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Biologia

Verso la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio?

Per una malattia difficile da curare potrebbe essere finalmente possibile sviluppare un esame di screening a partire dal pap-test

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Ci sono malattie che sfuggono tenacemente a cure e metodi di diagnosi precoce. Il tumore all’ovaio è un tipo di cancro che ha queste caratteristiche. È difficile da diagnosticare quando è trattabile perché dà ben pochi segni di sé prima che si sia diffuso nell’organismo ed è complicato da curare anche perché è geneticamente molto eterogeneo. Contro malattie di questo tipo ci sono scienziati che per tutta la loro carriera hanno cercato di superare questi problemi.

Maurizio D’Incalci è tra i pochi farmacologi italiani ad avere portato in clinica, con ricerche svolte nel nostro Paese, un farmaco anti-tumorale. Si tratta della trabectedina, un composto isolato in organismi marini, indicato per il tumore dell’ovaio e i sarcomi dei tessuti molli. I suoi studi, svolti all’Istituto Mario Negri di Milano per gran parte della sua carriera, continuano oggi presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, dove sono soprattutto sostenuti da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e dalla Fondazione Alessandra Bono.

Ma a D’Incalci, che è anche professore straordinario di farmacologia alla Humanitas University, l’orgoglio personale di avere portato in clinica la trabectedina non bastava. Voleva risolvere più alla radice il problema delle tante pazienti che di frequente si erano rivolte a lui, con la speranza che i risultati dei suoi studi potessero aiutarle a sopravvivere e guarire. Una speranza che tante volte si è infranta con difficoltà cliniche che restano imponenti, come le montagne del Piemonte su cui a Maurizio piace tanto inerpicarsi mentre riflette sulle sue ricerche.

È nata così un’idea più ardita: cercare di mettere a punto un metodo di diagnosi precoce che finora è stato cercato invano da tanti ricercatori nel mondo. Innanzitutto occorreva pensare dove cercare le tracce iniziali di questo tumore tanto sfuggente. Perché non provare con i pap-test? L’ipotesi era che un tumore ovarico, anche in fase iniziale, avrebbe potuto perdere alcune cellule o frammenti di cellule che dalle fimbrie, l'ultima parte delle tube di Falloppio, sarebbero scese verso il canale endocervicale. Ed è proprio dalla mucosa della cervice uterina che viene raccolto lo striscio di tessuto usato nei pap-test. È nata così la ricerca che D’Incalci ha coordinato insieme a Sergio Marchini, responsabile dell’Unità di genomica traslazionale dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.

Il test di Papanicolaou, in breve pap-test, è un esame di screening per la diagnosi precoce di un altro tipo di cancro, quello della cervice uterina. Georgios Papanicolaou, che lo ha messo a punto, era un medico e patologo greco, emigrato prima in Germania e poi negli Stati Uniti. Già nel 1928 Papanicolaou aveva notato che cellule di cancro dell’utero si potevano osservare al microscopio in uno striscio di tessuto vaginale raccolto con una spatola e posto su un vetrino. La sua osservazione era stata riconosciuta dalla comunità medico-scientifica solo negli anni Quaranta e le sperimentazioni cliniche del test da lui inventato avevano dovuto attendere addirittura gli anni Cinquanta. Allora si capì, finalmente, che si sarebbero salvate un’infinità di donne da un destino altrimenti funesto, rimuovendo le cellule di tumore della cervice allo stadio iniziale o addirittura in fase precancerosa.

I casi di cancro della cervice sono precipitati rapidamente di oltre il 70 per cento, insieme alla mortalità per questo tipo di cancro, da quando il pap-test è entrato nella routine clinica, negli Stati Uniti già a partire dagli anni Cinquanta. In precedenza il tumore della cervice era la prima causa di morte per cancro tra le donne in tutto il mondo. Gli stessi trionfali risultati, che si sono ripetuti nei Paesi in cui il test è stato via via introdotto, non si sono invece osservati nei Paesi più poveri, dove ancora tante donne muoiono a causa di questo tumore. Un cancro oggi quasi completamente prevenibile, anche grazie ai vaccini contro il virus HPV, la principale causa all’origine di questa malattia.

