Aula di scienze

Aula di scienze

Persone, storie e dati per capire il mondo

Speciali di Scienze
Materie
Biologia
Chimica
Fisica
Matematica
Scienze della Terra
Tecnologia
I blog
Sezioni
Come te lo spiego
Science News
Podcast
Interviste
Video
Animazioni
L'esperto di matematica
L'esperto di fisica
L'esperto di chimica
Chi siamo
Cerca
Scienze della Terra

Alfred Wegener, il meteorologo che scoprì la deriva dei continenti

Storia del metereologo tedesco che ha "liberato" i continenti dall'immobilità, trasformandoli in "iceberg di gneiss" alla deriva su un mare di basalto

leggi
Per la lezione Per scaricare questa risorsa devi accedere a myZanichelliAccedi

Secondo alcune testimonianze dell’epoca non avrebbe detto molto. Anzi, avrebbe solamente ascoltato. Solo tra i denti, magari mordendo il cannello della pipa per la rabbia, avrebbe parafrasato Galileo Galilei dicendo: “eppur si muovono”. Siamo negli Stati Uniti, a New York, nel 1926 alla conferenza internazionale in cui i geologi più eminenti fanno letteralmente a pezzi la teoria dello scienziato silenzioso: Alfred Wegener. L’idea che la maggioranza assoluta dei presenti rifiuta con forza è la teoria della deriva dei continenti, secondo la quale anticamente sulla Terra esisteva un solo continente, Pangea, che si sarebbe lentamente spezzettato in tante tessere quanti sono i continenti oggi. Questi enormi “iceberg di granito”, come li chiamava Hans Cloos, uno degli oppositori più morbidi, sarebbero andati alla deriva su di un mare di magma fino a raggiungere le posizioni attuali. «Se dobbiamo credere a questa ipotesi», sosteneva un altro anonimo avversario, «dobbiamo dimenticare tutto quello che abbiamo imparato negli ultimi 70 anni e ricominciare da capo». Una situazione inaccettabile. Eppure Wegener era convinto che la sua teoria fosse corretta, sebbene non riuscisse a trovare la causa di quegli spostamenti. «L’Isaac Newton della deriva dei continenti», scriverà lui stesso nel 1929, in una lucida presa di coscienza, «non è ancora apparso».  

Meteorologo per passione dell’aria aperta

Alfred Wegener nasce a Berlino, la capitale dello stato prussiano, il primo novembre del 1880. Alfred e i suoi fratelli crescono in una casa in cui la famiglia Wegener ospita un numero variabile di orfani, condividendo con tutti questi la sola camerata e gli stessi doveri della vita in comune. Il padre Richard è un sostenitore dell’importanza di vivere all’aria aperta per crescere sani e forti. Così Wegener, oltre a praticare la scherma, sarà sempre un appassionato pattinatore sul ghiaccio e un amante della vita all’aria aperta. Un elemento che sarà decisivo nella sua vita adulta di esploratore. Dal 1902 comincia a lavorare all’osservatorio astronomico di Berlino e nel 1905 ottiene il dottorato in astronomia. Ma non vuole passare la vita a guardare le stelle, perché si sente più attratto dall’avventura. La prima è in coppia con il fratello maggiore Kurt, che lavora come meteorologo in una piccola città tedesca, Beeskow. Alfred diventa suo assistente e insieme si dedicano a una delle tendenze scientifiche dell’epoca, lo studio dell’alta atmosfera con l’uso delle mongolfiere. I due fratelli, addirittura, stabiliscono nell’aprile del 1906 il record di volo continuativo: 52 ore e mezzo. Ma la prima grande avventura è la spedizione Danmark, voluta dalle autorità danesi per studiare la Groenlandia e la sua inesplorata costa nordorientale. Wegener è il meteorologo della missione e stabilisce un primato: costruisce la prima stazione meteorologica groenlandese. Aspetto più importante, però, è la grande quantità di dati che riesce a raccogliere sull’atmosfera a quelle latitudini, utilizzando per la prima volta aquiloni e palloni aerostatici.

L’incarico universitario e la prima idea della deriva

Ritornato in Germania, Wegener non ottiene una cattedra, ma viene accettato come professore associato di meteorologia all’Università di Marburgo: non ha uno stipendio, ma sono gli stessi studenti che si iscrivono al suo corso a pagarlo. Nel 1910 pubblica il suo primo libro, La termodinamica dell’atmosfera, che diventa presto un punto di riferimento in Europa. Nello stesso periodo, osservando un atlante geografico, una lampadina gli si accende improvvisamente in testa: «la costa orientale dell’America del Sud non combacia forse perfettamente con la costa occidentale africana, come se fossero state unite?» (da una lettera alla moglie Else del 1910). È un idea accarezzata, tra gli altri, anche dal geologo americano Frank Taylor, che ne scrive negli stessi anni. Ma Wegener non si limita a paragonare i continenti come tessere di un puzzle geologico:

