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Un passo dopo l'altro: la scienza del camminare

Al corpo, alla mente, ma anche alla società. I benefici di una camminata oliano tutti i cardini fondamentali della vita di Homo sapiens, la specie che, come ci racconta il neuroscienziato irlandese Shane O'Mara in Camminare può cambiarci la vita, deve al bipedismo tutta la sua fortuna evolutiva
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Benché sia un’eredità del nostro lontano passato evolutivo, camminare è anche il nostro futuro. Shane O’Mara

Camminare è la migliore medicina per l’uomo. Ippocrate (460-377 a.C.)

    Un giorno di primavera di qualche anno fa mi svegliai dal letargo e mi accorsi che ero ingrassato quasi dieci chili in un solo inverno. Decisi di rimettermi in sesto, iniziai a correre e rimasi zoppo per più di un mese a causa di una infiammazione al ginocchio. «Correre fa male, soprattutto alla sua età», disse la mia antipatica, ma saggia dottoressa. «Se proprio deve… Provi con la camminata veloce.» Dovevo. Provai. Il male al ginocchio non ce l’ho più avuto e oggi se non cammino un po’ tutti i giorni sento che qualcosa di importante manca. Non arrivo agli estremi dello scrittore umoristico David Sedaris, che nel racconto Passo dopo passo (nel libro Calypso, Mondadori 2019) narra di come la sua vita è cambiata quando un’amica gli ha segnalato l’esistenza del Fitbit, un orologio-contapassi di ultima generazione.  
Nelle prime settimane mi capitava di tornare in albergo a fine giornata e, scoprendo di aver fatto un totale di, chessò, dodicimila passi, uscire a farne altri tremila. «Ma perché» mi ha chiesto Hugh quando gliel’ho detto. «Perché dodicimila non ti bastano?» «Perché» gli ho risposto «il mio Fitbit dice che posso fare di meglio.» Oggi ripenso a quel periodo e mi viene da ridere. Quindicimila passi: figuriamoci! Sono appena undici chilometri! Vanno bene se sei in viaggio per lavoro o ti stai abituando a una gamba artificiale.
  Prendendoci gusto e per darmi un po’ di spinta lessi alcuni libri sull’argomento, per esempio:
  • Erling Kagge, Camminare. Un gesto sovversivo (Einaudi)
  • Rebecca Solnit, Storia del camminare (Bruno Mondadori)
  • David Le Breton, Il mondo a piedi. Elogio della marcia (Feltrinelli)
  • Davide Sapienza, Camminando (Lubrina)
  • John Muir, Mille miglia in cammino fino al Golfo del Messico (Edizioni dei cammini, editore specializzato sull’argomento)
  • Tomas Espedal, Camminare. Dappertutto (anche in città) (Ponte alle Grazie)
  • Enrico Brizzi, Nessuno lo saprà. Viaggio a piedi dall'Argentario al Conero (Mondadori Strade blu)
  Libri tutti molto interessanti che, ognuno a suo modo, affrontano il tema in modo originale da un punto di vista storico, filosofico, autobiografico, memorialistico, narrativo. Camminare può cambiarci la vita (Einaudi, 2020, 187 pp., euro 13, traduzione di Elisabetta Spediacci), scritto dal neuroscienziato irlandese Shane O’Mara, invece affronta il camminare da un punto di vista scientifico, avvalendosi di studi scientifici, aneddoti e storie, esperienze personali. Peraltro dando involontariamente ragione al mio medico curante: «chi cammina tende a farsi meno male di chi fa jogging» [p. 123]. L’autore sostiene che la nostra evoluzione è stata rivoluzionata dal bipedismo, prima ancora che dal pollice opponibile, dal fuoco e dal linguaggio complesso. Cioè dal fatto che a un certo punto della nostra storia ci siamo eretti sui due piedi e abbiamo iniziato a camminare con le mani libere e il cervello in grado di evolversi con il movimento, per il movimento.  
Scaricare la locomozione sui piedi, stabilizzando l’equilibrio lungo la colonna e le anche, ci ha consentito di scagliare sassi e lance, di muoversi furtivi e attaccare con primitive asce di pietra, di fare razzia dopo la battaglia e dileguarci in silenzio nella notte. Siamo riusciti a portare in braccio i nostri piccoli – spesso per lunghi tratti – semplicemente mettendo una gamba davanti all’altra. L’andatura eretta rende il nostro cervello mobile, e passo dopo passo questo è arrivato in ogni angolo del pianeta. [p. 5]
  Secondo O’Mara camminare è una «magia meccanica» utile al nostro corpo, alla nostra mente e addirittura anche alla società, dove le gambe sono attori secondari. Vediamo in breve come.  