Il pap-test è anche uno dei grandi successi della sanità pubblica, dato che è il metodo di screening per la diagnosi precoce del cancro più utilizzato nei Paesi sviluppati. È infatti un esame semplice, affidabile ed economico: non è invasivo, quindi non spaventa le donne; gli strisci vaginali sono semplici e rapidi da raccogliere per gli operatori sanitari, mentre per i patologi l’analisi è veloce; i risultati del test sono sicuri, dato che danno pochi esiti falsi positivi o falsi negativi; non ultimo, il pap-test è anche economico, il che fa sì che i servizi sanitari non si tirino indietro dal sostegno a questo screening che in Italia è offerto gratuitamente. Oggi è spesso effettuato insieme al test per il materiale genetico dell’HPV, una versione moderna e aggiornata del pap-test che mantiene caratteristiche simili di semplicità ed economicità.

Qualcosa di simile, dicevamo, manca ancora totalmente per il cancro dell’ovaio, un tumore di cui soltanto in Italia si contano più di 5000 nuovi casi all’anno e in otto casi su dieci la diagnosi avviene quando la malattia è in fase avanzata e difficile da curare. Scoprire un tumore di questo tipo quando è ancora confinato all’ovaio può fare la differenza, dato che la sopravvivenza in questi casi supera il 90 per cento.

I ricercatori hanno chiesto innanzitutto a diversi ospedali e centri oncologici in Italia di fare ricerche nei propri archivi. Occorreva trovare i vetrini di vecchi pap-test, insieme alla storia clinica delle donne che vi si erano sottoposte. Gli scienziati avevano infatti bisogno dei pap-test per svolgere uno studio retrospettivo, sugli esami di donne che si erano o non si erano ammalate di cancro dell’ovaio fino a dieci anni dopo avere effettuato il test. I centri che hanno contribuito allo studio sono l’Ospedale San Gerardo di Monza, l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l’Ospedale San Raffaele di Milano, il Policlinico Gemelli di Roma, il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, l’Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, l’Istituto Mario Negri di Milano e l’Università degli Studi di Padova.

Una volta raccolto il materiale, insieme ai preziosi consensi informati delle pazienti, i ricercatori hanno cercato di capire se nei campioni dei pap-test ci potessero essere tracce molecolari precoci del tumore dell’ovaio. Dovevano essere tracce in grado di aiutare ad anticipare la diagnosi. La scelta è caduta su alcune instabilità genomiche che sono presenti nelle cellule di questo tipo di tumore fin dai primi stadi, ma non nelle cellule sane.

L’instabilità genomica è un fenomeno biologico comune nei tumori: i cromosomi custoditi nel nucleo di una cellula vanno incontro a profonde alterazioni, tra cui scambi, perdite o duplicazioni di pezzi di materiale genetico. Si tratta di un problema comune nel cancro, dove a volte non funzionano adeguatamente diversi meccanismi di riparazione e controllo, da quelli che aggiustano gli errori nel DNA a quelli che controllano il ciclo e le divisioni cellulari fino a quelli che si occupano di eliminare le cellule danneggiate o invecchiate. L’instabilità genomica è dunque una caratteristica comune alla maggior parte delle cellule tumorali, tanto che dal 2011 è inclusa tra i cosiddetti “Hallmarks of cancer” descritti dai ricercatori americani Douglas Hanahan e Robert Weinberg sulla rivista Cell.

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I pap-test recuperati dai diversi centri erano di 190 donne. Di queste, 113 si erano sottoposte all’esame da uno a dieci anni prima di ricevere una diagnosi di tumore dell’ovaio, mentre 77 nello stesso periodo di tempo avevano fatto il pap-test ma non si erano ammalate. I ricercatori hanno estratto il DNA da tutti i campioni e lo hanno analizzato con tecniche genomiche avanzate, cercando le alterazioni specifiche del tumore dell’ovaio.

L’instabilità genomica era già presente nel 75% dei campioni ottenuti da donne che si sono poi ammalate di cancro dell’ovaio, fino a nove anni prima della diagnosi. Ma il risultato davvero splendido è che, nelle donne che non hanno sviluppato la malattia, l’esito dell’analisi è stato positivo soltanto nel 4 per cento dei pap-test analizzati. Ciò significa che l’esame sembra discriminare molto bene tra le due popolazioni, dando una bassa percentuale di risultati falsi positivi.

