Con l’autunno appena iniziato, è tempo di fare un bilancio climatico dell’estate che ci siamo appena lasciati alle spalle senza troppi rimpianti. Una stagione decisamente all’insegna del maltempo, soprattutto nelle regioni del Nord Italia. Quante volte, nelle ultime settimane, ci è capitato di sentir dire: “il clima è davvero impazzito” o “non mi ricordo un’estate così fredda e piovosa”?
Si sa però che la nostra memoria - o quella dei nostri nonni che han visto più primavere (e più estati) - non è del tutto affidabile. Perciò, prima di trarre facili conclusioni, e di chiamare in causa a sproposito gli innegabili cambiamenti climatici in atto, può essere utile ragionare su dati scientifici e ascoltare il parere degli esperti.
Quella appena trascorsa è stata davvero un’estate anomala?
Osservando la tabella che confronta la piovosità e le temperature medie dell’estate 2014 con quelle degli ultimi trent'anni, si scopre che le anomalie sono state davvero poche.
Le principali anomalie termo-pluviometriche registrate nel trimestre estivo presso alcuni osservatori storici dell’Italia settentrionale (i valori in corsivo eguagliano o superano i primati precedenti). Come si vede, l’unico dato eccezionale (anche se già riportato nell’estate del 1932), riguarda il numero di giorni di pioggia registrato nella stazione di Oropa, in provincia di Biella (immagine:
Nimbus)
Per sapere se un dato si discosta dalla norma, è fondamentale scegliere bene il periodo di riferimento. Se per esempio ci limitiamo agli ultimi 20 anni, allora il trimestre giugno-agosto di quest’anno risulta il più fresco dal 1997. Ma se prendiamo come riferimento il trentennio standard internazionale 1961-90 (che la World Meteorological Organization utilizza per gli studi sui cambiamenti climatici), emergono perfino anomalie positive, cioè temperature leggermente superiori alla media.
Secondo l'
ISAC (l’Istituto di Scienze Atmosferiche e del Clima del CNR) l'estate 2014 è stata leggermente più fresca solo a nord del Po (tra 0 °C e –0,5 °C) rispetto alla media del periodo 1971-2000, a causa della frequente nuvolosità. In altre zone dell’Italia hanno invece prevalso moderate anomalie positive (tra 0 e 1 °C) (immagine:
ISAC-CNR)
A Modena, per esempio, la temperatura media stagionale di 24,5 °C ha superato di 0,2 °C quella del trentennio 1981-2010 e di 1,4 °C la media del periodo 1961-1990. In altre parole, prima del recente e rapido riscaldamento atmosferico, l’estate 2014 sarebbe apparsa del tutto normale.
La bassa Valpadana ha risentito meno della relativa frescura, indotta più dalla scarsità di radiazione solare che da afflussi di aria fresca a grande scala. A Modena la temperatura media di 24,5 °C è perfino lievemente superiore (+0,2 °C) alla norma del trentennio 1981-2010 (immagine:
Nimbus)
Bisogna anche fare attenzione a non trarre conclusioni generali da osservazioni locali. Considerando l’intero territorio nazionale, infatti, l’estate appena conclusa è stata in ogni caso la trentottesima più calda dal 1800, con una deviazione di +0,3 °C.
Su scala globale, poi, il trimestre giugno-agosto 2014 risulta il più caldo dal 1880, con un'anomalia termica di +0,71 °C.
Il dato più straordinario del trimestre estivo riguarda invece la piovosità. La quantità di pioggia raccolta dai pluviometri del Nord Italia dal 1° giugno al 31 agosto 2014 è stata insolitamente alta. Frequenti nubifragi si sono abbattuti nell’area tra Milano e il Lago di Como. Nel capoluogo lombardo il Seveso è straripato 5 volte e sono stati misurati 446 mm d’acqua, una quantità quasi doppia rispetto al normale, che fa di questa estate la terza più piovosa dal 1858. A Rovereto invece solo nel 1937 era piovuto di più: 493 mm, contro i 464 della scorsa estate.
A Milano nel trimestre esivo del 2014 sono caduti 446 mm di pioggia, quasi il doppio del normale: è stata la terza estate più piovosa dal 1858 (immagine: Nimbus).