«La prima idea della deriva dei continenti mi è venuta in mente nel 1910, osservando il planisfero [...]. All’inizio non le ho dato più di tanta attenzione, perché la reputavo un’idea improbabile. Nell’autunno del 1911, tuttavia, mi sono imbattuto casualmente in un report sinottico nel quale per la prima volta ho letto di prove paleontologiche di un antico ponte di terre emerse che avrebbe congiunto il Brasile e l’Africa» (L’origine dei continenti e degli oceani, 4a ed., 1929)

Fossili e montagne

All’inizio del Novecento erano noti una serie di fossili che mostravano come le stesse specie che avevano anticamente popolato un continenti, abitavano anche sulle terre emerse dall’altra parte di un oceano. Come avevano fatto ad arrivarvi? La risposta più comunemente accettata allora era che, come scrive Wegener, esistessero dei ponti ora crollati. La causa? Il generale raffreddamento e la conseguente contrazione della Terra che, incidentalmente, sarebbero anche la spiegazione per i terremoti e la genesi delle catene montuose, interpretate come rughe della superficie terrestre. Ma Wegener non è convinto e nella sua opera magna, L’origine dei continenti e degli oceani, pubblicato per la prima volta nel 1912, demolisce questa idea. I continenti, sostiene, sono composti di rocce meno dense rispetto a quelle basaltiche dei fondali oceanici. Africa e America del Sud possono benissimo essere stati uniti nel passato e poi aver viaggiato come zattere su di un mare di magma.

 

Come scrive Hans Cloos, oppositore sì, ma ammirato: «[Wegener] ha liberato i continenti trasformandoli in iceberg di gneiss su di un mare di basalto. Li ha lasciati galleggiare e andare alla deriva, rompersi e unire. Dove si rompono rimangono crepe, rift, trincee; dove si scontrano, appaiono le montagne». La proposta di Wegener, infatti, non solo spiega i ritrovamenti fossili senza bisogno di fare ricorso ai ponti, ma fornisce una spiegazione anche per la formazione delle catene montuose che, se dovute al raffreddamento della Terra, dovrebbero essere distribuite in maniera uniforme sulla superficie del pianeta. 

Una fortuna tarda

Oltre alle accese reazioni della comunità dei geologi, culminate nella conferenza del 1926, le idee di Wegener non hanno molta circolazione. Nel tempo, anche il suocero, il climatologo Wladimir Köppen, inizialmente ostile alle idee del genero, lo aiuta a trovare ulteriori prove a sostegno della deriva dei continenti. In particolare, lavorando sulla distribuzione dei fossili nei cinque continenti, elaborano una mappa del mondo in cui si mostra che regioni oggi molto distanti avevano nel passato lo stesso clima perché erano contigue. Ma nonostante la quarta edizione del suo libro sia zeppa di prove, anche molto dettagliate, manca una spiegazione per la causa del movimento dei continenti. Lui stesso propone due ipotesi, le forze centrifughe dovute alla rotazione della Terra e ondate simili a maree provocate dall’attrazione gravitazionale di Luna e Sole, ma è cosciente che non siano del tutto convincenti.

È negli anni Cinquanta del Novecento che una teoria simile, la tettonica delle placche, comincerà a circolare tra i geologi. Nonostante anche questa teoria sia - inizialmente - priva di una spiegazione per il movimento delle placche, guadagnerà immediatamente il consenso generale. Viene ripescato il suo libro e si comincia a pensare che deriva dei continenti e tettonica delle placche siano la spiegazione corretta. Manca ancora la prova definitiva, che arriverà negli anni Settanta con la scoperta della dorsale oceanica atlantica: sono i moti del mantello a determinare il movimento dei continenti. Wegener tutto questo non lo saprà mai. Durante la terza spedizione in Groenlandia, la più audace, muore congelato nella propria tenda nel novembre del 1930. Il suo corpo viene trovato solamente la primavera successiva.  

Per approfondire
Interessante video a cartoni animati (in inglese con sottotitoli in italiano) che spiega la deriva dei continenti è stato realizzato da Bionteractive con la voce narrante di Mott Green, l'autore della più completa biografia di Wegener a disposizione (in inglese). Per vederlo: Animated Life: Pangea, Wegener, and Continental Drift (qui potete anche scaricarlo)

-- Immagine banner: pubblico dominio via Wikimedia Commons Immagine box in homepage: University of Illinois

alfred-wegener
alfred-cont-4

Schematizzazione della deriva dei continenti ipotizzata da Wegener (Immagine: University of Illinois)

Wegener_Expedition-1930_008
580px-Snider-Pellegrini_Wegener_fossil_map.svg

La distribuzione di fossili sui diversi continenti: è uno degli indizi che fa pensare a Wegener che nel passato i continenti fossero uniti

wegener_baloon

Alfred Wegener e altri due esploratori si preparano a lanciare un pallone per i rilevamenti meteorologici in Groenlandia

Devi completare il CAPTCHA per poter pubblicare il tuo commento