Camminare con il corpo

Se state leggendo queste righe, significa che siete seduti davanti a uno schermo. Se questo si verifica tutti i giorni, per molte ore al giorno, per anni, siete esposti alla lombalgia, cioè a dolori della parte bassa della schiena, che in molti cercano di curare con pomate e cerotti antidolorifici pubblicizzati in modo massiccio. Questo accade perché il peso del tronco si concentra sul coccige, punto dal quale si diparte un complesso reticolo di muscoli e tendini che vanno dai glutei alla metà della schiena. I glutei sono fondamentali per camminare e se stiamo sempre seduti, se non usiamo il corpo, accumuliamo grasso e acceleriamo la sarcopenia, cioè la perdita di massa muscolare, che inizia in modo naturale con l’avanzare dell’età. L’accumulo eccessivo di grasso non è ovviamente un problema estetico, ma cardiovascolare, e camminare regolarmente risolve la questione. Come specie questo lo diciamo da almeno 2400 anni: sembra incredibile, ma già Ippocrate, il padre della medicina, «metteva in guardia contro la fallibilità delle cure farmacologiche e sosteneva che nessuna medicina ha un raggio d’azione tanto ampio quanto il mettere un piede davanti all’altro.» [Erling Kagge, Camminare, p. 67].  
Non siamo menti ferme nel guscio silenzioso del nostro cranio: siamo menti in movimento e troviamo il movimento gratificante e stimolante in sé. [p. 55]
  Per esempio, mettere un piede davanti all’altro è la prima grande sfida che affrontiamo in quanto esseri umani, pochi mesi dopo essere nati. Come impariamo? «facendo migliaia di passi e cadendo decine di volte al giorno.» [p. 52] Più fai e meno sbagli, insomma, come sanno bene chirurghi, musicisti e sportivi professionisti. Poiché «camminare è una straordinaria conquista neuro-muscolo-scheletrica» [p. 56], come siamo in grado di farlo? «Quando ci alziamo, ci sgranchiamo e ci muoviamo, la nostra postura cambia: il torso e la colonna vertebrale si spostano su un singolo asse verticale che parte dalla testa, passa per la schiena e arriva a terra attraverso gambe e piedi». Forse lo intuivano Ernest Hemingway, Charles Dickens, Virginia Woolf, Lewis Carroll e Philip Roth: grandi scrittori che scrivevano i loro capolavori in piedi. Per stare in piedi e muoverci, per sapere dove e come è posizionato il nostro corpo e per muoverci con regolarità abbiamo bisogno non solo di buone gambe, ma dell’orecchio interno, del cervello, della vista e, a un livello inferiore, del midollo spinale.  
Il metronomo, lo strumento che si usa per battere il tempo, è un pendolo inverso che oscilla da una parte all’altra. Un modo classico di pensare l’andatura bipede umana è quello del «doppio pendolo inverso», dove a ogni passo il corpo oscilla lungo un arto irrigidito. Mentre si cammina, un piede rimane sempre sul terreno, a differenza di quanto avviene correndo […] Camminare è una straordinaria collaborazione tra il controllo top-down del cervello, l’input bottom-up dei piedi e delle gambe e il sistema intermedio per il controllo del ritmo situato nel midollo spinale e costituito da generatori centrali di pattern, [cioè] circuiti del sistema nervoso che producono pattern motori regolari, quali la respirazione, il battito cardiaco e le onde peristaltiche […] Il cervello non controlla dunque i dettagli minuti di tutta l’attività del corpo: seppur decapitati, infatti, polli e tartarughe vanno avanti a scorrazzare e a nuotare ancora per un po’. [pp. 65-66]
  Anche la perfezione dell’orecchio interno merita qualche riga:  
Il meccanismo dell’apparato vestibolare è un miracolo di microingegneria con due componenti principali: i canali semi-circolari e gli otoliti. Dalla parete interna dei canali semicircolari, dentro i quali si trova un liquido, sporgono delle ciglia che sulla punta hanno dei piccoli cristalli e alla base sono fissati a “recettori di stiramento”. Potete pensarli simili a tulipani che con tutto il gambo oscillano al vento. I piccoli strappi che danno nel muoversi modificano leggermente la forma dei recettori, proprio come il vento che soffia tra i tulipani fa tendere le radici nel terreno. Dal canto suo, questo stiramento cambia lo stato elettrico dei recettori e invia un segnale al cervello tramite il nervo vestibolare. È un modo semplice, affidabile e sicuro di convertire un segnale di movimento in un segnale elettrico. [p. 60]
Illustrazione del sistema uditivo periferico: orecchio esterno, orecchio medio e orecchio interno
Segnale elettrico che finisce nella centralina più importante di tutte: il cervello.  

