Prima storia: c’era una volta una casetta in mezzo al bosco abitata da papà orso, mamma orsa e il loro piccolo orsetto. È l’ora della colazione e i tre orsi preparano tre ciotole di latte, ma essendo il latte troppo caldo decidono di fare una passeggiata in attesa che si raffreddi. Passa di lì una bambina che per i suoi capelli viene chiamata Riccioli d’oro. Attirata dal profumo del latte, entra nella casa e vede sul tavolo tre ciotole fumanti. Assaggia la ciotola di papà orso, ma il latte è bollente. Assaggia quella di mamma orsa, ma è troppo freddo. Infine, assaggia quella dell’orsetto, ed è perfetta! Ma ne beve troppo, e le viene sonno. Si siede sulla grande poltrona di papà orso, ma è troppo dura. Prova quella di mamma orsa, ma è troppo morbida. Quella dell’orsetto invece è perfetta! Ma ha bevuto talmente tanto latte che la poltroncina si spacca. Decide così di andare al piano superiore, dove ci sono tre letti. Cosa accadrà mai? Esatto: il letto perfetto è quello dell’orsetto, né troppo duro, né troppo morbido… Finché i tre orsi rientrano a casa e poi spiegano a Riccioli d’oro come ci si comporta in casa d’altri. Lei si pente sinceramente (forse) e diventa nuova compagna di giuochi di orsetto.
Seconda storia: Concord, Massachusetts, Stati Uniti. Gennaio. Nella notte è caduto un velo di neve. Una donna porta i suoi due figli, di sei e otto anni, a giocare sulla collina vicino a casa. Ci sono altri bambini, altre madri. Sembrano felici: ridono, sono curate, sono belle. La donna le guarda con rancore e risentimento. Ne è infastidita. Scopriamo subito che è sola. Ha perso il marito da appena sei mesi, è disperata e non ha paura di mostrare i propri sentimenti, anche quelli considerati meno nobili. Ma presto scopre che anche quelle donne, così curate e allegre, sono vedove, e che per giunta si aiutano a vicenda in una specie di circolo che hanno fondato. La invitano a unirsi a loro e la sua vita, da quel momento, cambierà per l’ennesima volta.
Piccole luci nell’universo
Lei è Sara Seager (1971), astrofisica e docente al MIT con un disturbo, diagnosticato in età adulta, dello spettro autistico. Il libro si intitola Piccole luci nell’universo. Storie e imprese di una cacciatrice di nuovi mondi (Longanesi, 2021, 300 pp., euro 22. Traduzione di Alba Bariffi), il cui sottotitolo originale recita: a memoir. Un libro autobiografico di nonfiction dove la scienziata racconta di sé con ammirabile sincerità, alternando in modo efficacissimo la sfera privata, emotiva, quotidiana, alla sfera lavorativa di scienziata cercatrice di esopianeti, cioè di pianeti fuori dal nostro sistema solare.
Gli esopianeti più interessanti sono quelli in grado, potenzialmente, di ospitare la vita. Affinché questo possa verificarsi, gli esopianeti – come il pianeta Terra – devono trovarsi in quella che gli astrofisici chiamano “Goldilocks zone”, cioè “zona Riccioli d’oro”, perché la protagonista della fiaba Riccioli d’oro e i tre orsi, scritta e pubblicata per la prima volta nel 1837 da Robert Southey, sceglie sempre ciò che sta in mezzo fra tre possibilità, mai agli estremi. In questo caso, pianeti né troppo vicini né troppo lontani dalla loro stella, né troppo freddi né troppo caldi, come il latte nelle ciotole della famiglia degli orsi. Pianeti, insomma, che si trovino nella zona abitabile.
C’è molta carne al fuoco, in questo libro, unitamente al fatto che la lettura è sempre molto avvincente, sorretta da una scrittura limpida ed efficace, sia che si parli di gestione quotidiana dei figli da parte di una vedova con una florida e impegnativa carriera, sia che si parli di Universo, e del tentativo del genere umano di diventare una specie interplanetaria, e poi interstellare. Un’idea che gli scienziati percorrono da alcuni decenni, come racconta per esempio Freeman Dyson nella sua autobiografia.
C’è vita nell’Universo?
Uno dei più importanti contributi che Sara Seager ha dato all’astrofisica è stato quello di studiare le atmosfere degli esopianeti usando gli spettri di trasmissione durante il transito. Detto altrimenti: i pianeti, fondamentalmente, girano attorno alla loro stella; con un po’ di fortuna, ha pensato Sara Seager, è possibile scoprire nuovi esopianeti di sistemi extrasolari nel momento in cui la loro orbita li porta tra la stella (che emette una luce accecante) e i nostri strumenti di misurazione.
