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Scienze della Terra

La geologia del terremoto in Turchia e Siria

La zona colpita dal sisma del 6 febbraio 2023 si trova al confine fra tre placche tettoniche e una microplacca, per cui la pericolosità sismica è molto elevata

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Lo scorso 6 febbraio, alle 4:17 del mattino, ora locale, un forte terremoto ha colpito la zona di confine tra Turchia e Siria. La scossa principale, con epicentro tra le città di Karamanmaraš e Gaziantep, nella Turchia meridionale, è stimata di magnitudo compresa tra 7,7 e 7,9 ed è stata seguita da uno sciame sismico che va ancora avanti a 10 giorni di distanza. Lo sciame ha presentato numerose scosse di elevata intensità, tra cui la maggiore, di magnitudo 7,5, è avvenuta alle 13:24, ora locale, sempre del 6 febbraio, con epicentro circa 100 km a nord di quello della scossa principale. Le scosse hanno causato crolli e danneggiamenti agli edifici e alle strade, che hanno provocato decine di migliaia di vittime, ma il bilancio è destinato a salire ulteriormente con il proseguire dello sgombero delle macerie.

Perché si verificano i terremoti

I terremoti non sono eventi eccezionali e costituiscono una delle espressioni più evidenti della dinamica endogena del nostro pianeta. La Terra è il più grande dei pianeti terrestri, quelli che, essendosi formati nella parte interna del Sistema solare, hanno perso gran parte degli elementi leggeri e si presentano prevalentemente come masse solide in via di raffreddamento. Questo raffreddamento risulta molto più lento per la Terra, a causa delle sue grandi dimensioni, rispetto a corpi celesti più piccoli come la Luna (che non presenta tracce superficiali di attività endogena recente) o i satelliti di Marte Phobos e Deimos (semplici pezzi di roccia di piccole dimensioni in orbita attorno al pianeta). Non sono bastati gli oltre 14 miliardi di anni trascorsi dalla sua formazione per raffreddare la Terra al punto di non presentare tracce superficiali di dinamica endogena. I terremoti sono dunque una delle espressioni di questa dinamica endogena del nostro pianeta che, in questa fase della sua evoluzione geodinamica, si esprime attraverso i meccanismi della tettonica delle placche.

Cosa è successo il 6 febbraio 2023

Qual è dunque l’assetto geodinamico regionale nell’ambito del quale si inquadra il terremoto che si è verificato al confine tra Turchia e Siria? Secondo la teoria della tettonica delle placche le deformazioni della litosfera terrestre si concentrano ai margini di placca. L’area colpita dal sisma si trova in una regione di margine di placca estremamente complessa, dove interagiscono la placca africana, quella araba e quella euroasiatica. Tra queste placche maggiori si trova incuneata la microplacca anatolica, delimitata da due grandi faglie trascorrenti: la faglia Nord anatolica e la faglia Est Anatolica ed è proprio lungo quest’ultima che si è verificata la scossa principale.

Queste faglie sono un complesso sistema di faglie principali e secondarie che hanno fortemente risentito della scossa principale, innescando una serie di ripercussioni che, a loro volta, hanno generato lo sciame sismico successivo. La scossa successiva di magnitudo 7,5 è infatti avvenuta lungo una faglia secondaria del sistema, nota come segmento Surgu.

La faglia Est Anatolica presenta una superficie di faglia quasi verticale e un movimento trascorrente sinistro che, accoppiato al movimento trascorrente destro della faglia Nord Anatolica, spinge la microplacca anatolica verso ovest come se fosse strizzata dal movimento delle placche araba ed euroasiatica. Questi movimenti sono generati dallo spostamento verso Nord-Est della placca araba, spinta alle spalle dall’apertura del Mar Rosso, che procede a una velocità superiore a 1 cm/anno.

Nell’ultimo secolo l’area colpita dal terremoto del 6 febbraio non ha presentato una forte attività sismica: la faglia era bloccata, come spesso avviene alle grandi faglie trascorrenti che costituiscono dei limiti di placca. Una situazione simile si trova anche nella faglia di San Andreas in California, dove perdura l’attesa per un grande terremoto, il cosiddetto Big One.

Il terremoto del 6 febbraio, che ha sbloccato la faglia, ha prodotto un dislocamento, prevalentemente orizzontale, stimato fino a 3 metri per la scossa principale, che ha interessato la superficie di faglia per una lunghezza di circa 150 km. Ciò ha contribuito ad ampliare notevolmente l’area colpita dalle devastazioni, le quali non si sono limitate a una zona nell’intorno dell’epicentro ma hanno colpito una fascia di territorio molto più ampia, grossolanamente orientata parallelamente alla faglia.

