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Biologia

Spine analoghe, arti omologhi

In biologia i termini analogia e omologia sono molto frequenti, ma sono spiegati sempre con gli stessi esempi. Cerchiamo di trovarne nuovi

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Il prefisso omo- sta a indicare «dello stesso tipo, simile». Quindi, in biologia usiamo l’espressione struttura omologa per indicare strutture simili in organismi diversi. Nella maggior parte dei casi, più simili sono le somiglianze strutturali, più stretta è la parentela in termini evoluzionistici. Gli esempi possono riguardare, ad esempio, le ali di specie diverse di uccelli: a una struttura simile corrisponde l’esistenza in tempi relativamente recenti di un progenitore comune. Stesso discorso, ad esempio, per gli arti anteriori dei mammiferi.

Al contrario, le strutture analoghe sono quelle che svolgono funzioni simili in organismi diversi, ma che non possono essere collegate a un antenato comune molto vicino. Il tipico esempio è l’ala di una farfalla e quella di un uccello.

Vediamo quindi come si spiegano, dal punto di vista evolutivo, i concetti di omologia e analogia e poi alcuni esempi poco noti di strutture analoghe e omologhe.

Omologia ed evoluzione divergente

Le strutture omologhe, per definizione, non hanno la necessità di svolgere la medesima funzione. Per esempio, le pinne anteriori di un cetaceo e la mano di un essere umano hanno una struttura anatomica piuttosto simile, ma la funzione svolta è ben diversa: nel primo caso si tratta di una struttura adattata al nuoto, mentre la principale funzione della seconda è quella di afferrare. Eppure le ossa all’interno, le muscolature a esse collegate, l’innervazione e la struttura anatomica generale rivelano un’origine comune.

Questo è un classico esempio di evoluzione divergente: due organismi con origine comune hanno sviluppato, nel corso dell’evoluzione, caratteristiche via via sempre più diverse. Le due strutture vengono pertanto chiamate omologhe perché la loro origine evolutiva è simile, anche se svolgono funzioni differenti. Il più classico degli esempi è l’arto anteriore dei mammiferi, che non a caso abbiamo citato prima: strutture dall’origine comune che possono fungere, a seconda dell’animale, come apparato per afferrare o lanciare (il braccio umano), per la locomozione (gatto), per il nuoto (balena) o per il volo (pipistrello).

Analogia ed evoluzione convergente

Omologo e analogo sono termini simili, ma in biologia indicano situazioni molto diverse. Per quanto riguarda le strutture analoghe, infatti, si tira in ballo uno dei meccanismi evolutivi più conosciuti, ossia la convergenza evolutiva: strutture che hanno origine differente, non originate da un progenitore comune, ma che ricoprono la stessa funzione. L’ala di un insetto e l’ala di un uccello hanno origini completamente diverse, eppure esistono per lo stesso scopo, ossia quello di sostenere in volo l’animale che le possiede. La convergenza evolutiva è, semplificando, questo fenomeno: due organismi (o determinate loro strutture) non direttamente imparentati diventano via via più simili per poter vivere uno stile di vita simile, o compiere operazioni equivalenti.

Esempi diversi dal solito

Possiamo procedere per funzioni per identificare strutture analoghe anche tra animali molto lontani filogeneticamente: strutture analoghe sono ad esempio le corazzature di alcuni artropodi che permettono di proteggere completamente l’animale quando è appallottolato, come nei porcellini di terra (Armadillidium vulgare) che sono crostacei isopodi, o nei millepiedi a palla (Glomeris marginata) che hanno strutture analoghe alle protezioni degli armadilli.

Un altro esempio lampante di strutture analoghe, evolutesi tra l’altro in aspetti molto simili oltre ad avere la stessa funzione, sono gli occhi dei vertebrati, estremamente somiglianti agli occhi dei polpi, che hanno un’iride, una struttura circolare, una retina e cellule fotorecettrici pur con un’origine evolutiva ben distinta.

