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I buchi neri non hanno capelli

Due libri di divulgazione per parlare dei corpi celesti più amati dal grande pubblico e più studiati negli ultimi anni da chi si occupa di astrofisica

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Hang my head
Drown my fear
Till you all just disappear
Black hole sun
Won't you come
And wash away the rain?
Black hole sun
Won't you come
Won't you come

Soundgarden, Black Hole Sun

I buchi neri sono oggetti cosmici sparsi ovunque, in proporzione grandi come formiche o come balenottere azzurre. Quelli più grandi, i buchi neri supermassicci con masse miliardi di volte quella del Sole, li troviamo al centro di tutte le centinaia di miliardi di galassie che inframmezzano l’oscurità dell’universo, talmente grandi da modellare le forme galattiche che osserviamo a miliardi di anni luce di distanza.

Un buco nero non è un buco nello spazio, ma una regione sferica formatasi in seguito al collasso gravitazionale di una stella molto massiccia (le stelle con masse più piccole diventano nane bianche o stelle di neutroni). Per quanto riguarda i buchi neri supermassicci al centro delle galassie, invece, non si sa ancora come si siano formati.

I buchi neri sono i protagonisti anche del Premio Nobel per la fisica 2020. Una metà assegnato a Roger Penrose «per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una previsione affidabile della teoria generale della relatività», l’altra metà congiuntamente assegnato a Reinhard Genzel e Andrea Ghez «per la scoperta di un oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia».

Penrose è presente anche nell’articolo che chiude La ricerca delle radici di Primo Levi, articolo finale che inizia con una bellissima citazione di Kip Thorne, consulente scientifico del film Interstellar e premio Nobel per la fisica 2017: «la mente umana ha concepito i buchi neri, ed osa sillogizzare quanto è avvenuto nei primi attimi della creazione, perché non dovrebbe saper debellare la paura, il bisogno e il dolore?»

Penrose ha lavorato a stretto contatto con Stephen Hawking, che fra i suoi notevoli meriti (sua la scoperta della radiazione di Hawking, ovvero del fatto che i buchi neri emettono calore) ha anche quello di aver scritto il libro di divulgazione scientifica «più venduto e meno letto della storia»: Dal Big Bang ai buchi neri, Rizzoli 1988. Qui a pagina 67, partendo dal lavoro di Roger Penrose, Hawking scrive:

egli dimostrò che una stella soggetta al collasso gravitazionale viene intrappolata in una regione la cui superficie si contrae infine a dimensioni nulle. E, se la superficie di tale regione si contrae a zero, lo stesso deve valere anche per il suo volume. Tutta la materia presente nella stella sarà compressa in una regione a volume zero, cosicché la densità della materia e la curvatura dello spazio-tempo diventano infinite. In altri termini, si ha una singolarità contenuta in una regione di spazio-tempo nota come un buco nero.

Dal Big Bang viaggiamo 13,8 miliardi di anni fino all’inizio del Novecento, quando Albert Einstein (sempre lui) teorizzò prima la teoria della relatività ristretta (1905), poi la relatività generale (1915). Fra le molte implicazioni della sua teoria, c’erano dei bizzarri, assurdi oggetti cosmici teorici: i buchi neri, regioni sferiche (curvature dello spaziotempo), la cui superficie si chiama orizzonte degli eventi. L’orizzonte degli eventi è sempre nero, perché la gravità è talmente forte che nemmeno la luce può fuoriuscirne.

Tutti gli indizi, da Einstein in poi, hanno portato al risultato ottenuto dalla rete mondiale di otto radiotelescopi EHT (Event Horizon Telescope) con la prima fotografia di un buco nero al centro della galassia Virgo A, detta anche M87, nel 2017. Definita come una delle immagini più importanti della storia, mostra un buco nero di circa 100 miliardi di kilometri di diametro, con una massa stimata di sei miliardi di masse solari.

Più piccolo il buco nero fotografato per la prima volta nel maggio 2022 posto al centro della nostra galassia: circa 44 milioni di kilometri di diametro, pari a 4 milioni di masse solari.

