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Il giardino poetico di Emily Dickinson

Accompagnati dalle parole dell’autrice americana Marta McDowell, andiamo alla scoperta delle piante che hanno ispirato un’icona della poesia mondiale

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Emily Dickinson (1830-1886), una delle poetesse più significative della storia della letteratura, è nata e vissuta ad Amherst, piccola cittadina del Massachusetts (Stati Uniti).

È figlia di Emily Norcross e di Edward Dickinson, avvocato e tesoriere dell’Amherst College. La coppia ha tre figli: Austin (1829–1895), Emily e Lavinia (1833–1899).

La famiglia, di tradizioni puritane e benestante, vive nella spaziosa Casa Dickinson, fattoria fatta costruire nel 1813 dal nonno Samuel, cofondatore dell’Amherst College (ancora oggi esistente).

Qui la giovane Emily, descritta come una bambina con un carattere mite e studioso, a 9 anni si appassiona di botanica, in particolare di giardinaggio e orticoltura, che poi studierà anche a scuola, sebbene compirà studi irregolari.

A 14 anni, molto prima di scrivere le prime poesie, cura un proprio erbario dove raccoglie le piante selvatiche della sua zona, erbario che arriverà a contare più di 400 specie.

Fino a un certo punto della sua vita, Emily studia, compie piccoli viaggi, si innamora. In particolare di Susan Gilbert, sua cognata, moglie del fratello Austin, alla quale scrive più di trecento lettere e con cui stringe un rapporto strettissimo di reciproca stima e condivisione letteraria.

Ad Amherst Emily è conosciuta come “la giardiniera”, non come la poetessa. Infatti durante la sua vita vengono pubblicate appena una decina di poesie (c’è chi dice sette).

Dal 1865 Emily decide di vestirsi solo e unicamente di bianco, e nel 1866, probabilmente in occasione della morte della governante e dell’amatissimo cane terranova Carlo, al suo fianco per ben 16 anni, scrive questa poesia:

Il movimento in una casa
all’indomani di una morte
è solenne fra tutte le faccende
che si compiono al mondo.

Ora si spazza il cuore,
si ripone l’affetto
che non ci serve ormai
fino all’eternità.

Durante la veglia funebre del padre, morto nel 1874, Emily non esce mai dalla sua stanza, ma lascia la porta aperta per ascoltare ciò che accade al piano di sotto. L’immagine della poetessa reclusa, la “matta della soffitta” che non abbandonò mai la sua camera, è stata diffusa dalla prima editor delle sue opere, Mabel Loomis Todd (a lungo amante del fratello sposato di Emily, Austin, poi in guerra con Lavinia per la pubblicazione delle poesie di Emily) anche come strategia per accrescerne l’interesse. È quindi molto difficile discernere tra realtà e leggenda.

La produzione letteraria

Emily scrive le prime poesie verso i 20 anni. Scrive quasi per tutta la vita, e inizia a trovare la propria voce poetica attorno al 1858.

Dal 1858 fino al 1865, cioè dai 28 fino ai 35 anni, scrive circa 1060 poesie (366 solo nell’annus mirabilis 1862, in corrispondenza con l’amore impossibile per il reverendo Charles Wadsworth), a fronte di una produzione di circa 1800 poesie nella sua intera vita, terminata ad appena 55 anni per nefrite.

Alcune poesie vengono inserite nelle numerosissime lettere che scrive a vari conoscenti e amici sparsi per l’America: tolta la famiglia, infatti, i suoi rapporti umani sono prevalentemente epistolari.

Dal 1858, invece, inizia a trascriverle in fascicoli composti da fogli che lei stessa cuce fra loro con ago e filo, ognuno dei quali contiene in media circa 20 poesie. Alla morte di Emily, la sorella Lavinia conterà, con comprensibile stupore, 49 fascicoli di poesie scritte in bella copia. Lavinia, come da richiesta della sorella, brucia le lettere trovate nella stanza, ma capisce subito che le poesie, mai menzionate da Emily, sono speciali e meritano di essere lette.

«Questi fascicoli di poesie furono veramente il luminoso segreto della vita di Emily, il tesoro nascosto la cui scoperta, dopo la morte della poetessa, sbalordì la sorella Lavinia. Familiari e amici sapevano, naturalmente, che Emily scriveva versi (ella stessa li diffondeva nelle sue lettere), ma nessuno aveva idea della mole di questa produzione.»
[Margherita Guidacci, Nota introduttiva, in Poesie e lettere, Sansoni, 1961]

L’alone vittoriano attorno alla figura di Emily non racconta tutta la storia. Della storia fanno parte anche, e soprattutto, le poesie che l’hanno resa immortale: troppo moderne per i contemporanei, solo in apparenza “semplici”, con punteggiatura e ritmo nuovi (per esempio i trattini al posto di virgole e punti a segnalare il respiro), in realtà piene di coraggio e frutto di una lotta poetica personale, continua, perlopiù solitaria, completamente fuori dal suo tempo (in questo così vicina a Herman Melville e alla sua lotta con Moby-Dick).

