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Biologia

La scoperta del legame tra virus e tumori: la storia di Sarah Stewart

È stata la prima a scoprire una relazione tra virus e tumore nell'America del secondo dopoguerra, combattendo con tenacia contro gli stereotipi che circondavano le donne
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È il 1944: la Seconda Guerra mondiale è agli sgoccioli e il vaccino contro la cancrena sviluppato dai National Institutes of Health (NIH) ha salvato moltissimi soldati americani da una morte orribile in un ospedale da campo. Sarah Stewart è una delle ricercatrici che lo ha sviluppato, lavorandoci durante il suo dottorato in microbiologia. È il momento giusto per dedicarsi a qualcosa di nuovo, a partire da un’idea che ha cominciato a girarle in testa da qualche tempo: possibile che esistano dei virus che provocano il cancro? Decide di fare richiesta di un finanziamento proprio agli NIH di Baltimora in cui ha dimostrato da anni di essere una scienziata capace e affidabile.  La richiesta viene però respinta, perché in fondo lei è una biologa: cosa ne sa di medicina? La storia rischia di finire qui, ma non bisogna sottovalutare la tenacia di Sarah Stewart: in fondo non era così comunque che negli Stati Uniti dell’epoca una donna studiasse tanto da prendere una laurea e perfino un dottorato in microbiologia. Stewart si dice che se il problema è “il pezzo di carta” li avrebbe accontentati e avrebbe quindi avuto l’opportunità di mettere alla prova in laboratorio le sue idee.   Chi era Sarah Elizabeth Stewart? Il luogo di nascita è Tecalitlán, nello stato messicano dello Jalisco, oltre seicento chilometri da Città del Messico verso la costa pacifica. La data è il 16 agosto del 1905, solo qualche anno prima dello scoppio della Rivoluzione messicana che porterà alla deposizione del regime dittatoriale di Porfirio Diaz e consegnerà alla leggenda il nome del rivoluzionario Pancho Villa. Quando alla fine del 1910 diventa chiaro che la situazione è pericolosa, il padre, ingegnere americano che ha sposato una donna del luogo, decide di varcare il confine a nord e stabilirsi nel New Mexico.
Sarah Stewart in una foto dell'archivio della New Mexico University.
Proprio alla New Mexico University, Sarah Stewart si laurea in economia domestica, l’unico percorso di studi che all’epoca viene considerato adatto a una donna, che prima di tutto deve diventare una moglie e brava padrona di casa. Ma non è quello il futuro che lei desidera. Da uditrice segue le lezioni di scienze riservate ai soli maschi, laureandosi nel 1927 a soli 22 anni. Ed è solo l’inizio. Nei successivi tre anni studia alla University of Massachusetts (ad Amherst), dove ottiene la laurea di secondo livello in microbiologia, un percorso che si completerà nel 1939 con il dottorato sempre in microbiologia all’università di Chicago.  Dal 1935, intanto, comincia a lavorare per i National Institutes of Health, pubblicando sette articoli scientifici sui batteri anaerobici e sul vaccino contro la cancrena. Forse è da questi studi che comincia a domandarsi quali altri legami ci possano essere tra microbiologia e medicina, un rapporto ancora relativamente poco esplorato all’epoca. È in questa fase che comincia a chiedersi se in alcuni casi non possa essere un virus a innescare un tumore. L’ostacolo è che le manca la laurea in medicina. Nella prospettiva dell’epoca, Stewart aveva già potuto fare molto di più di molte altre donne della sua generazione: la laurea in scienze e anche un dottorato. Ora, vorrebbe addirittura entrare in un mondo totalmente maschile come quello della medicina. La risposta è no: niente fondi perché non è qualificata. Stewart risolve il problema della laurea in medicina trovando un’università, la Georgetown University di Washington che la accetta come studentessa e nel 1949, a 44 anni, Sarah Stewart è la prima donna a prendere la laurea in medicina presso quell’università. Ora, titolo in mano, torna a Baltimora agli NIH: non ci sono più scuse per negarle lo studio del rapporto tra virus e tumori.   Che cosa ha scoperto? Il primo scienziato ad avanzare l’ipotesi dell’esistenza di un “agente oncogeno” per una forma di cancro, la leucemia, è un altro personaggio, come Stewart, fuggito dalla violenza di una guerra. Ludwik Gross è nato a Cracovia (nell’attuale Polonia) un anno prima di lei, e nel 1940 scappa del proprio Paese occupato dalla Germania nazista. Diventa un pilastro di un’istituzione di ricerca fondamentale nella storia della lotta al cancro, il Bronx Veterans Administration Medical Center di New York, dove lavora anche con Rosalyn Sussman Yalow, un’altra ricercatrice che combatte contro un doppio pregiudizio: è una donna ed è ebrea. Ma i suoi studi sullo sviluppo del dosaggio radioimmunologico, una tecnica che impiega reagenti radioattivi per misurare la concentrazione di ormoni e altre sostanze nel corpo umano, l’hanno portata al premio Nobel nel 1977. Sarah Stewart si domanda se questo agente ipotizzato da Gross non possa essere un virus. A Baltimora, comincia con una serie di esperimenti assieme alla collega Bernice Eddy. Iniettano in topi sani un composto ottenuto dalla triturazione degli organi di topi malati di leucemia; aspettandosi che sviluppino anch’essi la leucemia. In realtà, sviluppano un tumore alla ghiandola parotide. Alla fine dei loro esperimenti, le due ricercatrici mostrano come il misterioso agente oncongeno sia causa di una ventina di diversi tipi di tumore. Su questa base di dati, lavorando per diversi anni a cercare di individuare la causa delle malattie, finalmente Stewart e Eddy individuano il Poliomavirus, dimostrando al di là di ogni dubbio che un virus può essere la causa di un tumore.
Sarah Stewart nel 1950 circa nei laboratori degli NIH.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, in una America (e in generale un Occidente) ancora titubante di fronte alle capacità delle donne, ritenute largamente meno dotate, soprattutto nel campo delle scienze. Stewart, grazie anche a una buona dose di determinazione, è una delle prime a dimostrare che non è così. E proprio dai suoi studi è partita la storia che ha portato oggi al vaccino contro il papilloma virus umano (HPV) che provoca il tumore al collo dell’utero. In Italia, a partire da quanto stabilito dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale per il periodo 2017-2019 tutte le ragazze e i ragazzi tra gli undici e i dodici anni possono essere vaccinati gratuitamente. Contribuiscono così a limitare la circolazione di un virus che provoca ogni anno la morte di oltre 400 donne nel nostro Paese.
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