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Biologia

L’Himalaya alla prova dei cambiamenti climatici

In che modo la biodiversità animale e vegetale e le piccole comunità animiste e buddiste subiscono gli effetti del surriscaldamento del pianeta?

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Le montagne più alte del mondo si trovano nella catena dell’Himalaya e per questo tanti avventurieri e avventuriere provano a scalare i picchi più difficili. K2, Nanga Parbat, Annapurna, Everest sono dei nomi che evocano grandi imprese, incidenti mortali, record e fallimenti da parte di scalatrici e scalatori provenienti da tutto il mondo. Ma la catena montuosa himalayana è anche e soprattutto un immenso hotspot globale di biodiversità.

In questa regione, alla desolazione delle cime innevate si unisce la lussureggiante vegetazione delle foreste subtropicali. Una tale varietà di ambienti ha permesso lo sviluppo di un’entusiasmante varietà di forme di vita, dall’elusivo e famoso leopardo delle nevi (Panthera uncia) al coloratissimo monal (Lophophorus impejanus), un uccello simile a un fagiano dall’aspetto estremamente vistoso. La ricchezza biologica di questa area geografica è un capolavoro dell’evoluzione e dell’adattamento.

Gli effetti sulla biodiversità

Tuttavia, l’esistenza stessa di questa varietà di forme di vita oggi è minacciata dal cambiamento climatico, che rischia di portare a semplificazioni ecologiche irreversibili. L’Himalaya, definito il «Terzo Polo» perché ha dei tratti comuni con Artide e Antartide, sta vivendo profonde modifiche dei suoi ecosistemi, modifiche che creano ostacoli importanti alla sopravvivenza di innumerevoli specie. L’aumento delle temperature, le alterazioni nei modelli delle precipitazioni e il rapido ritiro dei ghiacciai ne sono manifestazioni chiave. Cambiamenti che stanno trasformando visibilmente il paesaggio e rappresentano un pericolo sia per la flora, sia per la fauna che hanno prosperato in questa regione per migliaia di anni.

Le specie himalayane, considerate tra le più resilienti, si sono adattate a condizioni estreme, ma ora sono costrette ad affrontare sfide senza precedenti. Con l’aumento delle temperature vedono sparire i loro habitat, che si ritirano a quote più elevate per esigenze climatiche. Per alcune ciò può significare la perdita di spazi vitali, portando ad aumenti di densità insostenibili nelle aree che ancora preservano condizioni ambientali idonee. Questo provoca una maggiore competizione per le risorse e un rischio più alto nella diffusione di malattie di origine virale.

Il Bharal dell’Himalaya, conosciuto anche come "Naur" nelle lingue locali, è una specie erbivora che si trova nelle regioni montuose e di alta quota dell’Himalaya. Poiché i suoi habitat naturali sono sempre più influenzati da fattori come la deforestazione, lo sviluppo delle infrastrutture e l’innalzamento della temperatura media globale, questo animale prezioso dal punto di vista conservazionistico, anche perché specie preda del leopardo delle nevi, sta perdendo aree vitali di pascolo e di riproduzione. Questa perdita di habitat costringe gli esemplari a concentrarsi in aree più piccole e limitate, portando a densità di popolazione più elevate. L’aumento della densità di popolazione del Bharal in questi habitat ridotti può avere diverse conseguenze ecologiche, tra cui il sovra pascolamento della vegetazione, la competizione per risorse limitate e una maggiore vulnerabilità alla predazione.

I leopardi delle nevi, come predatori apicali, sono altamente sensibili alle modificazioni dei loro habitat. L’aumento delle temperature può causare lo spostamento della linea delle nevi verso l’alto, riducendo la copertura nevosa disponibile e i terreni di caccia adatti per questi grandi felini. Di conseguenza, i più iconici predatori della catena himalayana potrebbero essere costretti a migrare verso quote più elevate, il che conduce a conflitti con le comunità locali e alla competizione con altri predatori per risorse alimentari sempre più limitate.

Al leopardo delle nevi Pietro Bassi ha dedicato una bella recensione del libro di Sylvain Tesson intitolato La pantera delle nevi, edito da Sellerio.