Avendo fortuna, era possibile che un pianeta passasse fra noi e la sua stella. Era ragionevole che l'effetto fosse qualcosa come un'eclisse in miniatura. Quando nasconde il sole, la luna appare gigantesca. La «tecnica del transito», come si sarebbe poi chiamata, applicava lo stesso principio agli esopianeti: li avremmo trovati non grazie alla luce che emettevano, ma grazie alla luce che bloccavano. Niente risalta più di una macchia nera. [p. 58]
I pianeti gioviani caldi erano in grado di eclissare circa l'1 per cento della luce della loro stella, più che sufficiente per misurarla con strumenti migliori. Calcolammo che ognuno dei nostri ipotetici pianeti dotati di orbita breve avesse una probabilità su dieci di passare davanti alla sua stella. Non tantissimo, ma poteva certamente andare peggio. Mi svegliavo ogni mattina chiedendomi se durante la notte qualcuno avesse individuato un transito. Ero pervasa dalla sensazione che il mondo potesse cambiare a ogni email, a ogni squillo del telefono. [p. 59]
Una volta scoperto il primo transito (di un esopianeta già noto, chiamato in modo accattivante HD 209458b) si apre per l’autrice un nuovo fecondo capitolo. A questo punto ha una seconda importante idea, importante quanto e forse più della prima.
Perché fermarsi a scoprire le sagome nere di nuovi esopianeti quando, in teoria, potremmo sapere anche se sono buoni candidati per essere considerati pianeti abitabili?
Nell'immediato contorno di quella minuscola, parziale eclisse, la stessa luce stellare che veniva bloccata da un esopianeta sarebbe passata attraverso la sua atmosfera. La luce stellare ci avrebbe raggiunti, ma non come ci raggiunge normalmente. Sarebbe stata filtrata, come acqua che passa in un setaccio o il raggio di una torcia che attraversa la nebbia. [p. 61]
Come ci aiuta questo? Analizzando la luce filtrata dall’atmosfera dell’esopianeta con uno spettrografo, cioè uno spettrometro in grado di dirci quali gas compongono l’atmosfera del pianeta!
Sapevamo già che grandi quantità di certi gas sono probabili solo in presenza della vita. Li chiamiamo «gas biofirma». L'ossigeno è uno; il metano è un altro. […] Potevamo cominciare con i gioviani caldi, i pianeti che conoscevamo già, e le loro atmosfere più facili da analizzare. Come gli spruzzi di una puzzola, le loro tracce di sodio e potassio si sarebbero distinte in mezzo alla compagnia di atomi meno potenti. [p. 61]
Queste due importantissime intuizioni servono solo per dare un’idea della rilevanza e del lavoro scientifico di Sara Seager. Ma c'è molto altro. Il libro, da questo punto di vista, è un’avventura continua. Tutto questo è alternato, con una suspense degna di Hitchcock, ai racconti dedicati alla difficoltà di una donna di farsi strada nel mondo accademico, di cosa sia la ricerca nella realtà dei fatti e, ancor più, dello svolgersi della sua vita privata, fra pesanti inciampi e salvifiche risalite.
C’è vita nell’Universo di Sara Seager, nonostante tutto
Fra gli eventi della vita privata dell’autrice che dettano il ritmo al libro c’è l’incontro con il primo marito Michael (Mike) Wevrick. Le lunghe e selvagge escursioni insieme, la nascita dei figli, la scoperta del cancro e la malattia terminale di Mike. Sono pagine molto toccanti dove trova spazio una intensa emotività, cosa rara nei libri di divulgazione scientifica. Dopo molte peripezie, così finisce la vita di Mike:
«Mike, sei il migliore amico che ho mai avuto. Siamo stati fortunati ad avere una vita così bella insieme. Ma me la caverò. I bambini se la caveranno.»
Mike restò zitto.
«Mike», dissi, «per il mio compleanno, come ultimo regalo, devi lasciarti andare.»
Compii quarant'anni. Due giorni dopo, Mike morì nel suo letto da ospedale in casa nostra, con me accanto. Non c'era neanche un tubo da staccare. Era la prima volta che avevo contribuito a costruire qualcosa di bello deponendo ogni strumento, e non credo di essere mai stata più orgogliosa. Mike lasciò questo mondo come ci era arrivato. Quello fu il mio regalo per lui.
Il suo ultimo respiro fu veramente suo. [pp. 124-125]
Toccanti e a tratti crude sono anche le pagine dedicate agli anni che seguono il lutto («Sai mamma», disse Max, «è meglio avere un papà che è morto invece di un papà che è malato», p. 129), anni di lentissima risalita, rinascita e riscatto personale, grazie soprattutto all’amicizia disinteressata presente nel gruppo delle Vedove di Concord, sempre pronte ad aiutarsi l’un l’altra, nonostante le vite diverse e la diversa estrazione sociale. Fino alla possibilità di innamorarsi di nuovo, in parallelo alla direzione di progetti molto importanti finanziati dalla NASA, come Starshade o il telescopio ASTERIA.
E così pensavamo di leggere un libro di divulgazione scientifica sul lavoro di un’astrofisica cacciatrice di esopianeti. E invece ci ritroviamo per le mani qualcosa di diverso, qualcosa di più:
Se troviamo un tavolo circondato da quattro sedie, ne deduciamo che a volte ci si siedono quattro persone; altrimenti perché ci sarebbero quattro sedie? L’astronomia è perseguitata dalla presenza di cose che non possiamo vedere. In questo l’astronomia è come il lutto. È come l’amore. [p. 139]
E infatti Sara Seager è convinta che nell'Universo ci siano molte altre forme di vita. È statisticamente improbabile che non ci siano. Solamente, al momento, le forme di vita extraterrestri sono come sedie vuote attorno a un tavolo.
immagine di copertina: NASA
Nell’immagine, un esempio di “pianeta Goldilocks”, situato nella zona abitabile. L’esempio più noto a tutti è… la Terra (immagine: Wikipedia)