L'editing genomico comprende una serie di applicazioni di ingegneria genetica che modificano la sequenza del DNA. Proprio come un correttore di bozze individua i refusi in un testo e li sistema, gli scienziati possono, grazie alle nucleasi, togliere o correggere sequenze geniche mutate.
Come si «manipolava» il DNA prima di CRISPR?
Per capire perché CRISPR sia così importante è necessario fare un piccolo viaggio nel tempo e ripercorrere i passi dei genetisti che per primi si sono avventurati nel territorio dell’editing genomico. Sono millenni che l’uomo si impegna nella domesticazione di piante e animali e attua, in senso lato, un’attività di manipolazione genetica. Ma se dobbiamo individuare un punto di inizio di questa avventura, non si può non pensare a Hermann Muller: in testa alla carovana c’è lui, il primo a varcare la frontiera dell’editing scoprendo l’azione mutagena dei raggi X. Una scoperta che dalla frontiera lo porterà dritto di fronte al Re di Svezia, a ritirare nel 1946 il premio Nobel. Dai raggi X alle sostanze per la mutagenesi chimica il passo è breve: uno strumento ancora ampiamente diffuso per l’induzione di mutazioni nelle piante e per la creazione di nuove varietà. Dopo aver varcato con impeto la frontiera agli inizi del secolo, la ricerca in questo ambito ha vissuto di rendita per molti anni; fino a quando nel 1985 Oliver Smithies scopre la mutazione per ricombinazione omologa. È la prima volta che gli scienziati riescono a guidare la mutagenesi dove vogliono: non più un processo casuale come quello delle sostanze mutagene, da cui selezionare con pazienza certosina le mutazioni interessanti, ma una mutagenesi mirata. Questa scoperta è stata poi perfezionata da Mario Capecchi e Martin Evans con una tecnica che ha permesso di mutare le cellule di mammifero e di generare il primo topo knockout. Questa tecnica ha fatto da trampolino di lancio alla creazione di migliaia di modelli murini e ha portato anche il terzetto Capecchi, Evans e Smithies a raccogliere gli onori dei reali di Svezia: era il 2007 e un altro Nobel veniva riconosciuto alla mutagenesi mirata del DNA. La strada per l’editing genomico è però tortuosa: il sistema dei topi knockout è difficilmente trasferibile non solo all’uomo, per ovvi motivi etici, ma anche ad altri organismi modello, per difficoltà tecniche difficili da superare. Una prima svolta arriva nel 1994: è possibile amplificare gli eventi di ricombinazione omologa tagliando il gene di interesse. Il merito va alle nucleasi batteriche, su cui si concentrano molti studi: sono gli anni in cui vengono sviluppate le tecniche basate sulle nucleasi a dita di zinco o su TALEN: sono tecniche molto versatili, che permettono di modificare in vivo il genoma di organismi pluricellulari. Il primo è quello del moscerino della frutta, nel 2002, modificato con una nucleasi a dita di zinco. Seguono il pesce, il ratto, il mais, e l’almanacco va ampliandosi con TALEN - una tecnica più precisa e affidabile delle dita di zinco - con cui vengono modificati anche il genoma del lievito e delle cellule umane. Sono risultati straordinari, ma c’è ancora un “ma”: l’efficacia è molto variabile, l’affidabilità lascia a desiderare. Le proteine batteriche che operano i tagli sono precise, ma non infallibili. Poi, la svolta: nel 2012 viene pubblicata la scoperta del sistema CRIPSR/Cas9: un sistema che cancella con un arrogante colpo di spugna tutti i limiti dei sistemi precedenti. A guidare l’enzima sulla sequenza bersaglio non è più una proteina, ma un filamento di RNA: facile da sintetizzare, economico e terribilmente efficace. È l’inizio della rivoluzione.CRISPR: come funziona il chirurgo del genoma?
