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Matematica

Il matematico che ha cominciato per gioco

Abbiamo incontrato Luigi Ambrosio, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa e fresco vincitore del Riemann Prize per la matematica

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Non è una star mediatica, non è uno di quegli scienziati che vanno in televisione, ma ha una solida fama internazionale nella comunità dei matematici. E ora Luigi Ambrosio, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, ha vinto la seconda edizione del premio internazionale per la matematica “Riemann Prize”, attribuito dalla Riemann International School of Mathematics (RISM). Lo abbiamo sentito per capire come è arrivato a questo riconoscimento, quali sono i settori di cui si è occupato e quali ricadute possono avere.

Ritorno alle origini

Non sono stato un bambino prodigio, ma fin da piccolo ho avuto modo di coltivare l’interesse per la matematica: merito anche di mio nonno, che stimolava continuamente la mia curiosità con giochini di numeri e logica. Ho cominciato allora a chiedermi il perché delle cose: è così che ho sviluppato l’attitudine alla ricerca.

In seguito il ruolo del nonno è passato al preside del liceo scientifico che frequentava a Trani, in Puglia. È stato lui a spingere il giovane Luigi a esercitarsi con problemi via via più difficili, e poi a sfruttare questo allenamento in vista di un obiettivo concreto: il concorso per entrare alla Scuola Normale di Pisa, uno degli istituti di eccellenza in Italia e probabilmente il più celebre.

Una volta ammesso, Ambrosio si è trovato di fronte per la prima volta alla matematica che definisce “vera”, con un livello di astrazione a cui non si viene esposti prima: «È stata per me una sorpresa, e non posso certo dire che sia stata una passeggiata». Come succede a tutti, del resto: è con il sudore della fronte che comincia – e continua – il mestiere del matematico.

Naturalmente a certi livelli il gioco e la curiosità non bastano più: deve subentrare il mestiere. Per questo bisogna sviluppare il “muscolo” del pensiero astratto. Ma anche questo non è sufficiente: oltre a concepire gli enti astratti bisogna poi saperli maneggiare. Serve quella che noi matematici chiamiamo “manualità di calcolo simbolico.

Da Pisa Ambrosio ha poi spiccato il volo: prima un periodo al Massachusetts Institute of Technology (MIT), poi in successione un posto da ricercatore all’Università di Roma “Tor Vergata”, da professore associato all’Università di Pisa e infine da professore ordinario a Benevento (all’epoca un distaccamento dell’Università di Salerno). Si è poi spostato all’Università di Pavia per tornare infine alla base: nel 1998, a 35 anni, è stato chiamato alla Scuola Normale di Pisa, dove aveva mosso i suoi primi passi, per poi diventarne Direttore nel 2019.

Dai cristalli liquidi alle fratture dei metalli

La sua prima passione, ai tempi degli studi universitari, è stata il calcolo infinitesimale: la branca della matematica fondata da Newton e Leibniz alla fine del Seicento e oggi studiata nei corsi universitari di analisi matematica.

Qui di seguito un video (in inglese) con una breve spiegazione di come è nato il calcolo infinitesimale:

Qualche mese fa, per la collana Chiavi di lettura di Zanichelli, è uscito il libro Viaggio nel calcolo infinitesimale di David Acheson. Trovi qui la recensione del saggio.

All’interno di questo settore si è dedicato innanzitutto al calcolo delle variazioni, un campo che ha numerose applicazioni pratiche. Uno dei suoi maestri è stato Ennio De Giorgi, fra i più importanti matematici italiani del dopoguerra. Ed è stato proprio De Giorgi a suggerirgli di dedicarsi a un particolare problema legato alle discontinuità delle funzioni.

De Giorgi pensava alle applicazioni nel campo dei cristalli liquidi, ma io ho potuto lavorare in autonomia e, spinto dalla mia curiosità, ho guardato in altre direzioni. Un’interessante ricaduta pratica è lo studio delle fratture dei materiali, un caso particolare di discontinuità: per esempio in ambito aeronautico è importante capire quando uno stress prolungato può portare alla frattura di una superficie metallica, in modo da capire come la si può prevenire. Un problema ancora oggi di grande attualità, per il quale questi metodi sono sempre fecondi.

Ma c’erano anche altre questioni concrete collegate: per esempio, in un’immagine ottenuta con una telecamera, le discontinuità al suo interno sono i contorni delle figure. Sarebbe stato molto utile elaborare un metodo per riconoscerle al computer. A questo proposito però poi la tecnologia informatica per la visione artificiale ha seguito altre strade.

Una volta conseguiti risultati importanti, Ambrosio cambia strada. «Ero soddisfatto di quello che avevo fatto, volevo passare ad altro». Questo altro è stata la teoria geometrica della misura e soprattutto del trasporto ottimale, che negli ultimi trenta anni ha conosciuto un vero e proprio boom fra i matematici.

