Stanno scomparendo le dune costiere e, senza adeguate strategie di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, a causa dell’erosione costiera metà delle spiagge del mondo rischiano la stessa sorte entro la fine del secolo. Un fenomeno aggravato dall’innalzamento del livello del mare causato dal riscaldamento globale. Non è lo scenario distopico di un film di fantascienza, bensì ciò che emerge da uno studio pubblicato nel 2020 sulla rivista scientifica Nature Climate Change e condotto dal Joint Research Centre della Commissione Europea. Una minaccia che incombe anche sulle coste basse italiane, che costituiscono oltre la metà (circa 4.700 chilometri) degli 8.000 chilometri del nostro litorale.
Coste italiane a rischio
«L’erosione delle coste basse è il risultato dell’alterazione del ciclo dei sedimenti, cioè dell’equilibrio tra l’apporto e la perdita sedimentaria. Quando questo è negativo si ha erosione, mentre quando è positivo si ha un accumulo», spiega Renata Archetti, professoressa di ingegneria idraulica all’Università di Bologna. «Tuttavia questo non vuol dire che dopo una singola mareggiata la spiaggia sia in erosione, perché l’ambiente costiero è un sistema estremamente dinamico». In altre parole, se il moto ondoso aggredisce e inonda gli arenili, un equilibrato apporto di sedimenti può ristabilire la morfologia delle spiagge deturpate dalle mareggiate.
La progressiva antropizzazione delle coste ha però interferito con i processi naturali ostacolando il flusso dei sedimenti. E così, secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) illustrati nel rapporto Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio 2021, tra il 2006 e il 2019 sono stati modificati il 37,6% di costa naturale bassa e 841 chilometri sono in erosione, con conseguenze sempre più rilevanti a livello ambientale ed economico.
La scomparsa di dune e spiagge
Si consideri per esempio la progressiva scomparsa delle dune, sostituite da strade, ferrovie, edifici. Si tratta di una perdita grave perché le dune costiere, oltre a costituire una barriera naturale alle inondazioni marine, con la loro vegetazione contribuiscono a trattenere la sabbia, proteggendo le spiagge dall’erosione. Tanto che l’IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti ed esperte sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, considera le dune costiere, insieme alle barriere coralline, alle aree salmastre e alle foreste di mangrovie, ecosistemi preziosi per mitigare il rischio di erosione costiera.
Secondo il rapporto Spiagge 2023 di Legambiente, la Basilicata è la regione italiana con i più alti livelli di erosione in proporzione alla lunghezza della costa bassa. Ma negli ultimi decenni anche in Puglia si è registrato un intensificarsi del fenomeno a causa – denuncia l’associazione ambientalista – delle opere marittime e portuali che hanno modificato le caratteristiche geomorfologiche della costa.
E sebbene il Veneto non sia tra le cinque regioni italiane (Sardegna, Basilicata, Puglia, Lazio e Campania) dove l’arretramento del litorale è maggiore, anche qui l’erosione sta comunque lasciando il segno: le spiagge del veneziano, per esempio, hanno perso in media 250 metri in 35 anni. Nel 2022, solo tra il 26 e il 27 maggio, sono stati persi 10.000 metri cubi di sabbia a causa della mareggiata che ha colpito il litorale, soprattutto nella zona est di Jesolo. E il faro di Bibione, nel Comune di San Michele al Tagliamento, è un altro esempio emblematico: si trova oggi a meno di 45 metri dal mare, mentre 35 anni fa era a una distanza di 160 metri.
Le cause dell’arretramento
L’erosione è un fenomeno dovuto a diversi fattori meteorologici, climatici e geologici. I processi naturali che caratterizzano l’ambiente costiero – come il moto ondoso, le maree, le correnti marine, il vento – agiscono sulla dinamica dei litorali. Ma un ruolo sempre più preponderante è giocato dai fattori antropici.
«Il fenomeno erosivo si è infatti intensificato con lo sviluppo industriale del nostro Paese e con la progressiva urbanizzazione e cementificazione delle coste», racconta Archetti. Basti pensare che con l’aumentare della popolazione lungo la costa sono cresciute anche le attività commerciali, ricreative e industriali, quindi la realizzazione di infrastrutture che hanno alterato gli equilibri naturali dei litorali, spesso compromettendo la loro capacità rigenerativa. L’ISTAT stima per esempio che in Italia quasi il 43% delle coste sabbiose sia occupato da stabilimenti balneari.
«Si consideri inoltre che i fiumi sono il principale veicolo di sedimenti dall’entroterra alla costa e aver irregimentato così tanto i corsi d’acqua, con la costruzione di briglie e dighe, ha inevitabilmente privato le spiagge del principale apporto di nuovi sedimenti. Ma anche le opere rigide realizzate per difendere le coste, come pennelli e barriere frangiflutti, hanno risolto ben poco il problema. Anzi, finiscono con l’aggravarlo», afferma Archetti, che ha trattato i risultati inefficaci o addirittura peggiorativi di questi interventi sulla rivista Journal of Environmental Management.
