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Essere umani, essere lupi

A metà strada tra romanzo thriller e reportage naturalistico, Essere lupo di Kerstin Ekman racconta il nostro rapporto con la natura

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Esseri umani e lupi: un rapporto difficile fin dall’alba dei tempi. Rapporto che riverbera nella letteratura e nel cinema (tutti conosciamo il povero Ezechiele Lupo, la favola di Cappuccetto Rosso, i licantropi), ma anche nel modo in cui ci esprimiamo. Possiamo essere lupi di mare, lupi mannari, lupi solitari, lupi travestiti da agnelli. Possiamo anche essere allupati, gridare al lupo, avere una fame da lupi o trovarci nella tana del lupo. Può esserci un tempo da lupi e possiamo amichevolmente augurare in bocca al lupo, con la risposta: crepi il lupo! Anche se si sta affermando la formula: In bocca alla lupa… Viva la lupa!... in riferimento al fatto che quando una lupa prende in bocca un cucciolo per spostarlo lo fa con grande cura e delicatezza.

Oltre ai modi di dire, usiamo il lupo nei proverbi. Per esempio:

  • Il lupo perde il pelo, ma non il vizio
  •  Lupo non mangia lupo 
  • Il lupo mangia la carne degli altri e lecca la sua 
  • Chi pecora si fa, il lupo se la mangia 
  • La fame caccia il lupo dal bosco (o dalla tana)
  • Homo homini lupus (lat.): l'uomo è lupo per l'altro uomo 
  • Lupus est homo homini, non homo (lat.): l'uomo è per l'altro uomo lupo, non uomo (cfr. Lo Zingarelli 2023 e Dizionario analogico della lingua italiana, entrambi Zanichelli).

Il lupo, insomma, in quanto simbolo per eccellenza del predatore e di tutto ciò che è selvatico, indomabile, fa parte del nostro immaginario.

Essere lupo

La civiltà prende per sua natura le distanze dalla natura non addomesticata che non distingue fra prede selvatiche e bestiame. La civiltà ha bisogno di recinzioni, reti, muri, stalle, strade, città illuminate. E di cani, non di lupi. 

Con il passare del tempo, però, sembra che molti sentano il “richiamo della foresta”, dopo aver cementificato il mondo, e in quanto simbolo del selvatico il lupo ha oggi – spesso, non sempre – connotazioni di purezza, dignità, appartenenza all’ambiente naturale. Simbolo – anche – di una forma di resistenza a quel progresso che inquina, asfalta, rade al suolo. 

Kerstin Ekman (1933) ha 89 anni e ha scritto un romanzo che si intitola Essere lupo (Iperborea, 2022, 208 pp., euro 17,50. Traduzione dallo svedese di Carmen Giorgetti Cima). Un libro asciutto e vicino alla perfezione, per certi versi avvicinabile alle opere di Cormac McCarthy. 

Il cuore del romanzo è il rapporto tra esseri umani e natura, raccontato con la semplicità tutta apparente dei grandi scrittori, e con la consapevolezza di chi conosce in profondità il mondo naturale, l’ecologia, la vita che vive senza (e nonostante) l’umano.

Ancora l'autunno scorso, e più indietro nel tempo, in tutte le stagioni fredde che ho vissuto ci sono state nel ghiaccio immagini di ali d'uccello, di ramoscelli, di muschio e di stelle. Adesso sapevo che il fenomeno ha un nome: frattali. I loro disegni si ripetono e al tempo stesso variano all'infinito. Come le nuvole nel cielo: non si può mai vedere due volte una nuvola uguale. È una grande consolazione, in un mondo continuamente invaso da stereotipi creati dall'uomo. [p. 42]

Il protagonista si chiama Ulf Norrstig, scorbutico settantenne, ispettore forestale in pensione, da sempre cacciatore, ottimo lettore. È lui a raccontare la vicenda in prima persona, vicenda che ondeggia tra scrittura naturalistica e thriller, con un alto tasso di suspense che rende la lettura vorace e appassionante.

