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La Terra senza di noi, con i nativi climatici

Lo sfruttamento della biosfera, una nuova estinzione di massa, il cambiamento del clima. Le sfide che le prossime generazioni dovranno affrontare sono già di fronte a noi. Il nuovo libro di Telmo Pievani ci aiuta a capire perché non ce ne rendiamo ancora conto. Ma ci mostra anche quali soluzioni abbiamo già a portata di mano
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Il riscaldamento climatico non è una previsione, è già una storia vecchia. Telmo Pievani

Stiamo distruggendo il libro della vita prima ancora di averlo letto come si deve. Martin J. Rees

    Dopo un anno, ancora in piena pandemia, pare stia crescendo la consapevolezza di come questa emergenza virale sia strettamente connessa allo sfruttamento insostenibile della natura (vedi questo articolo di Giorgio Vacchiano), correlazione espressa in modo magistrale anche nel noto libro di David Quammen Spillover. Lo sfruttamento delle risorse naturali va di pari passo con il cambiamento climatico, la più grave catastrofe che l’umanità si sia mai servita sul piatto da sola. Ce lo ricordano in molti, oltre alla comunità scientifica, da Bill Gates a Papa Francesco a David Attenborough, e così fa anche il documentario I am Greta. Una forza della natura (2020), da poco uscito su Amazon Prime e girato dal documentarista Nathan Grossman, il quale ha iniziato le riprese – dimostrando una lungimiranza davvero notevole – nell’agosto del 2018, quando ancora nessuno conosceva quella giovanissima attivista che stazionava, stoica e sola, davanti al parlamento svedese.
Greta Thunberg davanti al parlamento svedese uno dei suoi venerdì di sciopero per la lotta al cambiamento climatico (immagine: shutterstock.com)
Lo spettatore, oltre a conoscere Greta Thunberg nei suoi aspetti privati, vede crescere il movimento Friday For Future ed è aiutato a comprenderlo. Aiuta anche a comprendere come Greta sia potuta diventare in breve tempo il simbolo della lotta globale al cambiamento climatico, soprattutto fra i suoi coetanei. Cioè fra coloro che contano davvero in tutta questa faccenda: i “nativi climatici”, chi è nato nell’era del cambiamento climatico, o meglio nell’era della piena presa di coscienza del cambiamento climatico in atto.    

La Terra senza, prima, dopo di noi

Cari nativi climatici, c’è un libro molto interessante da aggiungere alle vostre letture. Si intitola La Terra dopo di noi (Contrasto, 2019, 181 pp., euro 22,90) e lo ha scritto Telmo Pievani (1970), uno dei più importanti e talentuosi divulgatori in Italia. Filosofo della scienza, direttore del portale dell’evoluzione Pikaia, Pievani ricopre la prima cattedra italiana mai esistita di filosofia delle scienze biologiche, all'Università di Padova. È un libro bello da guardare e utile da leggere. Bello perché il testo è accompagnato dalle fotografie di Hans Lanting (secondo lo spirito della collana «In Parole» dell’editore Contrasto), le quali – parte soprattutto del progetto La vita: un viaggio nel tempo – mostrano una Terra selvaggia, aspra e bellissima, senza traccia di esseri umani e antropizzazione. La mancanza di esseri umani è anche l’ipotesi peggiore paventata da Pievani se continueremo con gli attuali stili di vita. Come fa il suggestivo libro di Alan Weisman Il mondo senza di noi (Einaudi, 2017), che prefigura un mondo all’improvviso disabitato descrivendo per filo e per segno cosa accadrebbe alle città e alla biosfera. Ma Pievani fa qualcosa di completamente diverso, e lo fa attraverso il racconto – appassionante e circostanziato – della storia della vita sulla terra, dell’evoluzione e anche della natura umana, per risolvere il primo problema quando ci troviamo davanti a un problema: prendere piena coscienza del problema!  
Sia la nostra mente sia il mondo sociale ed economico attuale sono progettati sulla miopia. Il cambiamento climatico è una trappola cognitiva: ci siamo dentro, ma non siamo capaci di pensarlo per davvero. Siamo programmati per non essere lungimiranti. [p. 155]
  Si chiama trappola evolutiva: una specie modifica troppo intensamente e velocemente l’ambiente, e poi si ritrova a non essere adattata ad affrontare i cambiamenti, anche perché mentre li vive, i cambiamenti, non è capace di percepirli. Ecco la trappola. Non serve un meteorite per estinguersi, come è accaduto ai dinosauri. I quali, peraltro, con la loro estinzione hanno favorito la nostra stessa esistenza, lasciando campo libero ai piccoli mammiferi che sopravvivevano nell’ombra, in un mondo dominato dai sauropsidi. Come insegnano le estinzioni di massa precedenti, «raramente i dominatori della fase precedente sono anche i dominatori della successiva» [p. 90]: l’evoluzione è democratica, favorisce il ricambio delle specie. Davvero vogliamo abbandonare la partita? Come specie Homo sapiens (sapiens?), non dobbiamo dimenticare che la stragrande parte del tempo della vita sulla Terra è trascorso senza di noi, e che il cambiamento climatico è un problema complesso e “multidimensionale”. Cioè «non è un singolo fenomeno, ma un insieme di cambiamenti fisici, ambientali, sociali ed economici […] che coinvolge il governo mondiale, i fallimenti del mercato, la ricerca tecnologica, la giustizia globale, e le loro iterazioni causali complesse.» [p. 135]  