Per avere una fotografia completa dell'estate italiana, puoi consultare il sito web della rivista di climatologia
Nimbus.
Come si fanno le previsioni del tempo?
Anche se l’interesse dell’umanità per i fenomeni atmosferici (e astronomici) è antichissimo, solo l’introduzione del telegrafo agli inizi dell’Ottocento ha permesso di raccogliere (al suolo) in tempo reale e da luoghi diversi i principali dati di pressione e temperatura utili per fare previsioni sull’evoluzione del tempo atmosferico.
Un secolo più tardi, con l’avvento dei voli commerciali, fu possibile disporre di molti più dati (anche in alta quota) e creare una rete osservativa mondiale che ha posto le basi della moderna meteorologia (dal greco meteora, oggetto che proviene dall’alto), la scienza che studia i fenomeni fisici dell’atmosfera. Parametri fisici fondamentali come pressione, temperatura, umidità e velocità del vento poterono essere monitorati due o più volte al giorno per creare istantanee (molto sfocate) della situazione atmosferica. Ma per capire la sua evoluzione era necessario elaborare questi dati attraverso equazioni matematiche molto complesse.
Quello che fino alla metà del secolo scorso mancava, però, era un’adeguata potenza di calcolo, che divenne disponibile con lo sviluppo di elaboratori elettronici sempre più potenti. Di fatto è stata la meteorologia, insieme alla fisica nucleare, la disciplina che ha dato l'impulso principale alla costruzione dei cosiddetti supercomputer.
Poi negli anni '60 e '70 la messa in orbita dei primi satelliti artificiali, gli Sputnik, ha migliorato notevolmente l’affidabilità delle previsioni a breve periodo (24-48 ore), fornendo mappe del tempo e spettacolari evoluzioni animate.
I satelliti meteo di ultima generazione, molto più sofisticati, consentono misurazioni di diversi parametri atmosferici, come la radianza (luminosità) della superficie terrestre, da cui si possono ricavare indirettamente stime di temperatura e umidità.
I satelliti artificiali
Meteosat, in orbita geostazionaria intorno alla Terra, forniscono una rete di dati grazie alla quale è possibile elaborare previsioni del tempo a breve termine con un’affidabilità superiore al 70% (immagine:
EUMETSAT)
Oggi, per fare le previsioni del tempo, si scrivono le equazioni prognostiche di parametri come temperatura, pressione, umidità e velocità del vento nei campi tridimensionali (ovvero latitudine, longitudine e altezza) a partire da valori iniziali. Queste equazioni vengono poi date in pasto ai supercomputer, che calcolano i valori dei parametri di interesse negli istanti successivi fino al momento desiderato, restituendo i dati sotto forma di grafici.
Perché allora, a volte, il meteo fa cilecca?
Innanzitutto non bisogna dimenticare che l'atmosfera è un sistema caotico, cioè fortemente dipendente dalle sue condizioni iniziali. Questo significa che una differenza minima nei valori di partenza dei parametri che lo caratterizzano può portare a scenari futuri completamente diversi e imprevedibili: il famoso battito d'ali della farfalla in grado di scatenare un temporale esemplifica proprio l'estrema sensibilità di questi sistemi alle piccole variazioni ambientali.
A questo bisogna aggiungere i possibili errori legati all'elaborazione della previsione vera e propria. Fra questi ci sono i dati iniziali incompleti (dovuti ai pochi osservatori meteorologici che non coprono ampie porzioni di oceani), gli errori di misura (dovuti all’imprecisione degli strumenti o a misure indirette), le equazioni prognostiche e altri metodi matematici che, sebbene molto raffinati, comportano approssimazioni.
Proprio per queste ragioni le previsioni non possono estendersi oltre le due-tre settimane.
Che differenza c’è tra meteorologia e climatologia?
La meteorologia e la climatologia vengono spesso confuse, ma sono due discipline molto diverse. La prima studia i fenomeni fisici che avvengono nell'atmosfera terrestre e sono responsabili del tempo atmosferico, cioè del tempo che fa; la seconda studia le condizioni medie del tempo atmosferico che interessano sul lungo periodo una determinata area geografica, più o meno grande.