Queste due storiche immagini dimostrano che oggi i buchi neri non sono più oggetti teorici, bensì reali. Reali, e complessi: la fisica che li riguarda coinvolge infatti il “Santo Graal” della scienza. Cioè l’inconciliabile unione di relatività (gravità) e meccanica quantistica (forza elettronucleare), quella gravità quantistica che da decenni fa scervellare le migliori menti della fisica mondiale, per il momento – ancora – senza successo. È possibile, però, entrare in questo mondo incomprensibile anche da profani, grazie a due libri ben fatti, agili e accessibili, in grado di placare parecchie curiosità e di fornire strumenti base e immagini mentali potenti per decifrare il mondo.

Manuale di sopravvivenza ai buchi neri

Il primo lo ha scritto la cosmologa teorica statunitense Janna Levin (1967), e si intitola Manuale di sopravvivenza ai buchi neri (Il Saggiatore, 2022, 147 pp., euro 16). Coerentemente con il contenuto, è un libro piccolo con una grande massa, ricco di analogie, metafore ed esempi. Come fa Galfard, l’autrice induce il lettore all’immedesimazione in una realtà assurdamente violenta e lontana dall’esperienza diretta (umana e terrestre in generale).

Cosa succederebbe se ci avvicinassimo e poi entrassimo in un buco nero? Eccolo spiegato a pagina 67:

All’interno dell’orizzonte degli eventi, per spostarti verso l’esterno dovresti fare ciò che è impossibile, ossia viaggiare a una velocità superiore a quella della luce. Dal momento che niente può viaggiare più veloce della luce, tutte le traiettorie percorribili puntano verso l’interno. Il futuro punta verso il centro. Non hai alternative, puoi solo andare avanti verso la singolarità che esiste nel tuo futuro. L’orizzonte degli aventi esiste solo nel tuo passato. Cadi in quel futuro inesorabilmente mentre la tua compagna che ti sei lasciata alle spalle si è messa in avanti nel tempo verso il futuro: morte per vecchiaia, nazione conquistate e cadute, intere civiltà sorte e scomparse.
La singolarità del buco nero che ingenuamente immaginiamo come il centro di una sfera è in realtà un punto futuro nel tempo e non un punto dello spazio. Non puoi vedere il centro del buco nero. La luce non può viaggiare verso di te dalla singolarità così come non può viaggiare nel passato. Non è possibile tornare indietro nel tempo. La morte nella singolarità è nel tuo futuro. 

In pratica si verrebbe “spaghettificati”, allungati a livelli impensabili per morire miseramente: evaporati.

Da notare che una singolarità gravitazionale «è un punto in cui la curvatura dello spaziotempo tende a un valore infinito», proprio come il Big Bang, dove lo spaziotempo non è altro che il “tessuto” di cui è fatto l’universo deformato dalla massa degli oggetti. Normalmente, invece, come scrisse in modo mirabile il fisico John Wheeler per spiegare la relatività, «la materia dice allo spazio come curvarsi, lo spazio dice alla materia come muoversi».

In quel «punto» di singolarità posto nel futuro, perciò, il tempo a tutti gli effetti è fermo, non esiste, e citando Dante Alighieri (Paradiso, XVII/18) «tutti li tempi son presenti» (ed è lì, nella singolarità in fondo al buco nero, che c’è il mistero più grande: il passaggio dalla relatività alla meccanica quantistica).

Invece in prossimità dell’orizzonte degli eventi, come ci mostra il film Interstellar di Christopher Nolan, il tempo "scorre", ma molto, molto più lentamente rispetto a corpi celesti con campi gravitazionali minori, come il Sole. O la stessa Terra, sulla quale è stato verificato sperimentalmente che il tempo scorre a velocità diverse in base alla distanza dal suo centro ovvero, sempre citando Dante, il «punto al qual si traggon d’ogne parte i pesi» (Inferno, XXXIV, 110-111). Più lento in pianura, più veloce in montagna.

