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Biologia

Paguri veri, ma col guscio di plastica

Grazie a foto pubblicate sul web, individuati 386 esemplari di paguro eremita semi-terrestre, che hanno scelto una “casa” di plastica

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Giorno dopo giorno le specie acquatiche e costiere si trovano a vivere in quello che assomiglia sempre di più a un vero e proprio mare di plastica. Secondo i dati del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), infatti, ogni anno circa 20 milioni di tonnellate di plastica vengono riversate in laghi, fiumi e mari. E, gioco forza, gli animali marini o semi-terrestri si trovano a fare i conti con questa novità: come si suol dire, o nuoti o affoghi.

Molte specie “affogano”, nel senso che subiscono drammatiche conseguenze. Basti pensare ai pesci, alle tartarughe e agli uccelli marini che rimangono impigliati in reti da pesca abbandonate, o che si trovano a ingerire pezzi più o meno grandi plastica. Altre specie sembrano invece ingegnarsi per utilizzare questo tipo di rifiuti a proprio vantaggio, anche se al momento non sappiamo quali saranno le conseguenze sul lungo termine.

Uno spettacolare quanto agghiacciante esempio di questo tipo di adattamento sono le 10 specie di paguro eremita semi-terrestre che hanno imparato ad utilizzare pezzi di plastica, ma anche di metallo e di vetro, al posto delle conchiglie per proteggere il loro addome. A documentare questo bizzarro comportamento è uno studio pubblicato su Science of The Total Environment, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Biologia Evolutiva dell’Università di Varsavia (Polonia) e del Dipartimento di Zoologia della Poznań University of Life Sciences (Polonia).

iEcology: un nuovo modo di studiare l’ambiente

Il gruppo di ricerca ha utilizzato le immagini disponibili in internet, pubblicate ad esempio su giornali e piattaforme online o sui social media da utenti privati, per studiare questa nuova abitudine dei paguri (o granchi) eremiti appartenenti alla famiglia Coenobitidae. I risultati sono a dir poco sorprendenti: nelle centinaia di immagini analizzate i ricercatori hanno identificato 386 esemplari, appartenenti a 10 diverse specie delle 16 note di paguri eremiti semi-terrestri, che usano gusci artificiali al posto delle conchiglie. Nell’84,5% dei casi si tratta di gusci costituiti da pezzi di plastica, mentre il restante 15,5% è costituito da pezzi di vetro, di metallo, o da un mix dei due materiali. Il fenomeno riguarda specie originarie della maggior parte delle coste tropicali di entrambi gli emisferi, quindi, scrivono gli autori, l’uso di materiali di origine antropica da parte di questi animali può essere considerato come un comportamento che si verifica su scala globale.

Un aspetto interessante di tutta questa storia è che dalla ricerca bibliografica eseguita dagli autori sono emerse solo quattro pubblicazioni che descrivono questo comportamento in un totale di 10 esemplari, appartenenti rispettivamente a due specie di paguri semi-terrestri e a tre specie di paguri marini. Come dicevamo, l’approccio utilizzato dal gruppo di ricerca, definito col termine “iEcology”, ha invece evidenziato che il bizzarro adattamento è esteso a molte più specie. iEcology sta per “internet ecology”, e si tratta quindi di un approccio che sfrutta le informazioni disponibili attraverso fonti digitali come Google, Facebook, Flickr, articoli di giornali online e molto altro per studiare modelli e processi ecologici.

Naturalmente, sottolineano gli stessi autori dello studio, l’iEcology ha anche delle limitazioni, prima fra tutte la soggettività individuale e legata al background culturale di chi sta ad esempio scattando una certa foto per poi pubblicarla sui social media. Nel caso del presente lavoro, spiegano i ricercatori, un limite potrebbe per esempio essere legato al fatto che la plastica spesso ha dei colori molto sgargianti, che la rendono potenzialmente più facile da identificare rispetto a un pezzo di vetro o di metallo. Questo potrebbe quindi aver influenzato uno dei risultati emersi dallo studio, ovvero che gli oggetti di origine antropica utilizzati dai paguri sono perlopiù oggetti di plastica. Ma, come sempre quando si parta di risorse disponibili online, l’aspetto interessante dell’iEcology è l’enorme quantità di dati, raccolti tra l’altro in ogni angolo della Terra, su cui i ricercatori possono potenzialmente basare i propri studi.

