Aula di scienze

Aula di scienze

Persone, storie e dati per capire il mondo

Speciali di Scienze
Materie
Biologia
Chimica
Fisica
Matematica
Scienze della Terra
Tecnologia
I blog
Sezioni
Come te lo spiego
Science News
Podcast
Interviste
Video
Animazioni
L'esperto di matematica
L'esperto di fisica
L'esperto di chimica
Chi siamo
Cerca
Biologia

L’invasione delle specie aliene

In Europa attualmente sono più di 14 mila e una parte di esse minaccia non solo la biodiversità, ma anche l’economia e la nostra qualità di vita

leggi

L’estate italiana del 2023 è stata segnata da un’emergenza anomala che ha spinto il ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste a stanziare quasi tre milioni di euro per contrastare la diffusione dell’ormai famigerato granchio blu, un vorace crostaceo decapode che, da quando si è stabilito nei nostri mari, sta infliggendo gravi danni al settore ittico. Ma il granchio blu è solo l’ultimo arrivato in una lunga lista di oltre 14.000 specie aliene in forte aumento in Europa a causa delle attività umane e dei cambiamenti climatici. Da dove arrivano? Quali conseguenze hanno per gli ecosistemi? E cosa possiamo fare quando si rivelano essere anche specie invasive?

Un predatore senza competitori

Originario delle coste atlantiche del continente americano, il granchio reale blu, granchio blu o granchio azzurro, scientificamente Callinectes sapidus, deve il nome alle chele blu degli individui maschi, il cui corpo può raggiungere fino a 15 cm di lunghezza e 25 cm di larghezza. Oltre alle dimensioni, il granchio blu si distingue anche per l’elevata tolleranza alle condizioni ambientali, in particolare temperatura e salinità dell’acqua. Capace di vivere in acque con una salinità compresa tra 2 e 48 g ‰ e di resistere a temperature che vanno dai 3°C ai 35°C, occupa le coste dell’intero nuovo continente, dalla Nuova Scozia fino all’Argentina, e si spinge anche lungo il corso dei fiumi.

Proprio questa versatilità ha giocato un ruolo importante nella sua storia recente: tramite l’acqua incamerata per zavorrare le navi, il granchio blu è stato accidentalmente trasportato dall’America verso il resto del mondo e spesso è riuscito ad adattarsi alle nuove condizioni di vita. Le prime segnalazioni in Italia, presso la Marina di Grado e la Laguna di Venezia, risalgono agli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, ma la proliferazione che ha portato la specie a diffondersi sulle coste del Mediterraneo, in particolare in prossimità di lagune ed estuari dell’Adriatico, è molto più recente e risale a una decina di anni fa.

Grazie alle sue caratteristiche corporee – in primis le dimensioni e la “corazza” – nelle nostre acque il granchio blu non ha predatori naturali o quasi ed è, al contrario, in grado di riprodursi con grande rapidità: a partire dai 12-18 mesi di vita, le femmine depongono in mare fino a due milioni di uova, da cui fuoriescono larve in grado di svilupparsi se la temperatura è di almeno 15°C, condizione favorita dai cambiamenti climatici in atto. Qualcuno lo ha soprannominato «killer dei mari», dato che sconvolge gli ecosistemi nutrendosi di gasteropodi e bivalvi, crostacei, piccoli pesci e molti altri organismi del tutto impreparati alla sua presenza e voracità, con forti ricadute economiche a danno dell’attività della piccola pesca costiera. Ma, come anticipato, il granchio blu è solo l’ultimo protagonista di un fenomeno che si è ripetuto innumerevoli volte nel corso della storia umana.

