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La nascita dell'astronomia multimessaggero

Qualche mese fa, per la prima volta nella storia, gli scienziati hanno osservato un evento cosmico utilizzando due "messaggeri" indipendenti tra loro: le onde gravitazionali e la radiazione elettromagnetica. Un fatto senza precedenti che segna l'inizio di una nuova era per l'indagine dell'universo
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17 agosto 2017. Sono passati quattro centesimi di secondo dalle 14:41 – ora italiana – quando i bracci degli interferometri di Ligo e Virgo iniziano a fremere (quasi) impercettibilmente. È la sesta volta che lo fanno, ma adesso c’è qualcosa di diverso: il segnale dura molto più a lungo di quelli precedentemente registrati, e si fa immediatamente forte il sospetto che per la prima volta l’onda gravitazionale che lo ha generato non provenga dalla collisione di due buchi neri. Non passa molto prima che ci si renda conto di stare “ascoltando” una fusione – o più propriamente, coalescenza – di due stelle di neutroni. È la rivelazione di un fenomeno diverso, ma l’importanza dell’osservazione non si limita affatto a questo, perché le caratteristiche dell’evento permettono – per la prima volta nella storia dell’astronomia – di studiare il fenomeno attraverso l’integrazione di dati provenienti da due “canali” completamente diversi: le onde gravitazionali e le onde elettromagnetiche. L’evento è stato salutato dalla comunità degli astrofisici come una rivoluzione, perché ha segnato la nascita di una nuova astronomia: l’astronomia multimessaggero. Vediamo meglio cosa significa.
Aula di Scienze si è già occupata approfonditamente di onde gravitazionali in occasione dell'annuncio della loro scoperta con un articolo della sezione Come te lo spiego scritto da Adele La Rana. Se vuoi rileggerlo, clicca qui.
 

Che cos'è la coalescenza di due stelle di neutroni?

Le stelle di neutroni, come i buchi neri, sono il risultato del collasso gravitazionale di una supernova, la colossale esplosione in cui culmina l’evoluzione delle stelle massicce (quelle di massa almeno dieci volte superiore di quella del Sole). Quando una stella raggiunge la fase di supernova, le reazioni di fusione nucleare che avvengono al suo interno non riescono più a controbilanciare la forza di gravità che tende a comprimerla verso il suo centro; la materia di cui la stella è composta collassa allora in un nucleo estremamente denso. Nel caso di una stella di neutroni, la pressione all’interno di questo nucleo è così elevata che protoni ed elettroni si fondono producendo, appunto, neutroni. Con un raggio dell’ordine di una decina di chilometri e una massa da uno a circa tre volte quella del Sole, le stelle di neutroni hanno una densità inferiore solo a quella dei buchi neri. Per intenderci, un cucchiaino da tè di stella di neutroni peserebbe all’incirca un miliardo di tonnellate. Come altri corpi celesti, le stelle di neutroni possono formare un sistema binario, cioè un sistema in cui due corpi orbitano attorno al loro centro di massa. Nel caso di oggetti estremamente densi come i buchi neri o le stelle di neutroni, questa rotazione può raggiungere velocità pari a frazioni non trascurabili della velocità della luce. La vita di un sistema binario si chiude con la coalescenza: in questa fase finale i due corpi spiraleggiano uno intorno all’altro a velocità sempre maggiore, producendo onde gravitazionali rivelabili e avvicinandosi sempre di più, fino a collidere e a fondersi. A livello osservativo, la differenza fondamentale tra la coalescenza di due buchi neri e quella di due stelle di neutroni, è che la seconda è accompagnata non solo da onde gravitazionali, ma anche dall’emissione di onde elettromagnetiche. In particolare, l’evento del 17 agosto ha permesso di confermare le teorie che predicevano l’emissione di short gamma ray burst, cioè lampi di raggi gamma di durata inferiore ai due secondi, e la produzione di una kilonova, ovvero di un’esplosione che irradia un ampio spettro di onde elettromagnetiche.
In questa animazione artistica ad opera di ESO, puoi osservare la coalescenza di due stelle di neutroni culminante in una kilonova:

Che cosa è stato è stato osservato il 17 agosto 2017?