Per spiegare di cosa si tratta posso fare un esempio semplice: immaginiamo di dover trasportare una pila di materiale in una buca, per esempio con un camioncino, facendo tanti viaggi. Tanti sono i percorsi possibili. Qual è il modo più efficiente, e quindi più economico, per farlo? La cosa interessante è che i metodi per studiare problemi di questo tipo si sono poi rivelati utilissimi in altri ambiti della matematica, in cui non erano mai stati provati. È anche così che si spiega il successo di queste tecniche.

Qui di seguito un video (in inglese) sul problema del trasporto ottimale:

Ricerca e didattica: due facce della stessa medaglia

A differenza di molti matematici che fanno carriera all’interno di una stessa università, io ho viaggiato molto. Ne sono felice, perché in ogni posto dove sono stato ho avuto l’occasione di interagire con persone nuove: una situazione che è stata vantaggiosa per tutti.

Ambrosio ha così introdotto un concetto che ritiene fondamentale: il rapporto con gli altri matematici, nella duplice accezione di formazione e collaborazione.

Per me è difficile scindere la didattica dalla ricerca, anche perché spesso si fa ricerca insieme con i propri maestri o i propri allievi: la matematica è sempre più collaborativa, basta guardare le firme multiple degli articoli scientifici.

Un approccio confermato dalla motivazione del Premio Riemann, che fa riferimento sia ai contributi scientifici sia all’impegno per la formazione: “Seguendo la tradizione di Ennio De Giorgi, mentore di una generazione di matematici italiani che oggi occupano posizioni di prestigio presso istituti internazionali, ha consolidato la scuola italiana di teoria geometrica della misura come riferimento a livello mondiale”.

Sono ottimista per l’Italia: vedo un livello di ricerca matematica veramente ottimo, anche se da noi la ricerca matematica di base ha poche risorse. Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si è concentrato sulle applicazioni all’intelligenza artificiale, e solo marginalmente sulla ricerca fondamentale. In compenso, negli ultimi anni, nuovi strumenti normativi hanno incentivato il rientro dei matematici italiani dall’estero e anche l’arrivo di talenti stranieri. Sono fiducioso, voglio vedere il bicchiere mezzo pieno.

Quanto la didattica sia presente nella mente di Ambrosio emerge da una risposta data a bruciapelo. Visto che il premio che ha vinto prende il nome dal tedesco Bernhard Riemann, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, viene naturale porre la domanda: “Qual è la prima cosa a cui pensa quando sente il nome di Riemann?”. In risposta, Ambrosio non cita le superfici di Riemann, di cui pure si è occupato, né la famosa congettura di Riemann, il più famoso problema ancora insoluto in matematica. La sua risposta spontanea è molto più semplice: l’integrazione secondo Riemann, un argomento che si studia al primo anno di università.

E poi al di là di tutto la didattica è gratificante: è bello vedere crescere i giovani matematici, rassicurarli nei primi passi nel mondo della ricerca. Ora che ho molte incombenze come Direttore della Normale ho dovuto ridurre il tempo da dedicare alla ricerca, ma ho sempre cercato di non togliere spazio alla didattica. Un consiglio ai giovani che pensano di dedicarsi alla matematica? Direi di cominciare come ho fatto io: con il gioco e la curiosità.

Visione platonica o approccio realistico?

Curiosità che Ambrosio ha riservato non solo alla matematica. Da ragazzo, a Trani, andava sempre alla biblioteca comunale a prendere libri in prestito. Libri di matematica, certo, ma anche tanti altri. Un’altra sua passione, che ha coltivato anche in seguito, era la filosofia, vista non come una disciplina umanistica in opposizione a quelle scientifiche, ma al contrario con legami profondi. Comprensibilmente lo affascinava soprattutto la filosofia della scienza, e della matematica in particolare: un tema sul quale ha riflettuto molto, a partire dalla classica domanda “La matematica si scopre o si inventa?”.

Ancora oggi continuo a stupirmi dei successi della matematica nel mondo concreto. Istintivamente sono stato un platonico, con l’impressione che gli enti matematici esistano anche a prescindere dalla mente umana che li pensa. Con il passare del tempo, però, sono diventato meno idealista e più pragmatico. Forse la spiegazione ultima è che, al di là della natura di questi enti, è lo stesso cervello, il nostro, che pensa sia la matematica sia le leggi della fisica: da qui le coincidenze e i successi spesso sorprendenti dell’applicazione della matematica alla fisica (e viceversa). Ma riconosco che entrambe le visioni sono ugualmente rispettabili. Detto questo, nel momento in cui mi concentro a fare ricerca trovo che l’approccio platonico sia quello più utile. Mi fa bene aggrapparmi alla sensazione “a pelle” che la matematica esista indipendentemente da noi. E sospetto che quasi tutti i matematici, nello studio e nella ricerca, facciano più o meno inconsciamente così.

foto in evidenza: Riemann International School of Mathematics

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Pisa, 9 maggio 2019. Luigi Ambrosio è il 23° Direttore alla guida della Scuola Normale Superiore (immagine: Scuola Normale Superiore)