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Biologia

Istoni nei batteri: cade un altro dogma della biologia?

Nei batteri si pensava che non esistessero le proteine coinvolte nei processi di regolazione epigenetica, su cui si avvolge il DNA degli eucarioti

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Una delle prime cose che ho imparato al primo anno di università è che le cellule degli eurcarioti hanno il DNA racchiuso nel nucleo e avvolto attorno a speciali proteine, chiamate istoni, a formare i cromosomi. Le stesse proteine, mi avevano insegnato, non si trovavano invece in procarioti come i batteri, nei quali la molecola circolare di DNA era libera. Questo dogma oggi si studia anche a scuola.

Ma il bello della biologia è che continua a prendersi gioco di chi prende i dogmi troppo sul serio. I ricercatori Tobias Warnecke e Antoine Hocher, all’Imperial College di Londra, hanno di recente trovato il DNA di almeno due specie di batteri, impacchettato a panino tra due proteine che ricordano abbastanza da vicino i nostri istoni eucariotici. Della loro scoperta, pubblicata a gennaio 2023 su bioRxiv, si è parlato di recente su Nature.

Gli istoni batterici formerebbero una sorta di corazza esterna al DNA: una struttura completamente diversa da quella tipica degli eucarioti, nei quali il materiale genetico si avvolge attorno agli istoni. Le due specie batteriche in cui sono stati trovati sono la Leptospira interrogans, un patogeno umano, e il Bdellovibrio Bacteriovorus, un batterio predatore che si infiltra in batteri più grandi e li digerisce dall’interno.

Cosa sappiamo degli istoni e delle loro funzioni? È l’occasione per fare un ripasso con qualche aggiornamento. Sappiamo che sono strumenti essenziali per mantenere la struttura della cromatina, il complesso di proteine e acidi nucleici che costituisce i cromosomi. Ma sono ben più di una impalcatura inerte. Gli istoni regolano infatti, con le proprie modificazioni, l’attività dei geni sia negli eucarioti sia in alcuni microrganismi che appartengono agli Archaea. Finora nessuno li aveva però trovati nei batteri.

Il primo a osservare che gli istoni potevano essere modificati dopo la loro sintesi era stato, nel 1966, Vincent Allfrey, un ricercatore della Rockfeller University di New York. All’epoca il maggiore interesse dei biologi era rivolto ai geni, dato che da poco più di dieci anni era stata scoperta la struttura tridimensionale del DNA. Gli istoni erano considerati poco più che una colla, capace di tenere insieme il DNA nei cromosomi.

Allfrey era riuscito a identificare un particolare tipo di modificazione degli istoni, l’acetilazione, con esperimenti pionieristici e straordinariamente laboriosi. Le tecnologie dell’epoca, essenzialmente lunghe colonne di cromatografia per separare e raccogliere proteine diverse, non gli avevano permesso di andare molto oltre. Ciò nonostante Allfrey aveva formulato un’ipotesi lungimirante: che l’acetilazione degli istoni potesse modificare le interazioni con il DNA e influenzare di conseguenza la possibilità di trascrivere alcuni geni in RNA, e non altri, e produrre così alcune proteine e non altre. A dimostrare quell’ipotesi, ci avrebbe pensato, trent’anni più tardi, il biologo David Allis, all’epoca all’Università di Rochester, nello Stato di New York.

Nel corso della propria esistenza una cellula definisce la propria identità, sia nella struttura sia nelle funzioni, attivando alcuni geni e inibendone altri. Una cellula di muscolo ha, per esempio, la sua forma tipica, ed è in grado di contrarsi o estendersi, perché ha attivato alcuni geni diversi da quelli usati invece da una cellula della pelle o del sangue. Ma se tutte le cellule dell’organismo hanno lo stesso identico genoma, come fanno ad attivare o a inibire geni diversi, assumendo forme e funzioni differenti?

Da tempo sappiamo che il genoma è una sorta di grande libro, uguale per tutte le cellule, qualunque cosa facciano nel corpo. Da questo libro ciascun tipo di cellula attinge, accedendo a specifici capitoli, i geni, e ignorandone altri che servono a tipi cellulari diversi. Questo uso differenziato è regolato dall’accesso al librone stesso, come se gli istoni, con le loro astute modificazioni, facessero trovare a una cellula alcune pagine incollate e altre invece ben aperte e dispiegate.