Anche il regno vegetale non fa eccezione: un esempio notevole di strutture analoghe si può incontrare tra due gruppi di piante che si sono evolute separatamente per vivere nel deserto: i cactus e le euforbie. Sia i cactus sia le euforbie hanno spine, ma queste strutture si originano da tessuti differenti a seconda delle piante. Nei cactus le spine sono foglie modificate e provengono da areole, che sono apposite strutture di aggregazione. Le euforbie hanno frequentemente le spine, che di solito si presentano in coppie ma non in areole. Queste spine hanno una natura ben differente da quelle dei cactus, trattandosi non di foglie, ma di steli modificati

Infine, uno dei casi più lampanti di strutture analoghe riguarda un animale scoperto in tempi relativamente recenti come l’ornitorinco: identificato come autentica specie solo a fine XVIII secolo (gli avvistamenti precedenti erano stati visti con sospetto dagli esploratori europei, pensando si trattasse di scherzi), il piccolo mammifero monotremo ha sviluppato una struttura notevolmente simile a quella del becco d’anatra in maniera totalmente indipendente dal volatile. Questo perché evidentemente si tratta di un tipo di struttura particolarmente vantaggiosa per esplorare le acque alla ricerca di piccole prede.

Ma, se andiamo a vedere, strutture analoghe si possono sorprendentemente trovare anche in regni differenti: le strutture per il volo planato di alcuni mammiferi (come i petauri o scoiattoli volanti) potrebbero essere associate, senza eccessive forzature, a sistemi equivalenti utilizzati da alcune piante per trasportare i propri semi il più lontano possibile, come le comunissime samare degli aceri.

Sulle strutture omologhe, e quindi con la stessa origine, le curiosità si sprecano se invece andiamo a cercare le cosiddette vestigia. Sono vestigia gli elementi anatomici che hanno perso totalmente la loro funzione originaria. Nell’essere umano abbiamo, per esempio, un accenno di membrana nittitante all’angolo dell’occhio, una struttura ben sviluppata in altri vertebrati come anfibi, rettili e uccelli e che ha funzioni di lubrificazione e protezione. Un altro esempio è il coccige, residuo della coda presente in tanti altri mammiferi ma che noi umani – e i nostri progenitori – abbiamo perso da tempo. I serpenti hanno delle strutture vestigiali che hanno la stessa origine delle nostre ossa del bacino e anche le balene hanno piccole ossa nella parte posteriore del corpo che hanno la stessa origine degli arti posteriori degli altri mammiferi e che tradiscono una loro origine terrestre e quadrupede.

Tra le strutture omologhe possiamo anche includere i pungiglioni di api e vespe e gli ovopositori di tanti altri insetti, ma è soprattutto tra i vertebrati, e in particolare tra i mammiferi, che l’anatomia comparata ci fa capire quanto strettamente imparentati noi umani siamo con gli altri animali dotati di pelliccia e produttori di latte. Un esempio su tutti è rappresentato dalle ossa del collo: per quanto tra noi esseri umani e le giraffe passi una differenza in altezza di più di tre metri e queste ultime possano vantare un collo di oltre due metri, possiamo contare esattamente lo stesso numero di vertebre all’interno: sette in totale, con la piccola differenza rappresentata dal fatto che nelle giraffe queste possono raggiungere i 25 centimetri di lunghezza ciascuna.

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Strutture omologhe di alcuni vertebrati.

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La postura di un petauro (Petaurus breviceps) permette una planata lunga durante un salto, come le samare degli aceri, frutti che sono trasportati dal vento attraverso movimenti elicoidali (immagini di Niccolò Caranti – MUSE; Franco Rossi – Acta plantarum).

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Le somiglianze estetiche tra i colibrì (uccelli della famiglia dei Tronchilidi) e la sfinge colibrì (lepidottero della specie Macroglossum stellatarum) sono molte: entrambi sfruttano le ali per avvicinarsi ai fiori e impollinarli.

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Nonostante siano entrambi uccelli, i pinguini e le oche usano le ali in modo totalmente diverso: i pinguini per nuotare sott’acqua, le oche per compiere lunghe migrazioni in volo.