Sembra quasi di avere a che fare con una viaggiatrice nel tempo che ha visitato il futuro e poi, tornata nel suo paesello puritano e nella sua silenziosa stanza, ha prodotto con l’energia di una leonessa bellezza a uso esclusivo dei posteri. Con una sensibilità nei confronti della natura che risulta moderna ancora oggi.

Questa è la mia lettera al mondo
che non ha mai scritto a me –
le semplici cose che la natura
ha detto – con tenera maestà.

Il suo messaggio è affidato
a mani che non posso vedere –
Per amore di lei – amici miei dolci –
con tenerezza giudicate – me.

Nessuno pare sapere con precisione cosa accada a Emily per spingerla a isolarsi. C’è chi dice epilessia, chi depressione, ma sono illazioni. Si sa solo che verso la fine degli anni ’60 una serie di lutti e dispiaceri anche amorosi la mettono a dura prova, ed emergono alcune fragilità. Riduce i rapporti con il mondo esterno fino allo zero, ma il confine fra la sua camera, il giardino d’inverno fatto costruire dal padre, il grande giardino e l’orto è permeabile. Diventano questi i suoi mondi.

Il suo amore per le piante, i fiori, gli insetti è tenace. Emily ha bisogno della natura, perché anche nei suoi aspetti più spietati è l’unica in grado di lenire il dolore e a raccontare le storie di cui Emily ha bisogno, in un continuo avvicendarsi di precisa osservazione naturalistica e simbolismo letterario. In un continuo scambio fra mondo esteriore e mondo interiore.

Questi infatti sono i suoi temi, che sono anche i temi universali dell’arte e della grande letteratura: amore, dolore, vita, morte, rinascita. Come sanno tutti i botanici.

Emily e i suoi giardini

Avevamo visto, nell’articolo dedicato ai bombi, la capacità di Emily Dickinson di tratteggiare in pochissimi versi risonanze fra interiorità emotiva e natura.

Per fare un prato occorrono un trifoglio e un’ape −
un trifoglio e un’ape
e il sogno!
Il sogno può bastare
se le api sono poche.

A questo tema è dedicato un bellissimo libro, curato nei minimi dettagli e riccamente illustrato, scritto dall’autrice americana Marta McDowell. Si intitola Emily Dickinson e i suoi giardini. L’universo verde della poetessa (L’ippocampo edizioni, pp. 270, euro 19,90).

Approfondita e mai noiosa biografia della poetessa, il libro procede come un calendario poetico-botanico, seguendo Emily e il susseguirsi delle specie vegetali lungo i mesi e le stagioni, utilizzando le risonanze fra poesie, lettere, piante e immagini.

Come sanno tutti i botanici, è durante l’inverno che si supera la morte apparente e che la vita si prepara al suo grande ritorno: «Da bambina, quando ogni anno i fiori morivano, leggevo sempre il Libro dei Fiori del Nord America del dottor Hirchcock. Assicurandomi che erano ancora vivi, mi consolava della loro assenza», scrive Emily in una lettera citata a p. 34.

Che importa ai morti del canto del gallo?
Che gl’importa del giorno?
Troppo tardi ferisce il loro volto
la vostra aurora – ed il mattino versa

la porpora insolente su di loro
vacua come un filo delle mura
che il muratore ha costruito ieri –
ed altrettanto gelida –

Che cosa importa ai morti dell’estate?
Non ha sole il solstizio
che disciolga la neve a quel cancello –
E se esistesse un uccello che conosce

la melodia capace di eccitare
le loro orecchie ottuse –
sarebbe d’ora innanzi di tutti gli uccelli
il più gradito dell’uomo –

Che cosa importa ai morti dell’inverno?
lo stesso gelo patiscono in giugno
a mezzogiorno – e di notte in gennaio –
Come il sud ponesse le sue brezze

di sicomoro – o di cinnamomo –
dentro una pietra e sopra
un’altra pietra per tenerle calde –
Date gli aromi – ai vivi –

Da segnalare che qui il sicomoro è il platano (in inglese detto sycamore) e il cinnamomo è un genere che accoglie circa 300 specie di piante dalle quali si producono, per esempio, sia la canfora che la cannella, che sono spezie molto aromatiche (più apprezzate dai vivi che dai morti... come suggerisce Emily). E ancora:

Come scope d’acciaio
la neve e il vento
avevano spezzato il viale d’inverno –
la casa era sprangata
il sole mandava
fievoli delegati del caldo –
Dove l’uccello cavalcava
il silenzio legò
il suo vasto – destriero flemmatico
La mela nella cantina confortevole
era la sola che giocava.