Da bravi esploratori del DNA, gli scienziati sognavano da tempo uno strumento in grado di far loro strada nella giungla di nucleotidi. CRISPR è questo: un piccolo machete molecolare, con una lama buona per ogni tipo di sequenza, affilata quanto basta per permettere tagli precisi e mirati. Le sequenze CRISPR sono state osservate nel genoma di diversi batteri, di cui costituiscono una sorta di sistema immunitario adattativo. Quando il batterio viene infettato da un virus può integrare alcune regioni del genoma virale nel proprio DNA. Si forma così un archivio di sequenze CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) utile per combattere infezioni future. In caso di altre infezioni da parte dello stesso virus, le sequenze CRISPR sono trascritte in corti RNA guida (con sequenza complementare al genoma virale), ai quali si abbina l’enzima Cas9. Appaiandosi alla sequenza complementare sul DNA virale, l’RNA guida Cas9 sul bersaglio: il DNA virale viene digerito e l’infezione arginata.
In questo video pridotto dall'MIT di Boston una spiegazione (in inglese) di come CRISPR/Cas9 possa essere impiegato per modificare il DNA in modo preciso e mirato.
Questo sistema può essere sfruttato per creare librerie di RNA-guida in grado di appaiarsi virtualmente a qualsiasi sequenza genica. Si costruisce un RNA-guida fondendo un RNA di origine batterica (tracrRNA) e un RNA complementare alla sequenza che si vuole modificare. Una volta espresso nella cellula, l’RNA guida si accoppia a Cas9 e lo guida sulla sequenza bersaglio: Cas9, che è un endonucleasi, taglia il DNA nel sito voluto e attiva i processi di riparazione del DNA per ricombinazione omologa. Se nella cellula è introdotta la sequenza corretta del gene che si vuole modificare, la ricombinazione omologa prenderà questa sequenza come stampo e andrà a correggere in modo definitivo il gene mutato.
Quali sono stati i primi risultati ottenuti con CRISPR?
Grazie alla relativa facilità con cui è possibile modificare il DNA con la tecnica CRISPR, sono stati molti i laboratori che - liberi dalle costrizioni tecniche di un tempo - si sono sbizzarriti a tentare ciò che fino a pochi mesi prima era considerato un ostacolo tecnico insormontabile. Sono trascorsi appena pochi mesi dalla pubblicazione dell’articolo su Science di Doudna e Charpentier, che un gruppo di ricercatori di Boston arriva a dimostrare come, utilizzando diversi RNA guida, sia possibile modificare contemporaneamente più geni. Si stratta del gruppo di ricerca di Feng Zhang: ricordatevi questo nome, perché molte scoperte hanno, da allora, portato la sua firma. L’anno successivo, il gruppo di Zheng ha messo a segno un risultato strabiliante: uno screening di oltre diciottomila geni umani da cui sono emersi sei geni che mediano la resistenza delle cellule di melanoma al trattamento: questo esempio dimostra la potenza di CRISPR anche come sistema di genetica inversa (ovvero, mutare un gene per scoprirne la funzione). E non è tutto. Zheng e colleghi hanno dimostrato che CRISPR può essere usato anche per mutare geni solo in tessuti specifici. Padroneggiare una simile procedura significa aumentare il controllo che si ha della tecnologia CRISPR e, di conseguenza, aumentare le possibilità di impiego anche in ambito terapeutico.
La lotta per il brevetto
Quando si ha tra le mani uno strumento potente come CRISPR, non c’è da stupirsi che attorno ad esso inizino a gravitare interessi economici su scala mondiale. Ecco perché è fondamentale poter dire: «Sono stato io il primo a ideare questo sistema di editing». Ecco perché Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, all’indomani dell’articolo pubblicato su Science, si sono affrettate a depositare nel maggio nel 2012 la richiesta di brevetto presso l’USPTO, l’ufficio brevetti statunitense. Ma - sorpresa delle sorprese - non sono state le uniche. A pochi mesi di distanza, nel dicembre 2012, anche Feng Zhang del MIT di Boston ha sottomesso la medesima richiesta, rivendicando la paternità del metodo che ha permesso per la prima volta la possibilità di applicare CRISPR alle cellule umane. Zheng è riuscito ad averla vinta, in virtù anche della regola per cui l’USPTO riconosce il brevetto non a chi per primo ne fa richiesta, ma a chi dimostra di potere rivendicare, per primo, la paternità dell’idea.
