Sul Plateau Antartico c'è un buco che di anno in anno diventa sempre più profondo. Lo stanno scavando i ricercatori del progetto internazionale Beyond EPICA coordinato dall'Istituto di Scienze Polari del CNR in un luogo chiamato Little Dome C, a una quarantina di chilometri dalla stazione italo-francese Concordia. Sfidando temperature che anche in piena estate arrivano a –50°C, perforano la calotta ed estraggono delle carote di ghiaccio, che poi tagliano in sezioni lunghe circa un metro. Il 23 gennaio scorso, l'ultimo giorno di lavoro prima della pausa per l’avvicinarsi dell'autunno e dell'inverno australe, sono scesi fino a 808,47 metri.
Lo fanno perché Little Dome C si trova sopra una vera e propria macchina del tempo. Una lunga e accurata serie di indagini condotte durante le spedizioni del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide ha infatti mostrato che lì alla base della calotta c’è il ghiaccio più antico del pianeta. Quando toccheranno una profondità di 2700 metri, i paleoclimatologi raggiungeranno degli strati formatisi un milione e mezzo di anni fa. Imprigionate al loro interno ci sono delle microscopiche bollicine d'aria, veri e propri campioni di atmosfera del passato. L’analisi delle carote permetterà quindi di ricostruire l’evoluzione del clima nel corso dei millenni.
Nessuno si è mai spinto così indietro nel tempo. Il record attuale è stato stabilito una ventina di anni fa dal progetto EPICA, che ha raggiunto del ghiaccio formatosi 800.000 anni fa nell'area dove sorge la Stazione Concordia. Con Beyond EPICA si potranno dunque aggiungere altri 700.000 anni di dati ai nostri archivi. Sapremo come sono variati in quelle epoche remote i livelli di gas serra come la CO2 e il metano e avremo migliori strumenti per interpretare i cambiamenti climatici di oggi.
L'impatto dei cambiamenti climatici
Mentre Beyond EPICA e diversi progetti analoghi in corso in altre zone del Plateau Antartico cercano di ricostruire il clima del passato, altri gruppi di ricerca si concentrano sugli effetti che il riscaldamento globale sta avendo oggi sull’Antartide. Il continente di ghiaccio non è solo un luogo di straordinario valore naturalistico: è fondamentale per gli equilibri che regolano la temperatura nell'intero pianeta. Più grande dell'Europa, con la sua superficie ricoperta al 98% da neve e ghiaccio riflette verso lo spazio gran parte dell'energia proveniente dal Sole, contribuendo in modo significativo al bilancio termico della Terra. Non solo: i suoi enormi ghiacciai contengono il 91% dei ghiacci della Terra e il 68% delle riserve globali di acqua dolce. La loro fusione, insieme a quella della calotta groenlandese, è una delle principali cause dell'innalzamento del livello del mare.
Le aree più fragili sono quelle che si trovano sulla costa e che sono poste alle latitudini meno elevate, dove la temperatura è relativamente più mite. Un grado in più o in meno fa poca differenza quando la colonnina di mercurio indica –50°C, ma basta per trasformare il ghiaccio in acqua liquida quando ci sono 0°C, un valore che d’estate viene superato nelle zone costiere.
È il caso della Penisola Antartica, che si protende verso l’America del Sud. Lì nel febbraio 2020 presso la base argentina Esperanza si sono raggiunti addirittura i 18,3°C, un episodio senza precedenti in Antartide da quando vengono si raccolgono dati. Non solo: i cambiamenti climatici fanno alzare anche la temperatura dell’acqua marina. Questo destabilizza le lingue glaciali che dall’entroterra raggiungono il mare e ne accelera la frammentazione e la fusione.