Camminare con la mente

In effetti la testa – con il suo prezioso contenuto – sembra paradossalmente la parte del corpo più importante per camminare (e non solo…). Per quel movimento «ritmico e stabile» dobbiamo infatti ringraziare:
  • esterocezione: elaborazione delle informazioni sul mondo provenienti da vista e udito;
  • interocezione: elaborazione delle informazioni dal nostro corpo (fame, sete, dolore);
  • propriocezione: capacità di percepire il nostro corpo nello spazio e la posizione e i segnali dei nostri muscoli e legamenti, in stretta connessione con la vista.
  C’è poi, fondamentale, la mappa cognitiva cerebrale, o senso dello spazio, situata nell’ippocampo e nel presubicolo dorsale, composta a grandi linee da cellule:
  • di posizione: elementi chiave della mappa cognitiva che si attivano con il nostro movimento e ci dicono dove siamo nell’ambiente;
  • di direzione della testa: dicono come siamo orientati nell’ambiente;
  • griglia: ci dicono le dimensioni dello spazio e le distanze.
  La mappa cognitiva funziona bene se viene attivata con il cammino regolarmente e la complessità di tutto questo è resa dall’autore in modo magistrale, anche grazie ad aneddoti, studi, racconti, esempi che alleggeriscono e contestualizzano una materia non immediata. È un piacere seguirlo in questa passeggiata in una delle selve più fitte e misteriose che esista: il nostro cervello. Ma il cervello, inteso come organo insieme di neuroni, non è la nostra mente cioè, come recita lo Zingarelli 2021, «il complesso delle facoltà intellettive dell’uomo». La nostra mente, in quanto sede del pensiero, della memoria e del nostro umore inteso come insieme di risposte emotive, può renderci la vita un inferno, oppure farci stare bene. È qui che entra in gioco il camminare. Dopo una lunga camminata ci sentiamo meglio, il nostro corpo ha rilasciato endorfine, siamo più calmi e con la mente sgombra, è come una sorta di «vaccino comportamentale contro la depressione» [p. 160]. In realtà, sappiamo bene che separare il corpo dal cervello è una forzatura: l’attività aerobica aumenta il flusso di sangue nel cervello, migliorandone struttura e funzionalità e contribuendo a produrre nuove cellule cerebrali. Affinché tutte queste meraviglie possano accadere, O’Mara scrive che bisognerebbe camminare per almeno 30 minuti a una velocità costante di almeno 5 kilometri orari per un minimo di 4 giorni alla settimana. Graditissimo l'uso di app contapassi. Ma dove camminare? Mettere un piede davanti all’altro con cadenza regolare lungo una strada trafficata, rumorosa, piena di smog è ben diverso rispetto a compiere lo stesso esercizio in un bosco o in un parco pieno di alberi, uccelli che cantano e profumi nell’aria. È così che arriviamo a una parte del libro importante, dove si dimostra che la mente umana, fra le mille cose prodigiose che ha inventato, ha pensato anche le città, luoghi dove la maggior parte della popolazione umana cammina tutti i giorni, giorno dopo giorno. Con notevoli differenze.  

Camminare nella società

Camminare ha anche una funzione sociale. Si cammina spesso in compagnia, mentre si chiacchiera, in luoghi creati dalla società, cioè da gruppi di esseri umani che si sono organizzati in un certo modo. Siano metropoli o piccole cittadine, quel che cambia – oltre alla compagnia – è l’amenità del contesto – il verde pubblico, per esempio – e l’accessibilità, cioè avere tutto disponibile a distanze che non richiedano l’uso dell’auto.   Bologna, un posto perfetto da girare a piedi, è stata descritta da Umberto Eco come una città corposa e senza escrescenze, cioè fatta di spazi comuni, portici, bar, negozi, una città dove all’altezza dello sguardo ci sono vetrine, tavolini di caffè e gli occhi della gente. [p. 91]   Se una città è pensata soprattutto per le automobili, lo notiamo subito, camminando, e ne siamo respinti, anche perché è pericolosa. Mentre le città con ampi spazi di verde pubblico e percorsi pedonali le troviamo subito accoglienti, viene voglia di starci, di percorrerle a piedi, non dietro a un finestrino: «la possibilità di accedere facilmente alla natura contribuisce in maniera notevole alla nostra salute mentale.» [p. 93] Studi hanno dimostrato che tutto questo ha effetti di aggregazione fra le persone, maggiore produttività, indice più basso delle principali malattie. Questo aspetto del libro è forse il più interessante e dalle implicazioni più profonde, poiché riguarda tutti noi, ma soprattutto riguarda le nuove generazioni. Lascio al lettore il piacere della scoperta di un mondo dove si cammina di più e meglio, non prima però di sapere com’è il mondo intorno alla casa di David Sedaris. Il quale ormai cammina anche 50 chilometri al giorno (sarà per questo che scrive solo racconti?) e intanto raccoglie tutta l’immondizia che incontra lungo il percorso, armato di un sacchetto e di una pinza telescopica prendi-oggetti: «Capisci chiaramente dove finisce il mio territorio e comincia l’Inghilterra. È come passare dal giardino delle rose di Sissinhurst a Fukushima dopo lo tsunami.» Anche senza pinza prendi-oggetti, ognuno di noi, camminando, rimette ordine nel proprio personale tsunami e insieme allena cuore e muscoli. Non solo per se stesso. Mens sana in corpore sanoad societatem sanus.  
P.S. Da questo libro si impara anche come aumentare le proprie possibilità di sopravvivenza dopo essere stati travolti da una valanga, nella speranza che non capiti mai nulla del genere a nessun lettore di questo articolo. Sommersi dalla neve, il più delle volte si scava nella direzione sbagliata, non riuscendo a capire dove è il sopra e dove il sotto. Un modo per capirlo? Sputare, vedere in quale direzione va la saliva e scavare nella direzione opposta. A volte l’orecchio interno ha bisogno di un aiutino.
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