8 ottobre 2013. Sono le 11.30 del mattino e milioni di persone in tutto il mondo stanno aspettando che l’Accademia Reale di Svezia annunci il vincitore del premio Nobel per la Fisica. Gli occhi sono tutti puntati su Peter Higgs. Da quando il 4 luglio 2012 al Cern è stata scoperta la particella che porta il suo nome, l’ormai celebre bosone di Higgs, tutta la comunità scientifica ritiene che si tratti solo di una questione di tempo. E a ragione, perché alle 12.45, con un’ora di ritardo sulla tabella di marcia, ma ben 49 anni dopo la formulazione della sua teoria, Peter Higgs, insieme al meno noto François Englert, riceverà il nobel in fisica. Questa la motivazione:
per la scoperta del meccanismo che spiega l’origine della massa delle particelle subatomiche e che recentemente è stato confermato dalla scoperta della particella fondamentale predetta, a opera degli esperimenti ATLAS e CMS del Cern.
Che cos’è il bosone di Higgs?
Spesso sentiamo dire che il bosone di Higgs conferisce la massa a tutte le particelle. In realtà il meccanismo attraverso il quale le particelle acquistano una massa coinvolge il cosiddetto campo di Higgs, un’entità impalpabile che pervade l’intero Universo. Questo meccanismo può essere spiegato attraverso una famosa metafora proposta negli anni Novanta dal fisico David J. Miller.
Pensiamo a una festa a cui partecipa un gruppo di persone, con le persone uniformemente distribuite in una stanza. Quando una celebrità entra e attraversa la stanza, tutte le persone vicine al suo percorso sono attratte dalla sua presenza e la circondano, rallentando in questo modo la sua avanzata all’interno della stanza, come se avesse una massa maggiore. Non solo, ma ora che la celebrità si muove circondata dal capannello di persone, ha un’inerzia maggiore e sarà più difficile frenarla nel suo spostamento, perché si rischierebbe di essere travolti dal gruppo di persone.
L’ipotesi di Higgs funziona in modo simile. A dare massa alle particelle è un campo che permea l’universo (la stanza dove si svolge la festa) e che viene distorto localmente quando una particella (la celebrità) si muove attraverso di esso. Questa distorsione, o meglio l’addensarsi del campo (dei partecipanti alla festa) intorno alla particella, rappresenta proprio la massa della particella. La particella che chiamiamo bosone di Higgs, invece, è un’oscillazione localizzata del campo di Higgs: per utilizzare la metafora di Miller, si tratta di un capannello di partecipanti alla festa che per un certo intervallo di tempo chiacchierano insieme.
Perché è stato importante scoprire il bosone di Higgs?
All’inizio degli anni Sessanta, i fisici teorici che sviluppavano il Modello Standard si trovavano di fronte a un grosso grattacapo: se richiedevano alla teoria di rispettare alcune simmetrie matematiche suggerite dalle relazioni tra le particelle che si stavano osservando in natura, la massa di quelle particelle sarebbe dovuta essere inesorabilmente uguale a zero. Evidentemente c’era qualcosa che non andava. Così, nel 1964, Higgs (e indipendentemente da lui Englert) si inventò l’esistenza di un campo che pervade l’intero universo (il campo di Higgs) e descrisse, come abbiamo visto, il meccanismo attraverso il quale le particelle che lo attraversano acquistano la propria massa.
Se si fosse rivelata esatta, questa intuizione avrebbe garantito al Modello Standard i requisiti matematici richiesti, senza però che questo implicasse che le particelle dovessero avere una massa nulla. La scoperta del bosone di Higgs è stata così la conferma dell’esistenza del campo di Higgs e di conseguenza della validità del meccanismo attraverso il quale le particelle acquistano massa.
Come è stato scoperto il bosone di Higgs?
Il bosone di Higgs è stato scoperto impiegando due rivelatori di particelle, ATLAS e CMS, che si trovano lungo il Large Hadron Collider (LHC), l’acceleratore di particelle del Cern. LHC è un anello lungo 27 km all’interno del quale corrono in versi opposti due fasci di protoni, che vengono fatti scontrare in corrispondenza dei rivelatori di particelle. Lo scontro distrugge i protoni di partenza, ma dà origine a nuove particelle che gli apparati sperimentali cercano di rivelare.
ATLAS e CMS sono stati pensati principalmente per dare la caccia al bosone di Higgs, cioè per rivelare le particelle prodotte a seguito del suo decadimento o, come si dice in gergo, per osservare i suoi «canali di decadimento» previsti dal Modello Standard. In alcuni casi, per esempio, dopo essere stato creato, il bosone di Higgs decade in due fotoni; in altri casi ancora, invece, si trasforma in quattro leptoni (4 elettroni, 4 muoni, 2 elettroni e 2 muoni). La sua scoperta, come quella di altre particelle in passato, è avvenuta dunque in maniera indiretta, grazie cioè alle analisi delle tracce lasciate nei rivelatori da altre particelle con determinate caratteristiche.
Come si certifica l’esistenza di una nuova particella?
Visto che l’esistenza di molte particelle viene ricostruita grazie alla rivelazione di altre particelle, gli scienziati devono saper distinguere gli eventi “buoni” da quelli “cattivi”: per esempio, devono essere in grado di capire se la produzione di due fotoni sia dovuta al decadimento del bosone di Higgs oppure sia la conseguenza di un altro evento noto, che in questo caso viene catalogato come “rumore di fondo”. L’unica maniera per farlo è osservare un numero di eventi compatibili con la particella ipotizzata ben più grande del numero di eventi di cui è responsabile il rumore di fondo. La comunità scientifica ha così stabilito che siamo di fronte a una nuova particella quando la probabilità che l’evento osservato sia frutto di una fluttuazione statistica è inferiore a uno su un milione. Per rientrare in questa soglia, gli scienziati di ATLAS e CMS, per esempio, hanno dovuto produrre alcune decine di eventi compatibili con le caratteristiche del bosone di Higgs.
Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2013, in occasione dell'assegnazione del Premio Nobel a Peter Higgs e François Englert.
immagine di copertina: Peter Higgs (Cern)