David Allis ha ricevuto il Premio Lasker per la ricerca medica di base nel 2018, con Michael Grunstein, e sarebbe quasi certamente arrivato a Stoccolma se non fosse mancato, nel 2023, a 71 anni. La sua carriera lo aveva portato da Cincinnati, in Ohio, attraverso molte università non necessariamente di primo piano, fino alla prestigiosissima Rockfeller, nel 2003.

L’animaletto in cui Allis ha studiato inizialmente gli istoni e le loro modificazioni si chiama Tetrahymena. Si tratta di un piccolo eucariote, comune nelle acque dolci. È fatto di un'unica cellula, simile per molti aspetti alle nostre, e ricoperta di ciglia. Oggetto di studio di innumerevoli ricerche in biologia, Tetrahymena, oltre a crescere facilmente in laboratorio, ha una struttura particolare, con due nuclei e molti istoni modificati, che ben si presta a ricerche sull’espressione dei geni.

È in questi protozoi che Allis ha scoperto, nel 1996, il primo enzima capace di aggiungere un gruppo acetile agli istoni. Si trattava della proteina GCN5, in grado di aggiungere, ad alcuni tipi di istoni, un gruppo acetile ai residui di lisina. Bastava questa piccola modifica a svolgere un poco la cromatina in modo da permettere l’accesso e quindi la trascrizione dei geni. GCN5 è stato il primo enzima scoperto, di una famiglia destinata ad allargarsi: quella delle istone acetiltransferasi (HAT), in grado di modificare soprattutto gli amminoacidi presenti nella parte terminale degli istoni.

Le scoperte di Affrey e Allis fanno parte di processi biologici estremamente rilevanti: i fenomeni epigenetici, oggi descritti anche nei libri di scuola. Si tratta di modifiche che pur lasciando intatte le sequenze di geni ne regolano la possibilità d’uso. Dopo l’acetilazione è stata identificata la metilazione, un’altra possibilità di cambiare la struttura degli istoni e della cromatina. Semplificando un poco, oggi possiamo dire che i gruppi acetile aggiunti agli istoni aprono il DNA alla trascrizione in RNA, mentre i gruppi metile hanno l’effetto opposto, di compattare e chiudere la cromatina.

Il medesimo istone può anche svolgere funzioni diverse, a volte opposte, a seconda dello stato di acetilazione o metilazione dei propri amminoacidi. Questa osservazione ha portato David Allis, insieme al collega Brian Strahl, a proporre l’ipotesi di un “codice degli istoni”. L’idea è che le molteplici modifiche presenti negli istoni possano essere “lette” in sequenza da altre proteine, le quali, a seconda della configurazione trovata, possono intraprendere una strada o un’altra e determinare così eventi biologici successivi di diverso tipo.

Alcuni tipi di tumori sembrano essere causati da mutazioni genetiche nei geni che codificano per gli istoni e che sono all’origine di strutture aberranti della cromatina. È questa un’altra delle importanti scoperte del laboratorio di Allis.

David Allis sarebbe stato probabilmente felice di sapere che gli istoni esistono anche nei batteri. Molto resta però da scoprire sulle funzioni di queste proteine nei microbi. Per ora sappiamo solo che si legano al DNA in maniera diversa che negli eucarioti, fornendo uno scudo esterno anziché una struttura di avvolgimento interna. Forse proteggono il DNA microbico da possibili contaminazioni, per esempio da parte dei geni dei batteri predati. O forse aiutano a compattare il DNA nella fase in cui il batterio predatore è libero di nuotare, prima di infettare la propria preda. Sappiamo anche che, in circa il 2% di tutti i genomi batterici noti, ci sono geni che ricordano quelli degli eucarioti per gli istoni. Ma chissà quante altre sorprese ancora ci attendono.

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Nella foto Vincent Allfrey (immagine: jbc.org)

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Nella foto un esemplare di Tetrahymena (immagine: Wikipedia)

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David Allis (immagine: Wikipedia)