Ligo e Virgo registrano l’inizio del passaggio dell’onda gravitazionale GW170817 e circa 1,7 secondi dopo i telescopi spaziali Fermi della Nasa e Integral dell’Esa captano l’altro pezzo fondamentale del puzzle, lo short gamma ray burst. Fermi è il più rapido di tutti e dopo appena 14 secondi dirama un’allerta a livello globale. Ligo e Virgo nel frattempo hanno combinato le osservazioni spaziali dei loro tre interferometri, hanno individuato la posizione della sorgente del segnale con buona approssimazione e dopo quaranta minuti comunicano il primo resoconto delle proprie osservazioni. A perfezionare la localizzazione dell’evento ci pensano nel giro di un paio d’ore due telescopi montati in Cile (Swope e il Rapid Eye Mount). A quel punto, una moltitudine di osservatori – più di 70 – sparsi in tutto il globo hanno già interrotto le loro attività ordinarie e puntato i loro strumenti nella direzione indicata, quella della galassia NGC4993, a 130 milioni di anni luce da noi. La forma e la durata del segnale dell’onda gravitazionale (circa 100 secondi, contro le manciate di millisecondi tipiche di eventi coinvolgenti buchi neri) e la concomitanza con il gamma ray burst non lasciavano dubbi: gli addetti ai lavori si trovavano di fronte alla coalescenza di due stelle di neutroni, di masse pari a circa 1,3 e 1,6 masse solari. Le buone notizie non finivano qui. A regalare gioia agli astronomi di tutto il mondo nei giorni successivi ci ha poi pensato il susseguirsi di osservazioni perfettamente in linea coi modelli teorici sviluppati in precedenza: come ipotizzato, il fenomeno ha generato una kilonova, che ha irradiato luce di ogni lunghezza d’onda – radio, infrarossa, visibile, ultravioletta e X. L’analisi di questo fenomeno ha permesso di stabilire che questi eventi cosmici sono i responsabili della sintesi di elementi pesanti come oro e platino.
«We have some remarkable observations to report today»: l’annuncio dell’osservazione è stato dato dallo European Southern Observatory (ESO) con una live conference il 16 Ottobre 2017, giorno in cui è uscito l’articolo principale sull’analisi dell’evento. In questo video del canale Youtube Veritasium, Derek Muller riassume gli accadimenti del 17 agosto:

Perché parliamo solo ora di astronomia multimessaggero?

Perché prima di questo evento non era mai stato possibile studiare un fenomeno cosmico integrando direttamente le informazioni provenienti da due fonti – i messaggeri – completamente diverse. Adesso abbiamo la dimostrazione pratica (che ci si attendeva e su cui si puntava) non solo della fattibilità della cosa, ma anche della ricchezza di informazioni che una investigazione di questo tipo è in grado di fornire. Per esempio, vari scienziati hanno affermato che il gamma ray burst associato alla coalescenza del 17 agosto non era particolarmente significativo in sé e per sé: è stata l’onda gravitazionale rivelata da Ligo e Virgo a destare l’attenzione su quell’evento e a condurci a quella che, ad oggi, è di gran lunga la migliore osservazione di una kilonova. La sinergia con cui si è svolta a livello globale la rivelazione della coalescenza di queste due stelle di neutroni dimostra che ora siamo in grado di combinare le indicazioni forniteci dalla nostra fonte primaria di informazioni cosmiche – i fotoni o, equivalentemente, la radiazione elettromagnetica – con quelle di altri promettenti messaggeri cosmici.
In questo video, la prima rilevazione simultanea di onde gravitazionali ed elettromagnetiche raccontata da scienziate e scienziati dell'Inaf che hanno partecipate alle osservazioni:

Quali sono i messaggeri cosmici?