Come c’era da aspettarsi, Doudna e Charpentier non hanno gradito: hanno impugnato la decisione dell’USPTO e ne è nata una battaglia legale. Battaglia che è ancora in corso. Nel dicembre 2016 l’USPTO ha iniziato a raccogliere le prime testimonianze: l’inizio di un percorso che potrebbe richiedere mesi, se non anni, per raggiungere un verdetto definitivo. E intanto? Intanto la ricerca non può fermarsi e, per non rischiare di rimanere tagliato fuori, Zheng ha fatto richiesta e ha ottenuto il brevetto per un sistema CRISPR alternativo, basato sull’enzima Cpf1.
Per chi volesse seguire gli sviluppi di questa vicenda, il sito crisprupdate.com registra tutti gli aggiornamenti sul caso.
Che cosa si può fare con CRISPR?
Sembra di vederli, i genetisti di tutto il mondo, leggere l’articolo su Science di Charpentier e Doudna e sussurrare: «Si può fare!». Con CRISPR gli scienziati hanno infatti realizzato un sogno rimasto nel cassetto per decenni: avere a disposizione uno strumento di mutagenesi di precisione chirurgica e, allo stesso tempo, facilmente trasferibile ad applicazioni su larga scala. E le applicazioni non si sono fatte attendere. Biotecnologie agrarie, industriali, biomediche: per ognuno di questi ambiti esistono oggi decine di studi in corso. A fare da apripista sono state proprio le biotecnologie agrarie: mais, soia e grano modificati con CRISPR sono già stati prodotti da diverse aziende e potrebbero arrivare presto sul mercato. Rispetto ai più tradizionali OGM, queste sementi non portano nel proprio DNA geni estranei e sfuggono quindi a molte delle restrizioni che fanno da collo di bottiglia ai prodotti transgenici. L’ambito della ricerca biomedica è quello che, forse più di tutti, ha accolto con entusiasmo la tecnologia CRISPR. Gli obiettivi principali sono due. Primo, scoprire il ruolo di geni sconosciuti: la creazione di modelli animali con uno o più geni mutati rimane uno dei sistemi più efficaci per ricreare modelli di malattie umane e per scoprire il ruolo che un gene ha nello scatenare una malattia o la progressione di un tumore. Secondo, correggere malattie genetiche: un editing genomico mirato e accurato permetterebbe infatti di correggere la sequenza di un gene mutato o di interferire con la replicazione di un virus. Nell'ambito delle malattie congenite, risalgono al novembre 2016 due importanti studi in cui è stata dimostrata l’efficacia di CRISPR, almeno in laboratorio, per correggere nelle cellule staminali in vitro la mutazione alla base dell’anemia falciforme e, nei topi, quella responsabile di un tipo di emofilia causata dalla mancanza del fattore IX della coagulazione. Di appena poche settimane fa, invece, l'annuncio che, in cellule staminali in vitro, CRISPR può correggere il difetto alla base di una grave immunodeficienza congenita. Anche sul fronte delle malattie infettive sono stati fatti molti progressi. Con CRISPR è possibile indurre mutazioni che inibiscono la replicazione degli herpes virus, responsabili di infezioni ricorrenti; altri ricercatori hanno sfruttato CRISPR per scoprire proteine importanti per la replicazione dei virus Zika e dengue. Non mancano ovviamente i tentativi anche nel campo della ricerca sul virus HIV e l’AIDS: un gruppo di ricercatori ha per esempio utilizzato CRISPR per selezionare le mutazioni che rendono le cellule immuni all’infezione da HIV e altri stanno cercando un modo per modificare il genoma del virus per impedirne la replicazione e, di fatto, disinnescarlo in modo definitivo. Una frangia della ricerca su CRISPR si sta inoltre espandendo anche alla terapia dei tumori. Molti tumori sono, di fatto, malattie genetiche causate dall’attivazione anomala di un oncogene o dalla soppressione di un oncosoppressore. Perché non provare con CRISPR a ristabilire l’ordine nell’anarchia genetica che governa il comportamento dei tumori? Sulla scia di questa idea ha preso ufficialmente avvio nel novembre 2016 il primo protocollo di immunoterapia antitumorale. Per la prima volta verrà testata negli esseri umani la tecnologia CRISPR: in 10 pazienti affetti da tumore verrà inattivata nei linfociti T la proteina PD-1, da tempo nota come uno dei meccanismi con cui i tumori sfuggono alla sorveglianza del sistema immunitario. Con lo stesso sistema i ricercatori sono inoltre riusciti a creare linfociti T con una proteina CXCR4 mutata: questa proteina è la stessa che permette al virus di HIV di infettare i linfociti e mutarla significa sbattere la porta in faccia al virus e alla sua diffusione.