Le specie aliene in Italia e in Europa

Già in epoca romana molte specie vennero importate a scopo alimentare o estetico, allevate e talvolta diffuse in natura: è il caso di animali oggi comuni come il daino, il coniglio, il fagiano o la carpa. Con l’aumento degli spostamenti e, in epoca moderna, con la globalizzazione, la situazione ha tuttavia subito una forte accelerazione. Nel nostro Paese ci sono specie che sono arrivate attaccandosi alle chiglie delle navi come la cozza zebrata, un grosso mollusco bivalve, altre che hanno viaggiato nascoste nel legname, come il punteruolo rosso delle palme. Alcune, come il visone, il procione o la nutria, sono sfuggite dagli allevamenti dove erano state trasportate per farne pellicce, altre sono state importate perché ornamentali, come lo scoiattolo grigio, la buddleja o il temibile poligono del Giappone. Ad altre, infine, le attività umane hanno involontariamente creato corridoi per superare le barriere geografiche: il pesce scorpione, la caulerpa racemosa e il calamaro di Lesson, che hanno raggiunto il Mediterraneo attraverso il canale di Suez, vengono appunto chiamate lessepsiane, dal nome del promotore ed esecutore del canale che unisce il mar Rosso al Mediterraneo, Ferdinand de Lesseps.

Molte specie aliene o alloctone – ossia specie che, come quelle appena citate, si trovano al di fuori della loro area di origine naturale in seguito ad un’azione di trasporto volontaria o accidentale da parte degli esseri umani – non sopravvivono, dato che nel nuovo ambiente non trovano condizioni a loro idonee. Ma una minoranza che gli esperti stimano intorno al 10% riesce invece a insediarsi nel nuovo territorio e inizia a riprodursi. Secondo gli ultimi dati a disposizione della Rete europea di informazione sulle specie aliene della Commissione Europea (EASIN, European Alien Species Information Network), aggiornati al 10 gennaio 2024, nell’Unione Europea le specie aliene sono esattamente 14.321.

Specie aliene invasive

La maggior parte delle specie aliene non presenta rischi significativi per il nostro continente, ma circa una su cento si adatta invece così bene alle nuove condizioni ambientali e climatiche da riuscire a crescere, riprodursi molto velocemente ed espandersi a ritmi elevati: si parla in questo caso di specie invasive (in inglese Invasive Alien Species, IAS), che possono rappresentare una minaccia per gli ecosistemi locali, le colture e il bestiame, nonché mettere in pericolo il nostro benessere ambientale e sociale.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), la massima autorità scientifica mondiale in tema di biodiversità e servizi ecosistemici, le specie invasive causano cambiamenti drammatici, in alcuni casi irreversibili, alla biodiversità e agli ecosistemi, costituendo una delle cinque maggiori cause di perdita di biodiversità a livello mondiale. Esse hanno contribuito, da sole o insieme ad altri fattori, al 60% delle estinzioni documentate a livello globale, di cui spesso sono state il fattore scatenante. Sono inoltre responsabili della cosiddetta omogeneizzazione biotica, un fenomeno per cui le comunità biologiche di tutto il mondo diventano più simili, con ricadute sulla struttura e sul funzionamento degli ecosistemi.

Ma anche l’economia, la sicurezza alimentare, la sicurezza idrica e la salute umana sono influenzate negativamente dalle specie invasive, che ogni anno, a livello globale, causano danni per oltre 423 miliardi di dollari. Il 92% dei costi deriva dagli impatti delle specie invasive sulla salute umana (come nel caso della trasmissione di nuove malattie), la sicurezza idrica e la riduzione della disponibilità di cibo. Il restante 8% è invece legato alle spese di gestione delle invasioni biologiche, come nel caso dei danni alle infrastrutture (per esempio conseguenti alle incrostazioni provocate dalla cozza zebrata su tubature e centrali idroelettriche), all’agricoltura o alle foreste (per esempio legati allo scortecciamento ad opera dello scoiattolo grigio o alle perdite all’apicoltura causate dalla vespa velutina).

Strategie di contrasto

Per prevenire, minimizzare e mitigare gli impatti negativi delle specie aliene invasive sulla biodiversità autoctona e sui servizi ecosistemici, nonché limitare i danni sociali ed economici, nel 2014 l’Unione Europea ha emanato un regolamento che oggi identifica 88 specie aliene di rilevanza unionale, 47 animali e 41 vegetali, i cui effetti negativi richiedono un intervento concertato a livello comunitario.