Fino a pochi anni fa l’elenco sarebbe stato composto da fotoni, fotoni e ancora fotoni. È infatti grazie alle radiazioni elettromagnetiche che l’uomo, fin da quando ha alzato lo sguardo verso il cielo, ha potuto costruire, mattone dopo mattone, l’edificio della conoscenza attuale che ha dell’universo. Diverse porzioni dello spettro elettromagnetico ci raccontano diversi aspetti e sfaccettature del cosmo. La luce visibile è ovviamente la nostra guida più immediata, ma stiracchiando un po' la lunghezza d’onda arriviamo all’infrarosso, che amplia le capacità “percettive” dei telescopi ottici; allungando ancora la distanza tra due creste d’onda andiamo nelle microonde e troviamo la radiazione cosmica di fondo che ci permette di indagare le origini dell’universo; continuando, la radioastronomia ha permesso di scoprire molte classi di oggetti come radiogalassie e quasar; spostandoci invece verso l’estremo opposto dello spettro, la radiazione ultravioletta permette di indagare la composizione del mezzo interstellare e intergalattico, così come la rivelazione di raggi X è importante per studiare tutti i tipi di stelle collassate. Naturalmente l’elenco non è esaustivo. Alla lista piuttosto monotona di messaggeri elettromagnetici si sono unite, da nemmeno due anni, le onde gravitazionali. Queste increspature dello spazio-tempo, teorizzate nel 1915 da Einstein e osservate per la prima volta all’interferometro di Ligo un secolo dopo, forniscono una descrizione complementare a quella delle onde elettromagnetiche, permettendo inoltre di esplorare la fisica dei buchi neri e di sistemi binari super massicci. Ci sono poi i neutrini. Questi si sa, hanno un’indole sfuggevole, interagendo pochissimo con la materia e solo attraverso la forza nucleare debole. Ciò li rende al contempo estremamente interessanti e terribilmente difficili da rivelare. I neutrini sono prodotti per esempio – ma non solo – nelle reazioni di fusione nucleare che avvengono nelle stelle: a differenza dei fotoni, non interagiscono elettromagneticamente e riescono a sfuggire indisturbati anche se si sono originati all’interno di un nucleo denso, fornendoci così informazioni sulla sua composizione. Queste particelle, inoltre, non vengono deflesse dai campi magnetici e puntano sempre esattamente nella direzione della sorgente che le ha generate. Ci sono infine i raggi cosmici. Composti quasi interamente da protoni e nuclei atomici, i raggi cosmici sono originati soprattutto al di fuori del sistema solare e sono le particelle più energetiche mai osservate, arrivando a sorpassare di sette ordini di grandezza le energie raggiungibili dai fasci di protoni accelerati al Large Hadron Collider del Cern (14 TeV). Attualmente non si sa molto degli “acceleratori cosmici” che li producono: i raggi cosmici sono infatti particelle cariche, vengono deflessi durante il loro tragitto dai campi magnetici e questo rende difficile localizzare la loro sorgente.   

Come si integrano le informazioni provenienti dai vari messaggeri?

La dinamica impiegata per l’osservazione della coalescenza del 17 agosto è esemplificativa: concettualmente, gli osservatori in grado di monitorare grandi porzioni di cielo – come quelli delle onde gravitazionali e dei neutrini altamente energetici – fungono da “trigger”: allertano gli osservatori che sono in grado di scandagliare solo porzioni limitate di cielo, dicendo loro verso quale regione di spazio puntare per individuare la sorgente e captare tutti gli eventuali fenomeni che si susseguiranno (detti di “follow-up”). Proprio per facilitare la condivisione di informazioni raccolte attraverso i vari messaggeri cosmici, è stata creata una rete di osservatori chiamata AMON, ovvero Astrophysical Multimessenger Observatory Network.
Per l'approfondimento di sorgenti, messaggeri, metodi di rivelazione e integrazioni delle informazioni nell’astronomia multimessaggero, puoi leggere questo articolo di Imre Bartos e Marek Kowalski.
 

Quali prospettive apre l’astronomia multimessaggero?

In generale, combinare più osservazioni date da messaggeri diversi rispetto a un singolo evento permette di raggiungere una comprensione completa della sorgente che lo ha generato. Così è stato per la coalescenza delle stelle di neutroni, e così ci si aspetta che sarà per tutta una serie di altri fenomeni cosmici. Con l’entrata in scena delle onde gravitazionali, uno degli obiettivi principali dell’astronomia multimessaggero sarà quello di calcolare con precisione sempre maggiore la costante di Hubble, cioè la costante che descrive l’espansione dell’universo, le cui stime variano proprio a seconda che si utilizzino osservazioni di supernove, di cefeidi o della radiazione cosmica di fondo.
Cefeidi e supernove vengono chiamate “candele standard”, poiché hanno una luminosità conosciuta. Ciò permette di calcolare la loro distanza dalla Terra e, una volta misurato il loro redshift (equivalente alla velocità alla quale si stanno allontanando da noi), si può da questo stimare la costante di Hubble. Qui l’astrofisico Sean Carrol spiega come i “suoni” delle onde gravitazionali possono analogamente fungere da “sirene standard”.
    immagine in evidenza e in homepage: ESO    

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