Per altre specie, invece, significa affrontare la sfida di spostarsi in regioni completamente nuove, alla ricerca di contesti ambientali che possano garantirne la sopravvivenza, ma nei quali trovano nuovi pericoli: infrastrutture antropiche, specie sconosciute, nuovi predatori e tutte quelle variabili imprevedibili legate alla migrazione verso ambienti ignoti.

I cambiamenti climatici, inoltre, provocano l’alterazione del ciclo dei monsoni o delle precipitazioni medie annuali. Molte specie che migrano stagionalmente alla ricerca di cibo e luoghi adatti alla riproduzione vengono colpite da queste alterazioni, con effetti sui loro schemi migratori e sugli aspetti stagionali del loro ciclo biologico. Le oche indiane, ad esempio, si riproducono nelle zone umide di alta quota dell’Himalaya e trascorrono l’inverno nelle pianure dell’Asia meridionale. I cambiamenti climatici possono modificare i loro modelli migratori attraverso una mancata disponibilità di cibo o alterando le temperature nei luoghi di nidificazione e di svernamento. Questi cambiamenti possono portare a discrepanze temporali, rendendo difficile per le oche il reperimento del cibo durante la migrazione, il che può influire sulla loro sopravvivenza e il loro successo riproduttivo.

Casi simili riguardano anche i mammiferi: se viene meno la concomitanza tra la crescita delle piante (cioè la loro fase vegetativa) e l’arrivo o la nascita degli erbivori può verificarsi il crollo demografico per assenza di cibo, con conseguenze a catena su tutta la rete trofica. È il caso del cervo muschiato dell’Himalaya, che si nutre principalmente di muschi, licheni e piccoli arbusti. La nascita dei piccoli deve coincidere con il massimo produttivo della vegetazione, in modo che le femmine possano produrre latte per l’allevamento della prole e nella fase successiva di svezzamento i piccoli abbiano ancora a disposizione piante idonee al cambio di alimentazione successivo al primo periodo di solo allattamento.

Gli effetti sulle comunità umane

L’Himalaya ospita una rete di ghiacciai che forniscono acqua dolce a milioni di persone e supportano ecosistemi unici. A causa del riscaldamento globale, i ghiacciai stanno recedendo, mettendo in pericolo questi ecosistemi e le specie che dipendono dalle regioni glaciali per sopravvivere, come il leopardo delle nevi, specie già profondamente minacciata dalla caccia illegale. Le temperature in aumento possono facilitare l’espansione di zecche e zanzare a quote più elevate, che agiscono da vettori di malattie. Ciò comporta rischi per la salute della fauna selvatica e anche delle comunità locali e può perturbare i delicati equilibri ecosistemici.

Il cambiamento climatico porta a eventi meteorologici più frequenti e gravi. Frane, inondazioni e valanghe possono distruggere interi habitat e rappresentare una minaccia per specie selvatiche, animali domestici e intere comunità umane. È quello che è successo a Kagbeni, villaggio nel Mustang (in Nepal), dove nell’agosto 2023 unapiena di proporzioni mai viste del fiume Kali Gandaki ha spazzato via la strada e più della metà delle case, delle stalle e delle strutture ricettive. Non ci sono state vittime tra le persone, ma tutto il bestiame e le coltivazioni sono andate perse. Tali eventi possono anche interrompere gli sforzi di conservazione e portare alla perdita di dati cruciali per la comprensione e la protezione di specie animali e vegetali a rischio di estinzione. Le alluvioni rappresentano circa un terzo dei disastri naturali che affliggono la regione e il trend è in crescita, in termini sia di frequenza, sia di intensità. Oltre alle esondazioni e agli allagamenti, provocano frane imponenti, l’erosione delle sponde e le colate di sabbia, tipiche della montagna himalayana tra i 3000 e i 4000 metri di quota, a causa della natura geologica dell’area.