La sesta estinzione e l’Antropocene

Oggi stiamo affrontando la sesta grande estinzione di massa della storia terrestre, nell’era geologica che è stata chiamata Antropocene, che inizia… quando inizia l’Antropocene? Ci sono varie proposte a riguardo, ma la più (triste e) suggestiva fa iniziare questa era di massiccia dominanza umana sull’ambiente geologico e naturale nel 1610, anno in cui l’anidride carbonica crollò come mai sarebbe accaduto dopo.  
Immagine dal XII libro del Codice fiorentino, scritto tra il 1540 e il 1585, che mostra i Nahua del Messico centrale ammalati di vaiolo durante la colonizzazione europea delle Americhe (immagine: wikipedia)
Nel 1610 morirono così tanti amerindi (a causa del lungo genocidio degli europei e delle malattie da loro portate) da modificare la composizione dell’atmosfera terrestre. Non è una teoria: di questa tragedia è rimasta traccia nelle carote di ghiaccio estratte in Antartide, le quali raccontano «una storia di saccheggio, di colonialismo, di imperialismo e di schiavitù. Dopo il 1610 i profitti dell’economia mondiale capitalistica detteranno l’agenda e avrà inizio il vero Antropocene, l’epoca in cui l’uomo si sente il padrone» [p. 111]  
Comprendere l’Antropocene è difficile, perché è troppo grande per noi. La nostra mente fatica a cogliere l’immensità delle ere geologiche, figuriamoci a capire il senso di un’epoca geologica che sta accadendo adesso, in cui siamo immersi fino al collo e di cui siamo parte in causa. Razionalmente afferriamo la possibilità di un lontano mondo senza di noi o di una Terra – in un futuro così remoto che la nostra specie sarà già estinta – che porterà ancora in segni geologici del nostro impatto, ma gli studi sperimentali di psicologia cognitiva e sociale condotti finora mostrano che in realtà il nostro cervello tende a rifiutare, nel profondo, una tale evidenza. È troppo vasta, illimitata. [p. 124]
  La grande sfida di tutti noi, in particolare di voi nativi climatici, come già sapete è comprendere in massa, emotivamente e razionalmente, il cambiamento climatico in atto. E il fatto che non c'è più tempo. Nel corso della nostra storia abbiamo già portato all'estinzione 1/3 delle specie viventi. Ed ecco perché questo libro, oltre a essere bello, è anche utile. Mette in prospettiva presente, vastissimo passato e immediato futuro con uno sguardo lungo, comprensivo delle ere geologiche e della loro storia. Informa divulgando dati e studi recenti. Aiuta a riflettere sul nostro ruolo. Aiuta a prendere coscienza – attraverso la conoscenza, quindi in modo profondo, non solo emotivo – delle nostre responsabilità e delle soluzioni che dobbiamo al più presto adottare per salvare la nostra pelle di primati glabri. Finita la lettura, il lettore non ha più scuse, non può più giustificarsi con il fatto che «l'evoluzione ci ha predisposto a rispondere ai rapidi movimenti di oggetti di medie dimensioni, non al lento accumulo di gas impercepibili in atmosfera» [p. 140]. Ora serve il ragionamento, non l'istinto. Sarebbe un vero peccato che tutta la bellezza intorno a noi non avesse più occhi umani per essere guardata.      
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