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Le visioni di Ulisse Aldrovandi

Naturalista, botanico, collezionista, fu il primo a capire l’importanza delle immagini per lo studio e la divulgazione delle scienze naturali.

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«Aldrovandi, il più laborioso e il più sapiente di tutti i naturalisti, ha lasciato, dopo un lavoro di sessant’anni, dei volumi immensi sulla storia naturale, che sono stati stampati successivamente, e per la maggior parte dopo la sua morte…»
Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788)

Cinema, televisione, internet, videogiochi, multiverso, NFT e chi più ne ha più ne metta, fino al recentissimo Midjourney, programma di intelligenza artificiale in grado di “disegnare”. Quanto sono importanti e pervasive le immagini nelle nostre vite? Oggi, ma anche ieri.

La Chiesa investiva fortune nell’arte (pittura e architettura) per divulgare e promuovere il proprio messaggio. Michelangelo e Bernini, per fare due esempi, erano fuoriclasse pagati profumatamente, così come oggi sono pagati, per il ritorno economico che generano, calciatori come Ronaldo, Messi e Mbappé.

A cavallo tra Rinascimento ed età moderna, anche un naturalista avevo compreso il valore delle immagini, ma il suo obiettivo era un altro.

Aldrovandi delle meraviglie

Ulisse Aldrovandi, di origini nobili, nasce a Bologna l’11 settembre 1522, cinquecento anni fa, e muore sempre a Bologna il 4 maggio 1605 alla veneranda e inconsueta età di 83 anni, sopravvivendo a tutti i suoi figli.

Uomo dai molti primati, nella storia della scienza rappresenta una sorta di ponte tra l’intellettuale rinascimentale con un piede ancora nel misticismo medievale e un rappresentante di quella scienza che si sarebbe affermata con Galileo Galilei (1564-1642) e il suo metodo scientifico.

Se Aldrovandi fosse statunitense, probabilmente la sua vita avrebbe ispirato più di un film. A 12 anni, «senza danari e con animo ardito», scappa di casa per andare a visitare Roma, da solo, in tempi in cui si viaggiava a piedi in strade molto più pericolose di quelle di oggi. Ancora più pericoloso e picaresco il viaggio a piedi iniziato da adolescente a Castel San Pietro Terme verso Santiago di Compostela, percorso devozionale preso di mira da ladri e briganti, che infatti lo assalirono lasciandogli solo il bastone e le scarpe.

Irregolari anche i suoi studi. A 16 anni contabile. A 17 anni studente universitario nella facoltà di legge, poi abbandonata per studiare filosofia naturale, con medicina, logica e matematica. A 27 anni incarcerato a Roma e processato dal Sant’Uffizio, davanti al quale deciderà di abiurare. A 31 anni finalmente laureato a Bologna in filosofia e medicina.

Nel 1561 Aldrovandi è il primo lettore (cioè docente) della prima cattedra di scienze naturali mai esistita, corso chiamato “Filosofia naturale ordinaria”, con un programma di studio dedicato a piante, animali e fossili (fu lui a coniare la parola "geologia"). Come fare per insegnare in modo efficace?

Il primo museo

La sua natura classificatoria diventa ossessiva, e per questo utilissima ed efficace. Già nel 1549, durante le sue esplorazioni, inizia a raccogliere campioni di piante, fossili, animali. Come sottolinea Biancastella Antonino nel bellissimo volume L’erbario di Ulisse Aldrovandi (Federico Motta editore, 2003, fuori catalogo) il suo è un «emporio dell’universo», non una banale Wunderkammer, o camera delle meraviglie, dove i collezionisti raccoglievano curiosità e oggetti preziosi.

I Musei Capitolini di Roma vengono considerati il primo museo modernamente inteso, aperti al pubblico nel 1734. Ma Ulisse Aldrovandi è precursore anche in questo. La sua collezione è costituita da circa 18.000 pezzi tra minerali (7000), animali imbalsamati, erbari, disegni, oltre a 3500 volumi (solo nel XIV secolo Francesco Petrarca, considerato fra i più grandi umanisti di sempre, aveva una biblioteca di appena 200 codici, anche se ogni codice in genere conteneva più opere). La collezione si trovava a casa sua ed era aperta a tutti, non solo a colleghi e studenti, mentre oggi si trova a Palazzo Poggi, a Bologna.