Purtroppo, nell’analisi del rischio sismico le situazioni di questo tipo sono le più complesse da gestire. I tempi di ritorno dei terremoti più intensi sono dell’ordine dei secoli e non esistono strumenti che permettano di fare previsioni a breve termine affidabili sul verificarsi di queste scosse. Che l’area fosse caratterizzata da un’elevata pericolosità è ben evidenziato dalla carta della pericolosità prodotta dall’Autorità Turca per la Gestione dei Disastri e delle Emergenze (AFAD), aggiornata l’ultima volta nel 2018.

La pericolosità è la probabilità che un terremoto di una certa intensità avvenga entro un determinato intervallo di tempo. La colorazione nelle tonalità del rosso è proporzionale all’accelerazione orizzontale che si stima abbia una probabilità del 10% di essere superata nell’arco dei prossimi 50 anni, a causa del verificarsi di terremoti. Si tratta di un parametro molto utile per gli interventi di edilizia antisismica, che vanno progettati proprio in base alle stime di accelerazione massima a cui possono risultare soggette le strutture.

Buona parte del territorio turco presenta alta probabilità di sismi catastrofici come quello del 6 febbraio, con le due fasce che delineano perfettamente le faglie Nord ed Est Anatolica. Si tratta di aree popolate da decine di milioni di persone in cui gli edifici da rendere antisismici sono milioni, uno sforzo economico difficilmente sostenibile da qualsiasi Paese del mondo e, a maggior ragione, da Paesi con economie in via di sviluppo. A ciò vanno aggiunte le difficoltà relative al fatto che ci troviamo in una delle zone di più antico popolamento del mondo: nell’area si trova, per esempio, l’antichissimo sito archeologico di Gobekli Tepe, e la stratificazione storica del popolamento rende estremamente difficile intervenire su edifici che possono avere molti secoli di vita e strutture urbane tra le più antiche del mondo.

Possiamo aspettarci in Italia terremoti di questa entità?

I terremoti più forti sono anche quelli più sfuggenti rispetto a uno studio scientifico basato sulle serie statistiche, dato che sono così rari da non permettere un trattamento adeguato dei dati. Anche l’Italia è provvista di una mappa delle accelerazioni massime al suolo attese, analoga a quella turca, prodotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Questa mappa mostra che le aree più a rischio nel nostro Paese sono gran parte della dorsale appenninica e la zona più orientale delle Alpi, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. La carta indica per queste aree una probabilità del 10% che nei prossimi 50 anni si producano terremoti con accelerazione al suolo tra 0,25 e 0,3 volte l’accelerazione di gravità g. Si tratta di valori pari a circa la metà dell’accelerazione massima stimata per il terremoto turco del 6 febbraio, pari a circa 0,6 g. Un terremoto di tale intensità non sembra quindi ragionevolmente possibile in Italia, anche se va sempre ricordato che proprio gli eventi estremi sono i più difficili da prevedere.

Su Aula di Scienze puoi trovare un ricco Speciale dedicato alla tettonica delle placche e alle conseguenze che la dinamica endogena della Terra ha avuto e continua ad avere sull’evoluzione della vita sul nostro Pianeta.
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Il complesso limite tra le placche Africana (African Plate), Euroasiatica (Eurasian Plate) e Araba (Arabian Plate) in Medio oriente. Tra queste si trova la microplacca Anatolica (Anatolian Plate). La stella nera indica la posizione dell’epicentro del terremoto delle 4:17 del 6 febbraio lungo la East Anatolian Fault, un’importante faglia litosferica a movimento sinistro lungo la quale la placca araba e la microplacca Anatolica scorrono una rispetto all’altra (Peter Hermes Furian / Alamy Foto Stock).

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Mappa della pericolosità sismica in Turchia. Le aree più esposte coincidono con la posizione della faglia Nord Anatolica e della faglia Est Anatolica (fonte: AFAD)

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Mappa della pericolosità sismica in Italia. Questa risulta essere massima lungo buona parte della dorsale appenninica, nell’area Iblea in Sicilia e nell’area prealpina del Friuli e di parte del Veneto (fonte: Grieco et al., La scienza del pianeta Terra – Fondamenti)

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Persone radunate intorno agli edifici crollati l'8 febbraio 2023 ad Hatay (Antiochia) in Turchia, a pochi kilometri dal confine con la Siria (Burak Kara / Getty Images)