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Geni e ribelli

La razze umane non esistono. A 80 anni dalle Leggi razziali fasciste

Nel 1938 il governo fascista introduceva in Italia le Leggi razziali. Breve excursus tra le principali prove scientifiche che dimostrano l'inesistenza delle razze umane e che siamo tutti parenti
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Ottant’anni fa, alla ripresa della scuola e dei corsi universitari, i rettori e i direttori degli istituti superiori ricevono una circolare del Ministero dell’Educazione Nazionale guidato da Giuseppe Bottai con la quale vengono invitati a dare ampia circolazione alla rivista La Difesa della Razza e ad assicurarsi che i suoi contenuti vengano assimilati dagli studenti con la massima diligenza. La rivista è uno dei principali strumenti di propaganda razzista che il governo fascista ha utilizzato per la diffusione delle idee contenute nel Manifesto della Razza pubblicato il 5 agosto del 1938. Questo documento funge da base programmatica per una serie di provvedimenti razzisti che sono stati approvati e messi in pratica a partire dall’autunno dello stesso anno, a cominciare dalla Dichiarazione sulla razza che viene votata dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938. A firmare il Manifesto sono anche 10 scienziati italiani, sostenitori di una base scientifica dell’esistenza delle razze umane, una posizione smontata da due grandi studi ideati e realizzati da Richard Lewontin e Luigi Luca Cavalli Sforza tra gli anni Settanta e Novanta: le razze umane non esistono.
La copertina del primo numero della rivista "La difesa della razza" pubblicato il 26 gennaio 1938
 

Origine dell’idea di razza umana

L’invenzione delle razze umane si sviluppa soprattutto in corrispondenza delle grandi espansioni coloniali delle potenze, quando gli europei entrano in contatto con popoli che hanno un aspetto diverso. Il fondamento teorico è tradizionalmente affidato a François Bernier, medico e viaggiatore francese, che nel 1684 propone la suddivisione dell’umanità in quattro razze. Sono le stesse divisioni che nel Settecento Linneo tratta come sottospecie, individuate a partire dalla colorazione della pelle: bianchi, rossi, gialli e neri. Nello stesso periodo, però, è il naturalista francese Buffon a provare a dare dignità scientifica alla suddivisione in razze nella sua opera Histoire naturelle de l’homme (1749), aggiungendo al colore della pelle anche altre caratteristiche come, per esempio, la forma del corpo. Queste classificazioni non si possono avvalere, ovviamente, delle indagini genetiche e si basano esclusivamente sull’aspetto degli individui, ipotizzando che ogni diversità sia il frutto di una deviazione dalla forma originaria data da Dio ai fondatori dell’umanità Adamo ed Eva. Tra gli uomini, i più degenerati sarebbero i neri, più vicini alla condizione animale e quindi maggiormente bisognosi della civilizzazione che il colonialismo prometteva. Già nell’Ottocento gli studi sull’evoluzione, che non fa eccezioni anche per Homo sapiens, di Charles Darwin contraddicono queste idee razziste. Lo scienziato inglese argomenta che tutti gli esseri umani hanno un progenitore comune e che non c’è stato abbastanza tempo, in termini evolutivi, perché si potesse verificare una differenziazione sufficiente a decretare la divisione in razze. Ma sono gli studi della seconda metà dell’Ottocento, quando la genetica entra in gioco, a smentire definitivamente qualsiasi base scientifica dell’idea di razza umana.
Frontespizio del secondo volume dell'Histoire naturelle di Buffon che (assieme al successivo) si occupa dell'origine dell'uomo.

Richard Lewontin e le proteine

Nel 1972 il genetista statunitense pubblica un articolo dal titolo The apportionment of human diversity (Evol. Biol. 6, 381–398) nel quale dimostra che c’è più diversità all’interno di una stessa popolazione umana (per esempio, quella caucasica europea) rispetto a quante differenze si possano individuare tra due popolazioni diverse (per esempio, tra i caucasici bianchi e gli africani sub-sahariani).  Lewontin e i suoi colleghi hanno studiato le proteine prodotte da 17 diversi geni in 7 supposte razze umane: i caucasici, gli africani sub-sahariani, i mongoloidi, le popolazioni del Sud-est dell’Asia, gli aborigeni che vivono in Australia, le popolazioni che occupano l’Oceania e gli amerindi, cioè i nativi del continente americano. L’idea era che due razze diverse, per essere tali, avrebbero dovuto mostrare una differenza del patrimonio genetico, e quindi delle proteine espresse, molto alta. Ma i dati hanno detto qualcos’altro. Le differenze geniche tra le varie supposte razze erano infatti pari solamente al 7%, mentre risultava grande la variabilità all’interno delle singole razze (circa l’85%). Il che significa che tutte le presunte razze hanno origine da un piccolo gruppo comune di antenati che ci ha lasciato in eredità una sorta di genoma-base comune e solamente un piccolo 7% è responsabile delle differenze, come il colore della pelle, tra le diverse popolazioni.
Mappa delle principali migrazioni di H. sapiens dallAfrica verso gli altri continenti (Saraceni Strumia Corsi di biologia © Zanichelli editore)