Fra i sorvegliati speciali c'è in particolare il ghiacciaio Thwaites, che defluisce nel Mare di Amundsen nell'Antartide Occidentale e che è stato soprannominato “Doomsday Glacier”, cioè “Ghiacciaio del Giorno del giudizio”. Ha una superficie paragonabile a quella della Florida ed è in rapido ritiro. Contiene abbastanza acqua da far alzare il livello degli oceani più di mezzo metro e il suo collasso potrebbe avere ripercussioni sulla stabilità di altri ghiacciai che potrebbero a loro volta far alzare il livello del mare di altri tre metri. Si tratta di uno scenario che si potrebbe verificare in tempi relativamente lunghi — molti decenni, se non alcuni secoli — ma che avrebbe impatti devastanti in tutto il pianeta, con intere città costiere sommerse dalle acque. Per questo la situazione viene costantemente monitorata, sia con il supporto dei satelliti sia con la raccolta di dati sul campo.
Il ghiaccio marino
Contrariamente a quanto accade nell’Artico, dove il ghiaccio marino è in chiaro declino da decenni, l’estensione della banchisa antartica ha invece avuto un andamento altalenante. Quattro delle cinque estensioni maggiori da quando sono disponibili dei dati, cioè dal 1979, sono state registrate dopo il 2008.
La stagione estiva 2022-2023 è stata invece pessima e ha stabilito il record negativo assoluto. Per la prima volta i valori sono scesi al di sotto dei 2 milioni di chilometri quadrati, cioè più di un milione di chilometri quadrati al di sotto della media. Anche l’estate precedente era stata estremamente negativa. È possibile che si tratti di segnali di cedimento legati al riscaldamento globale, ma anche di episodi dovuti a fattori meteorologici, in particolare a forti venti occidentali che hanno fatto aumentare il moto ondoso e hanno frammentato la banchisa. Per avere una risposta bisognerà attendere quello che accadrà nei prossimi anni.
La memoria del ghiaccio
Quel che è certo è che, anche tagliando il più possibile le emissioni di gas serra, il pianeta continuerà a scaldarsi e a subire gli effetti del global warming a lungo. Se i ghiacciai dell'Antartide sono destinati a soffrire e a ridursi, molti di quelli che si trovano in altre zone della Terra hanno ben poche speranze di sopravvivere.
Anche i loro strati di ghiaccio conservano informazioni sul clima del passato: a volte permettono di ricostruire serie climatiche lunghe migliaia di anni, altre volte lunghe solo poche centinaia di anni. Si tratta di un patrimonio che stiamo perdendo rapidamente. Per questo il progetto internazionale “Ice Memory”, riconosciuto dall’UNESCO, ha come obiettivo la perforazione dei ghiacciai in ogni continente, dalle Ande al Kilimangiaro fino alle vette delle Alpi e a ciò che resta del Ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso.
Le carote estratte saranno studiate e conservate in un deposito costruito sul Plateau Antartico nei pressi della Stazione Concordia. Laggiù la temperatura media annua è di –54°C: è una sorta di freezer naturale dove il riscaldamento globale non potrà danneggiare i campioni nemmeno negli scenari peggiori. Grazie all'Antartide sarà insomma salvata e messa a disposizione degli scienziati la memoria del ghiaccio dell'intero pianeta.
Carota di ghiaccio del progetto EPICA (foto: Andrea Bettini)
Ghiacciai in Antartide (foto Andrea Bettini)
Deposito per carote di ghiaccio alla Base Concordia (foto: Mulvaney PNRA IPEV)
Veduta di Little Dome C (foto: Panichi PNRA IPEV)
Estrazione carota di ghiaccio a Little Dome C (foto: Mulvaney PNRA IPEV)
Iceberg intrappolati nella banchisa (foto: Andrea Bettini)
Carota di ghiaccio (foto: PNRA IPEV)
Il limite della banchisa nel Mare di Ross (foto: Andrea Betttini)
Deposito per carote di ghiaccio alla Base Concordia (foto: Andrea Bettini)
Veduta aerea di Little Dome C (foto: Augusto Piccioni)