I dati estremamente promettenti sono stati pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine. Ora dovranno essere confermati in studi più ampi e prospettici, in cui le donne che si sottopongono al pap-test saranno seguite nel tempo per vedere se, tra coloro che mostrano instabilità genomica, si svilupperà effettivamente un tumore all’ovaio. Una sperimentazione clinica più vasta dovrebbe anche aiutare a comprendere la fattibilità di uno screening di popolazione che è tanto necessario e atteso. Se dovesse funzionare (incrociamo le dita!), potrebbe essere una nuova pietra miliare nella prevenzione del cancro, capace di salvare la vita ogni anno a migliaia di donne solo in Italia.

Ricerche di questo tipo non si fanno, naturalmente, solo con due persone, ma sono piuttosto il frutto dell’impegno di un gruppo, con competenze e cervelli diversi. D’Incalci e Marchini hanno lavorato con medici, biologi molecolari, bioinformatici e statistici, in un quotidiano scambio di conoscenze che ha permesso di risolvere i problemi che man mano si sono presentati, e che non sono stati pochi! Particolarmente importante è stato il contributo di due giovani ricercatrici post-doc: la biologa molecolare Lara Paracchini e l’ingegnere biomedico con competenze bioinformatiche Laura Mannarino, prime autrici dell’articolo pubblicato.

I risultati ottenuti potrebbero essere anche un progresso importante per la sanità pubblica, se il nuovo test avrà caratteristiche analoghe al pap-test. Dovrà essere semplice da effettuare e da analizzare; dovrà essere uguale per tutte le donne; dovrà essere affidabile ed economico.

Viviamo in un’epoca paradossale. La ricerca sforna ogni giorno soluzioni sempre più precise e mirate a una miriade di problemi medici che sembravano insormontabili. Si tratta però di soluzioni vendute a prezzi quasi sempre talmente elevati da essere inaccessibili alla maggioranza dei pazienti e insostenibili per i servizi sanitari nazionali. Non ci si può dunque che augurare che lo screening per la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio nasca sotto auspici più equi, democratici e popolari.

Per scrivere questo post ho parlato innumerevoli volte con Maurizio D’Incalci dei risultati delle sue ricerche e ho inoltre letto l’articolo appena pubblicato su Science Translational Medicine: Paracchini L, Mannarino L, Romualdi C, Zadro R, Beltrame L, Fuso Nerini I, Zola P, Laudani ME, Pagano E, Giordano L, Fruscio R, Landoni F, Franceschi S, Dalessandro ML, Canzonieri V, Bocciolone L, Lorusso D, Bosetti C, Raspagliesi F, Garassino IMG; TOWARDS group; D’Incalci M, Marchini S. Genomic instability analysis in DNA from Papanicolaou test provides proof-of-principle early diagnosis of high-grade serous ovarian cancer. Sci Transl Med. 2023 Dec 6;15(725):eadi2556. doi: 10.1126/scitranslmed.adi2556. Epub 2023 Dec 6. PMID: 38055801.
Nella foto di apertura il gruppo, guidato da Maurizio D’Incalci e Sergio Marchini, che ha svolto la ricerca presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas. Maurizio D’Incalci è anche coautore del libro Come nascono le medicine - La scienza imperfetta dei farmaci, Chiavi di lettura, Zanichelli (2014). 
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Una sezione di tessuto ovarico con cellule tumorali, colorata e ingrandita al microscopio (Wikipedia).

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Le caratteristiche comuni alle cellule tumorali, secondo Douglas Hanahan e Robert Weinberg, includono l’instabilità genomica (Hanahan D, Weinberg RA. Hallmarks of cancer: the next generation. Cell. 2011 Mar 4;144(5):646-74. doi: 10.1016/j.cell.2011.02.013. PMID: 21376230.)
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Uno striscio vaginale di un pap-test in cui spicca un risultato anomalo (Wikipedia)

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Il gruppo guidato da Maurizio D’Incalci e Sergio Marchini che ha svolto la ricerca presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.