Il ruolo della botanica

Aldrovandi può essere considerato tra i fondatori delle scienze naturali e un precursore del metodo sperimentale. Protagoniste delle sue osservazioni sono le piante, da lui osservate morfologicamente, raccolte e classificate.

La botanica è strettamente connessa alla medicina, perché dalle piante gli speziali (i farmacisti) estraggono i principi attivi per curare le malattie. Nel 1568 Aldrovandi fonda l’orto botanico di Bologna, seguendo gli esempi di Padova e Pisa, e di uno dei suoi maestri più importanti, Luca Ghini (1490-1556), colui al quale è attribuita l’invenzione dell’erbario, cioè di una raccolta di piante essiccate utile per l’identificazione e l’insegnamento. Successivamente presiede una commissione del Collegio dei Medici, a Bologna, per dare ordine e controllo a tutte le sostanze mediche e velenose.

Ghini introduce anche l’iconografia botanica per identificare le piante rare. Non sempre infatti è possibile osservare le piante nel loro habitat, ed è così che gli erbari possono essere una utile raccolta per quelle piante raccolte in luoghi lontani, laddove non sia possibile portarne esemplari vivi negli orti botanici.

Ma a fini didattici e di studio non è possibile duplicare un erbario (“hortus siccus”). Da qui la necessità di poter contare su una raccolta iconografica (“hortus pictus”).

Arte al servizio della scienza

Aldrovandi comprende perfettamente l’importanza dei disegni e della loro riproducibilità per poter trasmettere conoscenza e mantenere alto il livello didattico, cosa che puntualmente avviene, con le sue lezioni frequentate da studiosi e studenti provenienti da tutta Europa, facendo di lui un naturalista e intellettuale di rilievo internazionale (come più tardi avverrà per Alexander von Humboldt).

A sue spese Aldrovandi stipendia importanti e capaci illustratori, perché a suo parere il confronto fra la realtà morfologica degli esemplari osservati in natura e ciò che è descritto nei testi antichi su cui tutti si basano è a dir poco fallimentare e anacronistica.

Per pagare i pittori e gli intagliatori spende di sua tasca circa 200 scudi d’oro all’anno, probabilmente l’equivalente di circa 30.000 euro di oggi. Gli artisti lavorano sul legno e usano la tecnica della xilografia: incidono minuziosamente tavole di legno (le matrici) che poi ricoperte di inchiostro servono da “stampo” per riprodurre la figure intagliate tutte le volte che è necessario.  

Ed è forse anche questo il motivo per cui i libri che possiamo leggere di/su Aldrovandi sono quasi tutti così riccamente illustrati, mentre la sua produzione come autore è ancora oggi, in gran parte, da scoprire, con migliaia di pagine inedite conservate nella Biblioteca universitaria di Bologna.

Quattro fra i libri più interessanti sono fuori commercio e veramente molto belli (oltre che utili per la stesura di questo articolo):

  • L’erbario di Ulisse Aldrovandi (Motta, 2003)
  • Animali e creature mostruose di Ulisse Aldrovandi (Motta, 2004)
  • De piscibus. La bottega artistica di Ulisse Aldrovandi e l’immagine naturalistica (Edizioni dell’elefante, 1993)
  • Hortus pictus dalla raccolta di Ulisse Aldrovandi (Edizioni dell’elefante, 1993)

Un altro libro racconta il ruolo di Aldrovandi nella divulgazione attraverso l’illustrazione e la sua eredità: Ulisse Aldrovandi. Libri e immagini di Storia naturale nella prima Età moderna (Bononia University Press, 2018).

Poi c’è “l’altro Aldrovandi”, l’Aldrovandi che, occupandosi di quasi tutto lo scibile della filosofia naturale, si occupa anche di mostri, attirandosi l’accusa di creduloneria da parte di Buffon.

La natura dei mostri

Cosa sono i mostri? Alcuni sono animali esotici che per ignoranza vengono visti come mostruosi o fantastici. Come l’unicorno, che in realtà è il rinoceronte, o le sirene, che si pensa siano state ispirate da lamantini e dugonghi.