Per semplificare potremmo dire che mentre la meteorologia ci dice come dobbiamo vestirci in un certo giorno, la climatologia suggerisce l’insieme dei vestiti che dobbiamo tenere nel nostro guardaroba. In climatologia, dunque, non interessa tanto il singolo evento atmosferico o il tempo che farà domani, quanto le condizioni medie del tempo meteorologico calcolate in un periodo di tempo di almeno 20-30 anni.
Che cosa si intende per riscaldamento globale e chi sono i suoi responsabili?
L’espressione “effetto serra” è spesso associata al riscaldamento globale di origine antropica (il famigerato Global Warming), l’effetto più evidente del tanto temuto cambiamento climatico. Pochi sanno però che è l’effetto serra naturale a consentire la nostra sopravvivenza e quella di tutta la vita sulla Terra. I gas serra naturali come la CO2 e il metano intrappolano infatti nell’atmosfera il calore della radiazione solare, aumentando notevolmente le temperature medie superficiali del pianeta, da -18 °C a +14 °C.
Ma questo provvidenziale effetto serra naturale nell’ultimo secolo si è intensificato in modo preoccupante a causa delle attività antropiche, prima fra tutte l’uso di combustibili fossili. Come conseguenza, la concentrazione di gas serra in atmosfera, in particolare di CO2, si è impennata, facendo aumentare anche le temperature medie globali. Ormai non ci sono più dubbi sulle responsabilità umane, anche se resta dibattuta la reale portata del contributo antropico.
Il report della WMO da poco pubblicato denuncia che nel 2013 i gas serra atmosferici hanno toccato un nuovo record: il CO2 ha raggiunto il 142% del valore del 1750 (in era preindustriale), e il metano e l’ossido di diazoto rispettivamente il 253% e il 121%.
L’aumento dei tre principali gas serra negli ultimi decenni (immagine:
WMO)
Il sito web del
Global Climate Change Student Guide dell'Enviromental Agency statunitense è ricchissimo di informazioni sul riscaldamento globale dedicate ai più giovani. Di seguito una bella animazione sui gas serra:
Che cos’è l’IPCC?
L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è un ente fondato nel 1988 dall’UNEP (Programma della Nazioni Unite per l’Ambiente) e dalla WMO con lo scopo di studiare il cambiamento climatico in atto e i suoi impatti ambientali e socio-economici. Riunisce migliaia di autorevoli scienziati di varie discipline appartenenti a 195 nazioni, e ha pubblicato finora 5 rapporti. Purtroppo, nonostante l'allarme degli scienziati, tutti gli ultimi summit sul clima, in cui i governi delle nazioni dovrebbero accordarsi sulla riduzione delle emissioni di gas serra, si sono conclusi con tante promesse ma ben poche azioni concrete.
Che cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo futuro?
L'ultimo report dell'IPCC conferma che un aumento delle temperature medie globali anche solo di pochi gradi avrebbe conseguenze disastrose. Bastano uno o due gradi in più per sconvolgere fragili ecosistemi come i ghiacci dell'Artico e le barriere coralline. Gli eventi atmosferici estremi, come uragani e nubrifagi, traggono energia dal riscaldamento globale e sono diventati sempre più violenti e frequenti negli ultimi anni, provocando morti e distruzione. Altri danni a colture, allevamenti ed ecosistemi naturali sono stati causati dalla siccità provocata dal mancato arrivo delle piogge stagionali, laddove i modelli climatici sono stati fortemente alterati. Una grave minaccia è rappresentata dalla fusione delle calotte polari e dall’aumento dei livelli dei mari, un'eventualità che non solo metterebbe a rischio tutte le nostre città costiere, ma produrrebbe nuovi e imprevedibili sconvolgimenti climatici.
Fusione delle calotte polari, ma anche cambiamento delle mappe terrestri, migrazioni di entere comunità, spostamento di città e insediamenti umani. Questo video di National Geographic racconta lo scenario, poco rassicurante, disegnato dall'intensificazione del riscaldamento globale.
I dati sul bilancio meteo provengono dal sito http://www.nimbus.it/; le informazioni sull'evoluzione delle previsioni sono tratte dal sito http://www.centrometeo.com/ e quelle sui cambiamenti climatici dal sito dell'IPCC e della WMO.
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