La scena, se non fosse drammatica, apparirebbe grottesca. Il più grande astronomo del mondo si trova in un’aula di tribunale a dover difendere una donna di 73 anni dall’accusa di stregoneria. Siamo a Leonberg, nella Germania meridionale, il 20 agosto 1621: l’episodio è rivelatore delle contraddizioni dell’epoca, in bilico fra la scienza nascente e la perdurante superstizione.
L’anziana è in prigione già da un anno. Nonostante le minacce di tortura, si rifiuta di confessare. Alla fine, a ottobre, viene rilasciata grazie al suo coraggio, ma in parte anche all’abile difesa da parte del figlio. La donna si chiama Katharina Guldenmann, e suo figlio è Johannes Kepler, meglio conosciuto in Italia come Giovanni Keplero: avvocato difensore improvvisato ma soprattutto uno degli scienziati più importanti della storia.
Errori di gioventù
Keplero era nato nel 1571 a Weil, una piccola cittadina vicino a Stoccarda, nel Sud della Germania. Pochi avrebbero scommesso sul futuro di un bambino gracile, che invece visse quasi 60 anni – un’età non disprezzabile per l’epoca – fino alla morte avvenuta nel 1630.
La sua debolezza si rivelò anzi un vantaggio decisivo: inadatto al lavoro nei campi, ebbe la possibilità di andare a scuola, dove si distinse soprattutto in matematica. Ben presto i suoi interessi si rivolsero allo studio dei corpi celesti. In una delle sue prime opere, intitolata Mysterium Cosmographicum e pubblicata nel 1596, ipotizzò un legame geometrico fra i sei pianeti conosciuti (Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno) e i cinque poliedri regolari, chiamati anche solidi platonici: il tetraedro (cioè la piramide a base triangolare), l’esaedro (cioè il cubo), l’ottaedro (8 facce triangolari), il dodecaedro (12 facce pentagonali) e l’icosaedro (20 facce triangolari).
Basandosi sulla concezione medievale delle sfere celesti, Keplero aveva immaginato un sistema in cui ognuno dei cinque solidi platonici veniva perfettamente inscritto nella sfera di un pianeta e circoscritto a quella del pianeta successivo, partendo dal più esterno (Saturno) fino ad arrivare al più interno (Mercurio). Per esempio, il cubo era inscritto nella sfera di Saturno e circoscritto a quella di Giove.
Oggi sappiamo che questo modello, per quanto affascinante, era ispirato ad alcune coincidenze neanche troppo precise, e non ha alcun fondamento reale. Ma testimonia il retroterra culturale che ancora alla fine del Cinquecento permeava l’Europa e guidava lo stesso giovane astronomo: l’idea di origine metafisica che Dio avesse creato il cosmo secondo un criterio di perfezione estetica.
La guerra contro il dio della guerra
L’anno della svolta nella vita e nella carriera di Keplero è il 1600, quando il danese Tycho Brahe, il più importante astronomo del momento, lo volle con sé a Praga, alla corte dell’imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II.
Appena un anno dopo, Brahe morì in circostanze improbabili. Sembra che sul letto di morte abbia raccomandato a Keplero di difendere il modello del sistema solare che aveva elaborato: un curioso compromesso fra il sistema geocentrico e quello eliocentrico. Secondo Brahe, il Sole ruotava intorno alla Terra, ma tutti gli altri pianeti ruotavano intorno al Sole: un’idea bizzarra che naturalmente non ebbe seguito, tanto che già lo stesso Keplero aveva abbracciato convintamente il sistema copernicano (nel quale si inquadrava anche il Mysterium Cosmographicum).
Se dal punto di vista teorico l’eredità del pensiero di Brahe si rivelò inutile, dal punto di vita pratico la sua attività di astronomo era invece di valore inestimabile: le sue osservazioni dei moti dei pianeti, scrupolosamente annotate, erano le migliori della storia fino a quel momento. Keplero, nella sua qualità di successore di Brahe, se ne appropriò e le mise a frutto.
Cercando di descrivere con la massima precisione l’orbita di Marte, Keplero ingaggiò quella che lui stesso definì una guerra contro il pianeta rosso: calcolava e ricalcolava, ma i conti non tornavano, anche se di un angolo di soli otto primi, cioè pari a un duemilasettecentesimo di circonferenza. Era un errore davvero piccolo, ma non voleva saperne di scomparire. Gli appunti di Brahe non si potevano discutere: cosa si poteva mettere in dubbio allora?
Dal cerchio all’ellisse