Alcune ipotesi su cause e conseguenze

Ma perché i paguri eremiti dovrebbero usare oggetti di origine antropica al posto delle conchiglie? Gli autori dello studio avanzano diverse ipotesi. Una riguarda l’abbondanza di rifiuti di questo tipo sulle coste e in corrispondenza delle foci dei fiumi, dove i granchi eremiti semi-terrestri vivono. Al contrario, la popolazione globale di molluschi si sta gradualmente riducendo, e con essa la disponibilità di conchiglie vuote per i paguri. Un’altra ipotesi è legata al fatto che i granchi eremiti possano in effetti preferire alcune delle caratteristiche dei rifiuti di plastica rispetto a quelle che contraddistinguono le conchiglie. Per esempio, è probabile che un pezzo di plastica sia mediamente più leggero rispetto a una conchiglia di dimensioni simili, il che comporta alcuni ovvi vantaggi per il paguro che lo deve trasportare in giro, specialmente fuori dall’acqua. Inoltre, una “casa” di plastica potrebbe avere dei vantaggi in termini di mimesi, e quindi di sopravvivenza ai predatori, in un ambiente sempre più contaminato dalla plastica. In più, sempre per quanto riguarda le possibilità di sfuggire ai predatori, l’aspetto di novità potrebbe confondere questi ultimi, proteggendo i paguri dai loro attacchi.

Fatto curioso, i ricercatori ipotizzano che anche l’aspetto di novità legato all’utilizzo di rifiuti antropici al posto delle conchiglie possa forse influenzare la scelta dei paguri. Secondo studi precedenti, infatti, la novità di per sé tenderebbe ad essere premiata in termini di selezione sessuale. In altre parole, le femmine di queste specie potrebbero trovare più attraenti i maschi che “indossano” gusci di plastica, di vetro o di metallo al posto delle conchiglie. Infine, sembra che uno dei composti chimici che caratterizza l’odore dei molluschi morti (il DMS, dimetilsofuro), e che richiama quindi l’attenzione dei paguri che sono in cerca di una conchiglia, venga rilasciato anche dai rifiuti plastici dispersi in mare.

Al momento tutte queste sono soltanto ipotesi plausibili che, sottolineano gli autori, dovranno essere debitamente analizzate e verificate per capire meglio l’impatto che questo tipo di comportamento può avere sulle dinamiche e sulla traiettoria evolutiva dei granchi eremiti. Quello che già sappiamo, grazie a studi precedenti, è che le microplastiche rilasciate dai rifiuti di plastica possono alterare il comportamento di alcune specie di paguro, influenzando ad esempio la modalità con cui questi animali difendono la propria conchiglia o attaccano un loro simile per accaparrarsene una.

Non solo paguri

Come anticipato, i paguri non sono i soli a dover fare i conti con questo nuovo componente del loro habitat; la lista dei possibili esempi è molto lunga. Le microplastiche, in particolare, risultano estremamente pervasive, riuscendo a raggiungere anche luoghi tanto remoti quanto le profondità oceaniche: uno studio pubblicato su Science Advances nel 2017 aveva messo in luce il ruolo delle larve giganti proprio su questo fronte. Si tratta di animali lunghi una decina di centimetri, che vivono all’interno di filtri di muco auto-prodotti che possono raggiungere anche un metro in larghezza. Queste strutture servono per selezionare e trattenere il particolato di una certa dimensione, che costituisce il nutrimento della larva. E, proprio attraverso questo meccanismo, anche la microplastica è entrata a far parte del menù delle larve giganti, con almeno due conseguenze. Da un lato, le microplastiche ingerite dalle larve vengono espulse con le feci. Queste ultime sprofondano fino ai fondali oceanici, dove costituiscono una fonte di nutrimento per gli animali che li abitano. Inoltre, gli stessi filtri dismessi dalle larve, che li ricambiano regolarmente quando arrivano ad essere troppo intasati, si inabissano e costituiscono una fonte di nutrimento per gli animali che vivono ad elevate profondità. Ecco quindi che, inconsapevolmente, le larve giganti fanno da tramite per il trasporto verticale di microlastiche da un punto all’altro dell’oceano.

«Si sta lavorando molto per studiare la plastica nelle viscere degli uccelli marini e dei pesci», aveva affermato allora Kakani Katija, prima autrice dello studio, «ma nessuno ha mai analizzato la plastica nelle acque più profonde. Attualmente stiamo lavorando a esperimenti per studiare le concentrazioni di microplastiche a diverse profondità nell’oceano, utilizzando campioni di acqua e forse anche i filtri dismessi delle larve». Uno studio pubblicato due anni dopo su Scientific Reports, di cui Katija è co-autrice, aveva confermato che uno dei più grandi serbatoi di microplastiche marine potrebbe essere costituito proprio dagli ecosistemi che abitano le profondità oceaniche.

  • Un mare di plastica è il titolo dell’ottava puntata del podcast Voci in Agenda, interamente dedicata al materiale che ha rivoluzionato il Novecento, ma che oggi minaccia soprattutto gli ecosistemi marini
  • Se vuoi approfondire le criticità associate alla produzione della plastica, puoi leggere anche due articoli di Giancarlo Sturloni che arriscono il nostro Speciale Antropocene: il primo è dedicato alla salute di mari e oceani, minacciati, tra le altre cose, dalla presenza di plastiche e microplastiche; il secondo racconta la necessità di un trattato globale sulla plastica.
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Paguro con guscio di plastica fotografato a Zanzibar (foto: Bertrand Godfroid/Shutterstock)