E la crisi climatica non fa che acuire la vulnerabilità delle aree costiere. Negli ultimi 30 anni, a livello globale, il mare si è alzato di circa 10 centimetri, aumentando i rischi di inondazione e aggravando il fenomeno già in atto dell’erosione costiera. L’aumento del livello del mare sottrae infatti superficie emersa e, stando alle previsioni elaborate da ENEA sugli scenari di cambiamento climatico dell’IPCC correlati alla concentrazione di gas serra, entro il 2100 comporterà la perdita di migliaia di chilometri quadrati di coste basse italiane, soprattutto tra Emilia-Romagna e Veneto.
Restituire spazio alla natura
«L’effetto che riscontriamo è un arretramento della linea di costa, in altre parole un restringimento delle spiagge, e alla vulnerabilità del territorio si affianca la vulnerabilità delle stesse attività socio-economiche che, se da un lato contribuiscono ad alterare la morfologia e la naturale dinamica costiera, dall’altro ne subiscono le conseguenze. Le infrastrutture e gli edifici residenziali e turistici finiscono infatti con l’essere maggiormente esposti a mareggiate e inondazioni», spiega Archetti, secondo cui la spesa necessaria per proteggere le spiagge e mettere in sicurezza i litorali sarebbe cinque volte minore rispetto al costo da sostenere per interventi post-catastrofe, considerando che l’erosione aumenta il rischio di inondazioni.
La buona notizia è che sono disponibili strategie a diverse scale per rimediare al problema. A partire dagli interventi di rinaturalizzazione delle coste, per ripristinare le dune e le zone umide e paludose, come indica il già citato rapporto Spiagge 2023 di Legambiente. «Ma se vogliamo agire anche sulla causa principale dell’erosione, ovvero sul ridotto apporto di sedimenti, è importante anzitutto migliorare la gestione dei fiumi e dei sedimenti fluviali per farli arrivare dall’alveo dei corsi d’acqua alla spiaggia», aggiunge Archetti. «Si può inoltre intervenire con il cosiddetto ripascimento, che prevede di nutrire la spiaggia apportandovi carichi di sabbia prelevata da depositi nei fondali con caratteristiche granulometriche e di colore compatibili con la sabbia nativa».
Nel corso degli anni, per mitigare l’azione dell’erosione costiera e proteggere abitazioni e infrastrutture da mareggiate e inondazioni, sono stati realizzati interventi diversi: muri radenti la riva, pennelli, scogliere. «Si tratta di opere progettate per ridurre l’impatto del moto ondoso e frenare la dispersione verso il largo dei sedimenti, ma sono strutture rigide e molto impattanti. Per questo oggi ci stiamo ingegnando per mettere a punto soluzioni nature based a basso impatto ambientale», aggiunge Archetti.
L’esperta dell’ateneo bolognese porta come esempio il progetto LIFE NatuReef che mira a realizzare scogliere naturali di ostriche per proteggere la costa e aumentare la biodiversità alla foce del torrente Bevano, nel Parco del Delta del Po. Le strutture naturali formate dalle ostriche possono infatti trattenere i sedimenti e dissipare l’energia delle onde, contrastando le mareggiate e l’erosione costiera. In questo modo proteggono la spiaggia, che è luogo di nidificazione per gli uccelli fratini e le tartarughe marine, nonché le dune retrostanti, favorendo la resistenza e la resilienza dell’ecosistema marino costiero.
Consapevolezza ed educazione ambientale
«Non si può tuttavia pensare di mettere in campo queste strategie senza sensibilizzare la popolazione e la classe politica sul valore importantissimo del patrimonio naturale», afferma Archetti, sottolineando che serve consapevolezza per salvaguardare il territorio, progettare un’adeguata manutenzione e ripristinare l’equilibrio naturale. Le aree costiere, infatti, spesso devono affrontare condizioni critiche a causa di una pianificazione inadeguata dell’uso del territorio e delle carenze nella gestione del rischio costiero, che possono portare a effetti ambientali inaspettati e indesiderati.
«Dobbiamo educare i più giovani, formare nuove competenze, nuove figure professionali: ingegneri e ingegnere del mare che conoscano l’ambiente, le azioni che il mare esercita sulle coste, l’impatto dei cambiamenti climatici, e che sappiano progettare infrastrutture e strategie di difesa che tengano conto di tutto ciò e siano quindi in grado di accompagnare il processo di resilienza, cioè di adattamento dei territori costieri ai cambiamenti in atto. Potranno così diventare i protagonisti della cosiddetta economia blu», conclude Archetti.
immagine in copertina: Michaela via Unplash
Coste italiane in erosione o in avanzamento nel periodo 2007-2019 (Fonte: ISPRA, Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Edizione 2021, p. 69)
Chilometri di costa bassa naturale in erosione e in avanzamento nel 2019 rispetto al 2007 (fonte: ISPRA, Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio. Edizione 2021, p. 70)
La spiaggia di Atrani, Salerno, prima e dopo l’alluvione del 2010 (crediti: a sinistra Nellia Kurme via Unplash; a destra Wikipedia).