Le uniche caratteristiche distinguibili di un buco nero, per un osservatore esterno, sono la sua massa, la sua carica elettromagnetica e il suo momento angolare di rotazione (lo spin). Un buco nero di data massa, carica e spin è identico a tutti gli altri buchi neri aventi le medesime caratteristiche. Queste tre grandezze significative determinano completamente la geometria dello spazio-tempo del buco nero, ovvero la dimensione e la forma del suo orizzonte degli eventi e dello spazio-tempo circostante. [p. 79]

Ecco perché John Wheeler (ancora lui) disse scherzosamente che «i buchi neri non hanno i capelli»: perché non hanno filamenti di informazioni. Nessuna informazione (come fosse un capello) può uscire dal buco nero.

Tutti i capelli che cerchi di dargli o cadranno all’interno o verranno dispersi per irradiazione, riportando il buco nero alla sua forma immacolata. È per questo che i buchi neri restano per sempre senza peculiarità e senza difetti. [p. 79]

Per scoprire come questo possa essere possibile (dove va a finire l’informazione?!), lasciamo ai lettori il piacere della scoperta, grazie all’immersione in questo utilissimo libro. La vita è un accidente fortunatissimo, sembra dirci la cosmologa. La normalità, in realtà, è buio sterile e violentissimo. La normalità, nell’universo, sono i buchi neri.

I buchi bianchi

Così come i buchi neri erano previsti teoricamente dalle equazioni di Einstein, così sono previsti i buchi bianchi. Cosa siano i buchi bianchi lo descrive Carlo Rovelli (1956) nel suo libro Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte (Adelphi, 2023, 144 pp., euro 14), inevitabilmente da leggere per proseguire l’argomento: un libro di lunghezza simile a quello di Levin, ma di massa ancora maggiore.

[i buchi neri] erano oggetti che i teorici conoscevano già bene: una soluzione di un’equazione. Un buco bianco è la stessa cosa: una soluzione delle equazioni di Einstein. Per questo conosciamo bene anche loro. Anzi, non è neppure un’altra soluzione delle equazioni di Einstein: è la stessa soluzione che descrive un buco nero, ma scritta con il segno del tempo ribaltato. La stessa soluzione, vista come se fosse proiettata all’indietro nel tempo. Un buco bianco è il modo in cui apparirebbe un buco nero se potessimo filmarlo e proiettare il film al contrario.
Le equazioni di Einstein, come tutte le equazioni della fisica fondamentale, non distinguono il passato dal futuro: ci dicono che se un processo può accadere, può accadere anche lo stesso processo ribaltato nel tempo. Se arrivato in fondo alla sua corsa un buco nero rimbalza e ripercorre all’indietro nel tempo la sua storia precedente, come un pallone da basket che rimbalza, allora… si è trasformato in un buco bianco. [p. 65]

Rovelli, grazie alla teoria dei buchi bianchi, risponde anche alla domanda: dove va a finire l’informazione?

La complicata scienza dei buchi neri, grazie a Rovelli, deflagra nella nostra vita reale, nella nostra mente “umana, troppo umana”. È un piacere farsi accompagnare da uno scienziato che è anche un grande scrittore (o viceversa) in grado di essere sempre personale, suggestivo, imprevedibile e con una alta dose di letterarietà, sia prodotta che citata. L’esperienza della lettura potrebbe fermarsi anche solo a questo, ed essere comunque un’esperienza importante. Ma c’è di più, molto di più. Per esempio, la teoria dei buchi bianchi spiegherebbe dove va a finire l’informazione assorbita dai buchi neri…

Consigliamo anche questa serie di video dell’astrofisico Amedeo Balbi dedicati ai buchi neri.
buco nero-1

Il buco nero supermassiccio nel nucleo della galassia ellittica Messier 87 nella costellazione della Vergine. Si tratta della prima foto diretta di un buco nero, realizzata dal progetto internazionale Event Horizon Telescope (immagine: ESO via Wikipedia)

buco nero-2

La prima prova visiva diretta della presenza di un buco nero al centro della nostra Galassia, la Via Lattea (immagine: Wikipedia)

buco nero-3

Una simulazione di buco nero di 10 masse solari visto da una distanza di 600 km con la Via Lattea come sfondo (immagine Wikipedia)