Altri mostri erano esseri umani con deformità genetiche o malformazioni causate da carenza di cibo o malattie. Altri ancora erano creature diventate mostruose nel passaparola, figlie della fantasia e delle paure degli esseri umani che cercavano di dare una forma a ciò che non conoscevano e di cui avevano paura.

Tutto questo è raccontato e illustrato nel libro pubblicato più di recente di Ulisse Aldrovandi intitolato Monstrorum Historia (Moscabianca edizioni, 2022, 319 pp., euro 24), dove il monstrum, come scrive il curatore Lorenzo Pica, è sovrapponibile al prodigium: «La qualifica di mostro compete a tutto ciò che esorbita dalla regola di natura: si tratta di un giudizio obiettivo che non comporta alcun apprezzamento di valore o caratterizzazione negativa.» [p. 6]

Molto interessante anche l’analisi storica, letteraria e linguistica che ne dà Aldrovandi, muovendosi fra cultura latina e cultura greca: «così Cicerone, nel primo libro del De divinatione, scriveva che monstra, ostenta, portenta e prodigia sono così chiamati in ragione del fatto che mostrano, ostentano, presagiscono e predicono.» [p. 116]

In questo campionario di mostri, portenti e prodigi ci imbattiamo nel commovente tentativo di dar loro un senso, prima che le parole "scienza" e "scienziato" – come noi le intendiamo oggi – nascessero.

Ci imbattiamo anche nelle donne e negli uomini selvatici o selvaggi: pelosi, vivono nei boschi, al di fuori della cultura, immersi nella natura. Si narra che abbiano trasmesso a noi essere umani “culturali” i segreti del formaggio e dell’apicoltura, per esempio. Si sa, invece, che i selvatici sono presenti in quasi tutte le culture del mondo. I più famosi sono lo Yeti e il Bigfoot, mentre Aldrovandi li ascrive al popolo dei Cinnamini, dal greco kyon, cane:

[...] a osservarli suscitano stupore per il rigoglio della lunga barba e dei peli in tutto il corpo. […] Essi, per propria difesa, allevano una numerosa muta di cani, dal momento che, nel periodo tra il solstizio d’estate e quello d’inverno, innumerevoli buoi indiani sciamano senza tregua nel loro territorio. […] I Cinnamini, perciò, valutando che le proprie forze non sarebbero adeguate ad arginare l’invasione di siffatti buoi, si difendono crescendo una moltitudine di cani. Con questi, per di più, vanno a caccia e prendono moltissimi buoi, una parte dei quali mangiano nell’immediato, un’altra parte invece ripongono sotto sale per consumarla in seguito. [p. 78]

È vero, c’è un po’ di creduloneria, come racconta anche il libro per giovani Il drago di Bologna e altre meraviglie di Ulisse Aldrovandi di Francesco Nigro e Luca Parisi (Minerva edizioni, 2021, 64 pp., euro 9, storia raccontata dal punto di vista del Cicap, qui), ma anche la ferma ed eroica forza di volontà di comprendere il mondo. Se fare questo è diventato via via sempre un po’ più facile, lo dobbiamo anche a figure come Ulisse Aldrovandi.

In molti hanno giocato con ciò che non esiste veramente, ma in un universo parallelo potrebbe. Vengono in mente:
  • B. Hudspeth, Il codice delle creature estinte. L'opera perduta del dottor Spencer Black (Moscabianca edizioni, 2019)
  • Jorge Luis Borges, Il libro degli esseri immaginari (Adelphi, 2006)
  • Leo Lionni, La botanica parallela (Gallucci, 2021)
  • Fosco Maraini, Il nuvolario (fuori catalogo)
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Piante e animali tratti da testi di Ulisse Aldrovandi

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Illustrazione di un polpo tratta dai testi di Ulisse Adrovandi

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Un cinnamino ritratto nei testi di Ulisse Aldrovandi

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Ritratto di Ulisse Aldrovandi (immagine: Wikipedia)

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Draco bononiensis in un’illustrazione tratta dai testi di Ulisse Aldrovandi

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