La storia della scienza progredisce con continuità, grazie al lavoro di studiosi che si basano su quello di altri studiosi. Questo vale anche per i pochi “momenti fatali” in cui un singolo scienziato sovverte in un attimo la visione che abbiamo del mondo. Uno di questi colpi di genio, reso possibile dall’opera certosina di Brahe, è stato senza dubbio quello di Keplero: con un ragionamento che anticipava il metodo sperimentale di Galileo, si disse che se i dati smentivano un’ipotesi, allora l’ipotesi era da cambiare. Ma qui l’unica ipotesi di partenza era che l’orbita di Marte – come quella di tutti gli altri pianeti – fosse circolare: a quella dunque bisognava rinunciare.
Era un’idea sconvolgente nel senso letterale della parola: non solo andava contro il senso comune e tutte le osservazioni della volta celeste precedenti a quelle così accurate di Brahe, ma soprattutto negava l’idea ormai sedimentata che la geometria del firmamento fosse improntata alla perfezione del cerchio. Mentre già nell’antichità alcuni astronomi greci (fra cui Aristarco di Samo) avevano elaborato un modello eliocentrico, nessuno – neanche lo stesso Copernico – si era mai sognato di pensare che le orbite potessero non essere circolari.
Restava da definire allora qual era la loro vera forma. Curiosamente, all’inizio Keplero aveva scartato l’ellisse perché gli sembrava troppo facile: possibile che nessuno ci avesse mai pensato prima? Il fatto è che lui si era affacciato a un livello superiore di conoscenza, dal quale effettivamente l’idea dell’ellisse appariva banale. Però in quel nuovo, più alto punto di osservazione al momento c’era praticamente solo lui (oltre ai pochi intimi ai quali aveva accennato delle sue idee).
Dopo aver esaminato a lungo varie forme ovoidali, pensò anche – con eccezionale apertura mentale – alla possibilità di orbite che cambiano forma nel tempo. Alla fine però, nel 1605, tornò all’ellisse e si convinse che quella era la soluzione: finalmente, con questa ipotesi, i conti sull’orbita di Marte non davano più problemi. Tutto andava a posto quasi per miracolo. La sua personale guerra contro il dio della guerra era finita, e Keplero l’aveva vinta. Spesso alla fine di una guerra si cambiano le carte geografiche; questa ha ridisegnato per sempre la mappa dell’universo.
La rivoluzione copernicana, che aveva tolto la Terra dal centro del cosmo, ha avuto una portata epocale anche dal punto filosofico, ma la grande rivoluzione matematica nella storia dell’astronomia è stata quella di Keplero.
Nel 1609 finalmente Keplero pubblicò i risultati dei suoi studi nel libro Astronomia Nova, in cui affermava che l’orbita di Marte è un’ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi. In seguito Keplero perfezionò e generalizzò questi risultati estendendoli a tutti gli altri pianeti: enunciò le due leggi che oggi sono chiamate prima e seconda legge di Keplero. La prima afferma che l’orbita descritta da ogni pianeta è un’ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.
La seconda afferma che il segmento che unisce il centro del Sole con il centro di un pianeta copre aree uguali in tempi uguali: oltre alla forma delle orbite dei pianeti, aveva studiato anche i loro tempi di percorrenza. Più precisamente, aveva scoperto come cambia la velocità del pianeta a seconda della sua distanza dal Sole: più è vicino, più è veloce, perché nello stesso arco di tempo percorre un tratto di orbita più lungo.
Ovviamente queste leggi, oltre a scardinare una visione dell’universo plurimillenaria, confutavano la vecchia teoria stravagante dello stesso Keplero su pianeti e solidi platonici. Con grande onestà intellettuale, l’astronomo riconobbe il suo errore di gioventù. Del resto ormai sapeva che il suo nome sarebbe diventato immortale grazie alle sue leggi: i suoi scritti giovanili, ingenui ed erronei, erano ampiamente sacrificabili.
La nascita della fantascienza
Dopo la pubblicazione dell’Astronomia Nova, Keplero si rese conto che le sue teorie non avevano avuto una grande risonanza: se già la concezione eliocentrica era poco diffusa, ancora meno poteva esserlo il suo modello ellittico. Così ebbe un’idea folgorante: scrivere un racconto divulgativo sul sistema copernicano.
Si afferma spesso che Galileo, fondatore del metodo scientifico e quindi della scienza moderna, sia stato anche il primo divulgatore scientifico con il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, ma in questo campo Keplero lo aveva preceduto di almeno quindici anni. In un aspetto cruciale però Galileo si rivelò più moderno del suo collega: per raggiungere un pubblico vasto e non necessariamente di grande cultura, scrisse il suo libro in lingua corrente, cioè in italiano (e un italiano eccellente), mentre Keplero non osò scrivere in tedesco e la sua opera, intitolata Somnium (Il sogno), era ancora in latino.