Ulf vive nei pressi di Loasen, nella provincia di Hälsingland: parte centrale della Svezia, zona selvaggia di foreste, con una densità abitativa molto bassa. È sposato da cinquant’anni con Inga, con cui condivide una casa isolata nel bosco e tanti libri letti, in un rapporto molto tenero fatto di dialogo e di fiducia, e di amore per il loro cane Zenta e per la natura.

Zenta dormicchiava stesa sul fianco ma alzo gli occhi sentendo il suo nome. Il suo mantello era folto. Aveva fatto la prima muta a febbraio, e adesso il sottopelo era completo, con la muta autunnale ne avremmo raccolto un bel sacchetto. Avevamo l’abitudine di tenere da parte le retine delle arance che compravamo al negozio, e all’epoca degli accoppiamenti le appendevamo agli alberi piene di lanugine canina. Le cinciarelle, le cinciallegre e diversi altri uccellini venivano a estrarre col becco i morbidi batuffoli con cui foderavano i nidi. Deporre le uova su lanugine di spitz risparmiava loro un bel po’ di lavoro, se non altro. Avevano bisogno di energia per la loro estenuante ricerca di cibo dopo che i loro piccoli erano usciti dall’uovo. A volte tutto quel darsi da fare risultava inutile. Poteva arrivare un pigliamosche bellicoso e sfrattare la cincia dal nido. Occupazione, noi umani abbiamo un termine preciso per questo. [pp. 87-88]

Ulf possiede alcuni ettari di bosco a qualche kilometro da casa. In un punto vicino a un acquitrino ha sistemato una vecchia roulotte dove potersi ritirare ogni tanto. È proprio qui, in una gelida mattinata di un primo gennaio, che la sua vita cambia.

L'uomo scopre nella neve, vicino all’acquitrino, le grosse impronte di un lupo e, poco lontane, le tracce di una predazione avvenuta da poco. Si sistema nella roulotte, armato di caffè e binocolo, e aspetta. Dopo un’ora, dal folto del bosco ecco sbucare un grosso maschio di lupo che Ulf, chiuso nella roulotte, può osservare molto attentamente con il binocolo. Chiamerà il lupo Zampalunga, e questo momento “l’apparizione”.

Ascolta un po’, Zampalunga. Così pensavo, come se fra noi due ci fosse un legame che però, ovviamente, non c’era. Era una cosa unilaterale. Un po’ come con Dio. [p. 21]

Con il progredire degli eventi, Ulf si identifica sempre di più con il lupo, fino a pensare come lui: pagine di virtuosismi etologici dell’autrice, che si dimostra profonda conoscitrice della natura, dei lupi e talentuosa narratrice. Come quando Ulf è in auto, e immagina di essere lupo.

Lui deve bere, pensavo. Non si cura dei rivoli che scorrono sul terreno, ci passa sopra. Sa dove ci sono acque più vaste. Ma quando arriva in cima all’altura sopra la prima pozza si ferma e ascolta. Si trova controvento e allora si fa cauto, si sposta per non diffondere il suo odore. Riprende a salire, si ferma e aspetta, resta a lungo sdraiato. Poi sente quella specie di ringhio sordo che diventa un ruggito e lui sa da dove viene, perché le ha viste spesso quelle cose, dove il terreno è piatto e ghiaioso. I bipedi ci s’infilano dentro, e quando parte il ruggito spariscono presto. Questo sa, di noi, che scompariamo insieme al fracasso. [p. 61]

Il bosco della morte

“L’apparizione” provocherà profondi mutamenti nella vita del protagonista. Non solo un’identificazione con il lupo e il selvatico sempre più forte, ma anche portando a galla “l’orrore ecologico” di tutta una vita. 