Le specie incluse in questo elenco sono soggette a restrizioni e misure stabilite dal regolamento: limitazioni alla detenzione, all'importazione, alla vendita, all'allevamento, alla coltivazione e al rilascio nell'ambiente. È infatti evidente che prevenire l’ingresso di nuove specie aliene è il modo più efficace ed economico per gestire il problema. Per questo motivo gli Stati membri dell’Unione Europea sono tenuti per prima cosa a intervenire sulle vie di introduzione non intenzionale, adottando adeguati sistemi di sorveglianza soprattutto in porti e aeroporti.

In questo video realizzato dalla Regione Lombardia le azioni di contrasto alle specie aliene invasive nell’aeroporto Orio al Serio.

Secondariamente, ogni Paese europeo deve istituire un sistema di monitoraggio costante sul territorio, che porti alla rapida segnalazione agli enti competenti nel caso siano intercettate nuove specie e a una risposta rapida, che si traduca nell’immediata eradicazione per evitare che gli organismi alieni si diffondano sul territorio. In questo senso, anche i singoli cittadini possono svolgere un ruolo chiave, segnalando eventuali avvistamenti alle autorità competenti. L’eradicazione, tuttavia, è attuabile solamente nelle prime fasi dell’introduzione o in particolari contesti, come le isole. Quando non è possibile, l’unica alternativa è il controllo permanente nel tempo, ovvero la rimozione di una parte degli individui di una specie da un territorio al fine di diminuire o almeno contenerne gli impatti.

«Dobbiamo renderci conto che viviamo in un mondo fortemente antropizzato, nel quale è impensabile non ricorrere a una gestione di tipo attivo della fauna, e in generale della natura, per conservare la biodiversità», afferma Mattia Panzeri, biologo dell’Università dell’Insubria specializzato nella gestione delle specie alloctone invasive. «In questo contesto, l’introduzione di specie alloctone è una forma di inquinamento che possiamo definire di tipo biogeografico: per certi versi simile a quello derivante dalle sostanze di sintesi, ma più subdolo, perché meno immediatamente visibile, ma in grado di riprodursi e diffondersi nello spazio». Sebbene sia più facile e intuitivo pensare ai danni prodotti nel mare da un inquinante come il petrolio che non agli impatti di una specie invasiva, è opportuno non farsi ingannare dalle apparenze: per gli ecosistemi, l’inquinamento biogeografico può essere ancor più devastante.

immagine di copertina: Foto di Michael B su Unsplash

specie aliene-1

I granchi blu danneggiano l'attività dei pescatori tagliando le reti da pesca con le chele e cibandosi di cozze, vongole piccoli pesci (immagine: Mark Stebnicki via Pexels)

specie aliene-2

Cozze zebrate incrostate sull'elica di una imbarcazione: una volta introdotte in un corpo idrico, sono praticamente impossibili da eradicare (immagine: National Park Service, Flickr (foto di dominio pubblico))

specie aliene-3

Gli impatti delle specie esotiche invasive sulle specie autoctone (rosso; colonna di sinistra), sull'economia (blu; colonna centrale) e sulla qualità della vita (giallo; colonna di destra)
(Fonte: Summary for Policymakers of the Thematic Assessment Report on Invasive Alien Species and their Control of IPBES, pagina 23)

specie aliene-4

L’effetto delle specie aliene invasive: aumento del costo economico delle invasioni biologiche per decennio dal 1970 (in alto a sinistra); percentuale di casi di impatti negativi e positivi delle specie aliene invasive sulla buona qualità della vita (in alto a destra); casi documentati di estinzioni locali dovute a specie esotiche invasive (in centro a sinistra); ripartizione tassonomica delle specie esotiche invasive come cause documentate di estinzioni locali di specie native (in centro a destra); tendenze delle specie esotiche per regione del mondo (in basso).
(Fonte: Overwhelming evidence galvanizes a global consensus on the need for action against Invasive Alien Species, figura 2)