Le primavere di Emily

Ed è durante la primavera che la vita esplode di calore, colori, ronzii di insetti e canti di uccelli.

In linea con la semplicità ricercata dalla poetessa, vediamo un paio di esempi poetici ispirati a piante e fiori che tutti conoscono o, meglio, che tutti possono trovare in un prato semplicemente abbassando gli occhi.

Un tipico colore della primavera è il giallo e uno dei principali responsabili è il tarassaco (Taraxacum officinale), pianta molto comune, perenne, commestibile, curativa (non a caso officinale), anemofila: ovvero il frutto (detto achenio) viene diffuso utilizzando il vento grazie al pappo, sorta di paracadute che può farlo volare per molti chilometri.

Che sia una pianta molto diffusa lo si capisce anche dal suo grande numero di nomi volgari, per esempio: dente di leone (per la forma delle foglie), piscialletto (per le proprietà diuretiche), girasole dei prati (la corolla dei fiori si chiude di notte o quando è nuvoloso) e soffione: una delle prime cose che i bambini fanno quando si trovano in un prato è infatti raccogliere l’infruttescenza (l’insieme degli acheni con pappi) e soffiare forte per farli volare ovunque.

«Io sono una dei campi, si sa, e se mi trovo a mio agio col dente di leone, in un salotto faccio solo una triste figura», scrive Dickinson in una lettera a Susan. E più tardi, nel 1882, scrive questa poesia:

La pallida colonna del soffione
sgomenta l’erba – ed ecco
che l’inverno d’un tratto si trasforma
in un coro di gemiti infinito –
Una sontuosa gemma dello stelo
spicca seguita da un fiore sgargiante –
sono i soli che danno l’annuncio
delle esequie compiute.

Fra i fiori più colorati c'è la viola del pensiero (Viola tricolor), pianta selvatica, perenne e commestibile, con i fiori spesso utilizzati per adornare insalate e altri piatti. Emily Dickinson le dedica la poesia 167, del 1860.

Io sono la “pansé”!
Io me ne infischio dei cieli
imbronciati!
Se la farfalla tarda
posso, perciò, mancare?

Se il bombo fifone
resta in un angolo del focolare
io devo tirare dritto!
Chi canterà le mie gesta?

Caro – fiorellino fuori moda!
È fuori moda anche l’Eden!
Sono tipi antiquati gli uccelli!
Il cielo non cambia il suo azzurro.
E io nemmeno, la pansé –
sarò mai convinta a farlo!

Come chiarisce McDowell, «il vocabolo “pansé” deriva dal francese pensée, “pensiero”. La viola dunque è pensosa e i suoi fiori sembrano facce che invitano alla contemplazione. Forse è per questo che in inglese viene anche detta heart’s ease, “pace del cuore”» [p. 25], quella stessa pace che Emily sembra cercare e trovare nell'osservazione della natura e nel giardinaggio.

Interessante, per concludere, la visione ecologica di Emily, per esempio tra piante e parassiti. Come sempre, non è un trattato botanico: è qualcosa d’altro. È poesia, e parla a ognuno di noi:

La morte è come l’insetto
che minaccia l’albero,
qualificato a ucciderlo,
ma lo si può adescare.

Lusingalo con il balsamo,
cercalo con la sega,
depistalo, anche a costo
di tutto ciò che sei.

Se poi si è rintanato
di là da ogni perizia –
torci l’albero e lascialo.
Così vuole il parassita.

Chi vuole può continuare a cercare corripondenze tra poesia e botanica in Emily Dickinson. Leggendo il libro di Marta McDowell, oppure uno qualsiasi dei libri di poesie pubblicati in Italia di Emily Dickinson. Le sorprese non mancheranno.

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Fiori di Viola tricolor (immagine: Wikipedia)

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Emily Dickinson nel dagherrotipo ripreso fra il 1846 e il 1847, restaurato nel XXI secolo. La fotografia fu scattata al College di Mount Holyoke nel cui archivio è stata ritrovata (immagine: Wikipedia)

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La copertina del libro di Marta McDowell su Emily Dickinson

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Ciclo vitale del tarassaco comune: nella prima riga si nota il germoglio diventare fiore; seguono le fasi di formazione dell’infruttescenza che, infine, viene dispersa nell’aria (immagine: Wikipedia)