La caccia, e soprattutto la gestione scellerata delle foreste. Un senso di colpa che lo porta a definire il suo lavoro passato come “il bosco della morte”:

ll bosco della morte mi stava crescendo dentro. Come parole, come concetto. Le parole possono forse eliminare la paura? [p. 156]

E ancora:

Come avrei potuto farle comprendere il mio tormento? Il fatto che per un’intera vita professionale avessi partecipato a creare quel bosco della morte. Perché una foresta di abeti a uso industriale non è nient’altro che questo. Non ha nessun collegamento con la terra. [p. 173]

In quanto simbolo del selvatico, il lupo rappresenta ciò che vive e preda rimanendo in contatto con la terra. Al contrario di Ulf e della maggior parte degli esseri umani, i lupi uccidono con un senso, con una “coscienza ecologica” totale, mentre il protagonista, improvvisamente conscio di aver ostacolato, con la sua vita lavorativa dedicata a gestire foreste pensate per produrre utili economici, è roso dagli incubi e dai sensi di colpa. Tardivamente fedele a quel motto che dice che non sono le idee o le ideologie a definirci come persone, ma le azioni, le quali devono accordarsi alle idee. Altrimenti le idee – e le parole – sono nient’altro che aria fritta.

I buoni libri non sono fatti di aria fritta e Essere lupo è decisamente un buon libro. Il suo “libro guida” è Memorie di una cacciatore di Ivan Turgenev, in un interessante rispecchiamento che i lettori possono approfondire. Ma c’è un altro collegamento che è lecito fare.

L’ultimo lupo

Il romanzo di Kerstin Ekman ha più di un punto di contatto con il romanzo L’ultimo lupo (Piemme, 2022, 142 pp., euro 13), pubblicato per la prima volta nel 1993 e ormai un classico della letteratura italiana (non solo della letteratura per l’infanzia), scritto dal grande Mino Milani (1928-2022). Racconta l’incontro fra un vecchio, un ragazzino e un lupo. Come in Essere lupo ci sono la caccia, un vecchio solitario, la natura selvatica.

Mario, 84 anni, senza figli, fugge dall’ospizio nel quale lo avevano obbligato per tornare a casa sua, in un piccolo borgo abbandonato dell’Alto Appennino senza luce né gas, immerso nei boschi e lontano tre giorni di cammino dagli esseri umani più vicini. 

Arriverà però, per un paio di giorni, il pronipote Enzo, dodici anni, quasi privo di interessi e con pochissimo entusiasmo. Un ragazzo come tanti, con una vita comoda ai limiti dell’apatia. Dopo un paio di giorni con lo sconosciuto zio Mario, la sua vita non sarà più la stessa. Entrerà in contatto con un mondo lontano, arcaico e autentico. 

Il bosco aveva atteso per secoli quel giorno. Un tempo lontano, esso ricopriva non solo le montagne, ma la valle intera, e la grande pianura che scendeva verso il fiume. Era tutto una immensa foresta, v’erano soltanto alberi, prima che gli uomini venissero e con le loro scuri cominciassero ad abbatterli, per ricavare terreno da coltivare e sul quale costruire capanne e recinti. Per ritrovarsi avevano tracciato piste e sentieri nel bosco; con il passare del tempo, a soddisfare il loro crescente bisogno di terreno, lo avevano ricacciato sempre più indietro, sempre più lontano e più in alto, conservandone solo quanto bastava al loro bisogno di legname e di selvaggina. Campi, case e fattorie, dapprima, poi paesi e città e fabbriche avevano preso il posto degli alberi. [p. 53]

Un mondo dove la vita naturale è importante: anche quella di un singolo lupo, rappresentante non solo di una biodiversità tragicamente in declino e di una saggezza antica, ma anche simbolo della resistenza del selvatico di fronte al cosiddetto progresso.

Per approfondire l'etologia dei lupi puoi leggere anche Homo lupis lupus.
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La copertina di Essere lupo di Kerstin Ekman

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La copertina de L’ultimo lupo di Mino Milani