Il Somnium, pubblicato postumo solo nel 1634, racconta del viaggio di un giovane islandese sulla Luna. Perciò è stato definito da alcuni (fra cui due grandi autorità in materia come Isaac Asimov e Carl Sagan) come il primo libro di fantascienza della storia: anticipa di oltre due secoli L’uomo della sabbia di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1816) e Frankenstein di Mary Shelley (1818), considerati spesso i capostipiti del genere.
In effetti già il greco Luciano di Samosata, nel II secolo, aveva scritto di un viaggio sulla Luna, ma il suo era un racconto del tradizionale genere favolistico, senza alcun riferimento a teorie scientifiche: era “fanta” senza scienza. Invece il Somnium descrive la Terra vista dalla Luna, parla delle dimensioni dei due corpi celesti e addirittura spiega il fenomeno delle eclissi: all’aspetto fantastico unisce quello scientifico.
Mucchi di arance e botti di vino
Nell’autunno del 1613 la vendemmia nell’Europa centrale era stata eccellente, e gli appassionati di vino erano disposti a pagare cifre considerevoli per comprare intere botti. Fra loro c’era Keplero, che non disdegnava di applicare il suo ingegno a questioni apparentemente futili: già nel 1611 aveva ragionato sul modo più efficiente per impilare le arance, formulando una congettura che è stata dimostrata corretta solo nel 2014.
Stavolta il problema era capire se il suo vinaio era onesto. Per saperlo, bisognava calcolare il volume delle botti, ma una formula ancora non esisteva. Keplero immaginò allora di tagliare mentalmente una botte in tante “fettine” orizzontali sottilissime (infinitesime), per poi calcolare le loro aree e sommarle per trovare il volume della botte: aveva intuito genialmente il concetto di integrale di volume, anticipando di diversi decenni il calcolo infinitesimale di Newton e Leibniz, la più dirompente innovazione nella storia della matematica.
Astronomia e matematica
Per quanto le intuizioni di Keplero ispirate dal settore enogastronomico si siano rivelate eccezionalmente avanzate rispetto al suo tempo, il suo contributo più importante in ambito matematico è quello che va sotto il nome di terza legge di Keplero, scoperta il 15 maggio 1618 e pubblicata nel 1619 nell’opera Harmonices Mundi: facendo seguito alle prime due, afferma che il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta intorno al Sole (cioè del suo “anno”) è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole. In una formula,
T2 = k ∙ a3
dove T è il periodo di rivoluzione, a la distanza media dal Sole e k è una costante uguale per tutti i pianeti del Sistema Solare.
Non è solo un’importante scoperta scientifica, considerata ancora oggi sostanzialmente valida (con qualche piccolo aggiustamento): è anche la prima formula matematica fondamentale dell’astronomia moderna. In altre parole, è un passo decisivo nella matematizzazione dell’astronomia: una svolta definitiva nella storia della scienza che si è poi rivelata di grande importanza e fecondità anche per la stessa matematica.
Keplero aveva aperto così la strada alla concezione di un universo descrivibile in termini matematici, esposta qualche anno dopo, nel 1623, da Galileo nel Saggiatore:
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intendere la lingua, e a conoscere i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.
Sarà poi Newton, nel 1687, a riunire la fisica e l’astronomia nel nome della matematica, con la legge di gravitazione universale. Per elaborarla si basò in primo luogo proprio sulle leggi di Keplero e sulle straordinarie intuizioni fisiche di Galileo: da qui la sua famosa affermazione:
Se ho visto oltre, è stato levandomi sulle spalle dei giganti.
Dopo la fisica e l’astronomia, tutte le altre scienze sono passate gradualmente dall’approccio qualitativo a quello quantitativo (cioè appunto matematico): le scienze naturali come la chimica e la geologia, quelle della vita e oggi anche quelle meno “scientifiche” come l’economia e la psicologia. E uno dei protagonisti all’inizio di questo lungo percorso è Keplero. Partito con uno spirito metafisico di stampo medievale, è diventato un pioniere della scienza moderna.

Johannes Kepler ritratto da un autore ignoto intorno al 1610 (immagine: Wikipedia)

I cinque solidi platonici

Il cubo è inscritto nella sfera di Saturno e circoscritto a quella di Giove

La prima legge di Keplero (immagine: Elaborazione da Wikipedia (By Original: Arpad HorvathNew version: Rubber Duck - The original PNG version: Kepler-first-law.png, CC BY-SA 3.0))

La seconda legge di Keplero (immagine: Elaborazione da Wikipedia (Illustration by RJHall using Paint Shop Pro. Size = 470 × 327 pixels. {{cc-by-sa-2.0-at}})