Uno dei fenomeni più impressionanti, sul quale incide l’aumento globale e locale delle temperature, è quello dei GLOF o Glacial Lake Outburst Flood: in questo caso l’alluvione avviene quando una morena glaciale viene rotta o superata in altezza dalla pressione e dalla forza dell’acqua di un lago glaciale. L’elemento scatenante può essere un terremoto, evento non raro in Himalaya, oppure una frana, o ancora un aumento troppo rapido della pressione dell’acqua a causa di un aumento di volume, dovuto allo scioglimento troppo rapido del ghiacciaio che a sua volta alimenta il lago. L’effetto sugli ambienti a valle è devastante ed equivale alla rottura di una diga.

Questa animazione mostra il meccanismo che aziona un GLOF ed è stata prodotta dall’ICIMOD o International Centre for Integrated Mountain Development, un ente intergovernativo che studia e racconta la regione himalayana e che ha sede a Kathmandu, capitale del Nepal.

Durante questi eventi catastrofici il prezzo più alto è pagato dalle donne. I motivi sono diversi: raramente abbandonano la casa, non hanno gli strumenti culturali, né la preparazione fisica per mettersi in salvo e, se sopravvivono, sono poi responsabili della riorganizzazione della vita domestica e della cura della famiglia in condizioni di estremo disagio. Nel complesso le popolazioni himalayane stanno cercando di adattarsi alle nuove condizioni climatiche e di instabilità, anche idrogeologica. Tuttavia, la loro resilienza non è priva di limiti.

La resilienza delle comunità locali

Molte comunità himalayane praticano da generazioni la coltivazione in terrazzamenti. Questo metodo di coltivazione, che prevede la costruzione di campi a gradoni sui pendii, aiuta a ridurre l’erosione del suolo e a conservare l’acqua. Consente anche di coltivare una varietà più ampia di specie e cultivar, rendendo i piccoli appezzamenti di terra meno vulnerabili alle perdite di raccolto legate al clima. Le risorse idriche vengono ancora gestite con metodi tradizionali, come canali di irrigazione, stagni e serbatoi. Questi sistemi aiutano a catturare e conservare l’acqua durante la stagione delle piogge, garantendo un approvvigionamento idrico più affidabile per l’agricoltura e l’uso domestico durante i periodi più secchi.

La gestione sostenibile delle foreste è una pratica comune nell’Himalaya. Le comunità locali spesso istituiscono comitati di gestione forestale per proteggere e raccogliere in modo sostenibile i prodotti del sottobosco e il legname necessario a riscaldare le abitazioni. Questo non solo rappresenta un mezzo di sussistenza ragionato e fondamentale, ma contribuisce anche alla fissazione del carbonio e alla conservazione della biodiversità.

La regione himalayana è inoltre ricca di piante medicinali delle quali le popolazioni locali fanno largo uso, anche grazie a una profonda e condivisa conoscenza degli ecosistemi naturali nei quali vivono. Le comunità hanno sfruttato per migliaia di anni questa risorsa coltivando e raccogliendo in modo sostenibile. Il reddito generato dalla vendita di erbe medicinali fornisce un ulteriore supporto economico contro le sfide legate al clima e alle minacce rappresentate per l’agricoltura.

Date le vulnerabilità a frane, valanghe e alluvioni improvvise, le comunità dell’Himalaya hanno sviluppato e implementato sistemi tecnologici di allarme tempestivi e piani di preparazione per i disastri naturali. Programmi provinciali permettono di mitigare l’impatto di quelle che sono vere e proprie catastrofi e aiutare le famiglie colpite.

Alcune comunità hanno diversificato i loro mezzi di sussistenza impegnandosi nel settore del turismo sostenibile, che oggi impiega una buona parte degli abitanti delle aree montuose. Ciò fornisce una fonte di reddito alternativa e allo stesso tempo aumenta la consapevolezza sull’importanza della conservazione degli ecosistemi montani e della resilienza climatica.

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Bharal o Naur himalayano (immagine: Pixabay)

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Il bellissimo Monal himalayano (immagine: Wikipedia)

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Il leopardo delle nevi (immagine: Pixabay)

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Anziana donna nepalese (immagine: Pixabay)