mRNA modificati che codificavano la proteina di superficie Spike di SARS-CoV-2. Entrambi i vaccini, con efficacia del 95%, sono stati approvati già nel dicembre 2020, a nemmeno un anno dall’inizio della pandemia.
Un risultato ottenuto grazie a investimenti senza precedenti da parte dei governi e delle industrie farmaceutiche che, di fronte alla minaccia di una pandemia, hanno finalmente deciso di puntare sulla tecnologia a cui Karikó e Weissman da decenni dedicavano i loro studi.
Vaccini a mRNA: oltre il COVID-19
La piattaforma tecnologica messa a punto da Karikó e Weissman ha il pregio di essere estremamente versatile e si presta a molte altre applicazioni.
Oltre a costituire uno strumento prezioso in vista di nuove pandemie generate da virus emergenti, la tecnologia dei vaccini a mRNA potrebbe accelerare la preparazione di vaccini che devono essere costantemente aggiornati, come quello antinfluenzale.
Nel campo dell’immunoterapia, e in particolare dei vaccini terapeutici antitumorali, la tecnologia a mRNA potrebbe aiutare ad attivare il sistema immunitario a riconoscere gli antigeni specifici delle cellule tumorali e a eliminarle.
Infine, gli mRNA sintetici potrebbero dare vita a quella che, fin da sempre è una delle speranze di chi studia gli mRNA sintetici, cioè produrre in vivo proteine ad azione terapeutica, per esempio nei casi in cui la loro produzione fisiologica sia ostacolata da una mutazione.
Con il premio Nobel 2023, le applicazioni cliniche degli mRNA si aprono a un ventaglio di possibilità che fino a qualche anno fa forse solo Karikó e Weissman potevano immaginare: una bella rivincita per un progetto in cui pochi hanno creduto e che per molti anni nessuno ha voluto finanziare.