Conferme dell’inesistenza delle razze umane

I risultati del 1972 sono stati confermati negli anni Novanta da un altro gruppo di ricercatori, tra i quali c’era anche il genetista italiano Guido Barbujani. In un articolo che fin dal titolo riecheggia quello di Lewontin (An apportionment of human DNA diversity pubblicato su PNAS, Vol. 94, pp. 4516 – 4519 nell’aprile 1997), gli scienziati hanno potuto ribadire che le razze umane non esistono utilizzando tecniche di indagine genetica più sosfisticate. Un altro grande genetista italiano da poco scomparso, Luigi Luca Cavalli Sforza, ha effettuato negli anni Ottanta una serie di studi nel solco aperto da Lewontin. Questa volta i ricercatori si sono concentrati su 109 diversi tratti del genoma di 16 popolazioni che abitano i cinque continenti. La diversità biologica interna a ognuna delle popolazioni risulta elevatissima (oltre il 90%), mentre è minima tra le popolazioni. Non solo. Potendo prendere in considerazione i singoli geni, il gruppo di Cavalli Sforza ha mostrato che sono presenti in quasi tutte le popolazioni, sebbene vari la loro frequenza. In altre parole: non esiste un gene che permetta di distinguere una popolazione da un’altra. Un’ulteriore conferma che non ha senso parlare di razze umane viene dallo studio condotto nel 1987 da tre altri scienziati: R.L. Cann, M. Stoneking e A.C. Wilson, che hanno studiato la variabilità del DNA mitocondriale (mtDNA) in gruppi di persone rappresentative delle popolazioni di tutti i continenti. Il loro scopo era quello di ricostruire un albero filogenetico che mostrasse almeno una parte della storia di Homo sapiens. Lo studio del DNA dei 147 individui ha portato i tre ricercatori a una sola possibile conclusione: “tutti questi diversi DNA mitocondriali hanno origine in una donna che supponiamo abbia vissuto circa 200 mila anni fa, probabilmente in Africa”. Inoltre, scrivono sempre gli stessi autori, “tutte le popolazioni esaminate con l’eccezione di quella africana hanno origine multipla, il che implica che ogni area è stata colonizzata ripetutamente”. Quindi, Homo sapiens è nato in Africa e da lì è emigrato per dare origine alle diverse popolazioni che hanno colonizzato i continenti della Terra. Infine, 200 mila anni è una distanza temporale insufficiente perché si potessero originare diverse razze.  
Per approfondire: Oltre ai paper originali linkati all'interno del testo, i materiali a disposizione per approfondire sono moltissimi. Sulla storia della rivista "La Difesa della razza" si può consultare l'antologia curata da Valentina Pisany ("La difesa della razza. Antologia 1938 - 1943") pubblicata da Bompiani. Guido Barbujani ha scritto due libri sull'argomento dell'inesistenza delle razze umane a partire dalla propria esperienza di genetista: "Gli africani siamo noi. Alle origini dell'uomo" (pubblicato nel 2016 da Laterza) e "L'invenzione delle razze. Capire la biodiversità umana" (pubblicato da Bompiani nel 2006).. Luigi Luca Cavalli Sforza si è occupato di evoluzione culturale in "L’evoluzione della cultura" (edizioni Codice, 2008) andando oltre il concetto di razza. Charles Darwin si è occupato dell'origine di Homo sapiens in "L'origine dell'uomo" pubblicato originariamente nel 1871 (con il titolo "The Descent of Man") e più volte tradotto anche in italiano. Sulle migrazioni umane "out-of-Africa" si può consultare un video delle Teche RAI con Telmo Pievani ospite in studio di Federico Taddia: http://www.raiscuola.rai.it/articoli-programma-puntate/telmo-pievani-spiega-perché-non-esistono-le-razze/24994/default.aspx
page1-479px-La_difesa_della_razza,_n.1,_Tumminelli,_Roma_1938
out-of-africa
Histoire_naturelle,_Tome_II_-_Natural_history,_Volume_2_-_Gallica_-_ark_12148-btv1b2300249h-f1
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Rappresentazione-dellangolo-facciale-di-Camper

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