La struttura dell'enzima Cas del sistema CRISPR di tipo I, uno dei tanti scoperti nei procarioti (Immagine: Wikipedia).
Questi sono solo alcuni degli studi nati negli ultimi anni: ma la ricerca non si sembra voler rallentare e seguirne l’evoluzione dà un senso di vertigine. L’entusiasmo per quelle che sono le potenzialità di questo sistema non deve però far passare in secondo piano le domande ancora senza risposta e i limiti tecnici ed etici con cui ricercatori e cittadini si stanno già scontrando.
CRISPR: le domande ancora senza risposta
A scorrere la lista degli articoli pubblicati su CRISPR, sembrano passati anni da quando Jennifer Doundna ed Emanuelle Charpentier hanno segnato, con il loro articolo, l’inizio della rivoluzione biotech. Eppure si tratta di appena una manciata di anni e le cose da scoprire su CRISPR rimangono ancora molte. Ripercorriamo qui alcuni dei punti più interessanti.
Come si è evoluto CRISPR? Sappiamo che CRISPR è una sorta di sistema immunitario adattativo dei batteri, che si adatta e mantiene traccia dei patogeni invasori. Per come è strutturato c’è chi ha ipotizzato che il sistema si sia evoluto in modo simile ai trasposoni, le sequenze geniche che “saltano” da una regione del genoma all’altra. Cas1, l’enzima che inserisce spacers nel genoma, sembra confermare questa ipotesi, ma è un caso isolato e gli scienziati sono a caccia di altri indizi.
Come viene stabilito quale DNA inserire nell’archivio CRISPR batterico? La scelta non è banale: scegliere la sequenza sbagliata potrebbe portare il batterio a un attacco autoimmune (passatemi il termine) suicida. La risposta potrebbe risiedere in una dinamica ecologica, per cui il sistema risulta vantaggioso nel lungo termine nonostante possa causare, occasionalmente, il sacrificio di qualche batterio più sfortunato degli altri. E come viene stabilito quali sequenze eliminare? Il genoma batterico non può certo continuare ad archiviare sequenze CRISPR e crescere all’infinito. Deve quindi esistere un sistema di epurazione periodica, che forse elimina le sequenze virali più antiche e ormai inutili. Scoprire se un simile sistema esista è importante per capire come gli effetti dell’editing genomico possano perpetuarsi alle generazioni future e per capire se, una volta inserite, rimarranno stabili o andranno incontro a una evoluzione ancora difficile da prevedere.
Quali altre funzioni ha CRISPR? Il sospetto che di CRISPR quello che conosciamo sia solo la punta dell’iceberg è forte. Che il suo ruolo sia importante lo suggerisce il caso di Nanoarcheum equitans, nel cui minuscolo genoma trovano comunque spazio 30 spacers. Eppure non è così per tutti i procariotici: se CRISPR è presente nel 90% degli Archea, solo il 33% dei batteri conosciuti lo possiede e altri organismi unicellulari non procariotici non hanno traccia di CRISPR nel loro genoma. Perché? Forse CRISPR è coinvolto anche in altre funzioni (riparazione del DNA? Controllo dell’espressione genica?) e quindi è sottoposto a pressioni selettive diverse da quelle che fino a ora abbiamo preso in considerazione.
Rispondere a queste domande è importante non solo per capire come funzioni CRIPSR nei batteri, ma per prevedere i possibili ostacoli o imprevisti a cui potrebbe portare l’applicazione di questa tecnologia nell’uomo.