Sono passati più di quarant’anni da quando, per la prima volta, vennero concepiti i computer quantistici. L’anno esatto è il 1982: il premio Nobel Richard Feynman pubblica un paper in cui teorizza la possibilità di simulare per via informatica i fenomeni governati dalla fisica quantistica, che proprio per questa ragione sono inaccessibili anche ai più potenti computer tradizionali, di ieri e di oggi.
Da allora, i computer quantistici sono diventati il Sacro Graal della tecnologia: un miraggio che, quando si concretizzerà, potrebbe rivoluzionare il mondo della chimica, della medicina, della meteorologia, dell’intelligenza artificiale, della crittografia, della finanza e molto altro ancora. Un miraggio che, secondo un numero crescente di scienziati informatici e fisici quantistici, potrebbe trasformarsi in realtà nel giro di pochi anni.
Come funziona un computer quantistico
Per capire perché l’informatica quantistica potrebbe riuscire laddove falliscono anche i più potenti computer del mondo, bisogna prima fare un passo indietro. Il funzionamento dei computer tradizionali è basato sui bit (binary unit): una specie di microscopico interruttore che può trovarsi alternativamente nella posizione spenta (rappresentata dallo zero) o accesa (rappresentata dall’uno).
Ogni sito che visitate, fotografia digitale che scattate, software che utilizzate o videogioco a cui giocate è, alla sua base, rappresentato da una lunghissima sequenza binaria di 0 e 1, che vengono elaborati dai chip presenti in ogni dispositivo tecnologico. Nessun sistema basato sui bit – nemmeno i colossali supercomputer utilizzati nei più avanzati centri di ricerca – è però in grado di replicare il funzionamento della natura su scala atomica e subatomica. Per riuscire in questa e in altre imprese, è necessario progettare dei computer che non siano più basati sui bit, ma sui bit quantistici: i qubit.
I qubit possono superare i limiti dei computer tradizionali grazie a due proprietà della meccanica quantistica: la sovrapposizione e l’entanglement. Partiamo da quest’ultimo fenomeno, che prevede che una coppia di qubit esista sempre in uno stato quantico correlato: nel momento in cui si modifica lo stato di un qubit cambia istantaneamente anche lo stato del qubit associato. Grazie a questo fenomeno, misurando un qubit si può automaticamente conoscere anche lo stato dell’altro. Nessuno sa esattamente perché ciò avvenga – Einstein ha definito l’entanglement una “spaventosa azione a distanza” – ma per merito di questo fenomeno un computer quantistico può raggiungere una potenza di calcolo a oggi impensabile.
Il secondo principio, la sovrapposizione, fa invece sì che i qubit – a differenza dei normali bit, che possono essere soltanto accesi o spenti – si possano trovare in entrambe le posizioni, e in tutte quelle intermedie, allo stesso tempo. Ciò consente ai computer quantistici di analizzare un vastissimo numero di possibilità contemporaneamente: il risultato finale del calcolo emerge nel momento in cui i qubit terminano il loro lavoro e vengono misurati, facendoli “collassare” dallo stato quantistico a una tradizionale posizione binaria.
Le potenzialità dei computer quantistici
“Immaginate di avere solo cinque minuti per trovare uno specifico paragrafo in un libro che si trova in una biblioteca con 50 milioni di volumi. Con un computer normale, che può analizzare un solo libro per volta, sarebbe una missione impossibile. I computer quantistici, invece, potrebbero cercare contemporaneamente nei 50 milioni di testi, trovando il paragrafo con grande rapidità”, spiegò già nel 2014 uno sviluppatore di D-Wave (tra le prime aziende attive nel settore).
Le potenzialità dei computer quantistici in una vasta gamma di aree strategiche spiega perché in questo settore siano stati investiti oltre cinque miliardi di dollari e perché si siano uniti alla corsa colossi come IBM, Microsoft o Google. Anche i governi non si sono tirati indietro: nel 2018 gli Stati Uniti hanno varato il National Quantum Initiative Act, stanziando un miliardo di dollari per la ricerca. La stessa cifra è stata autorizzata dall’Unione Europea tramite il progetto Quantum Technologies Flagship.
Fin qui, la teoria, le potenzialità e gli investimenti. E i risultati? Alcuni esiti concreti hanno iniziato a vedersi nel 2019, quando IBM ha presentato il primo computer quantistico commerciale della storia: il Q System One. Nello stesso anno, Google ha annunciato di aver conquistato la “supremazia quantistica”: vale a dire il momento in cui un computer basato su qubit – in questo caso il Sycamore della società di Mountain View – riesce a svolgere un compito che per i tradizionali computer sarebbe stato irrisolvibile.
In entrambi i casi, però, dietro ai roboanti annunci si celava una realtà fatta di sperimentazioni, prototipi e traguardi più teorici che pratici. Il Sycamore di Google è effettivamente riuscito a risolvere in pochi minuti un calcolo impossibile per i sistemi tradizionali: si trattava però di una dimostrazione teorica, appositamente progettata per mostrare le potenzialità del loro calcolatore.
Lo stesso si può per certi versi dire del Q System One di IBM, effettivamente utilizzabile a livello sperimentale, ma ancora non in grado di fornire alcun risultato utile. Per quale ragione? Per capirlo, basta vedere in quali condizioni è conservato il Q System One, situato nei sotterranei di un centro di ricerca vicino a New York, dov’è protetto da una teca di vetro a chiusura ermetica munita di un sistema di raffreddamento prossimo allo zero assoluto.
I limiti dei computer quantistici
La ragione di tutto ciò è legata a un altro fenomeno quantistico: la decoerenza, quando cioè l’interazione tra i qubit e l’ambiente che li circonda causa il decadimento dallo stato quantistico prima che il loro lavoro sia terminato, portando a risultati completamente casuali. Un decadimento che può essere causato dalle più piccole vibrazioni – anche una collisione tra particelle d’aria – o da minimi cambiamenti nella temperatura.
La decoerenza provoca una tale “rumore” tra i risultati forniti che, secondo uno studio del 2022, al momento un computer quantistico dovrebbe eseguire lo stesso calcolo 10 mila volte prima di fornire la risposta corretta. È questo il punto in cui ci troviamo oggi: i computer quantistici esistono (almeno a livello sperimentale), sono dotati di decine se non centinaia di qubit e hanno dimostrato che, a certe condizioni, sono in grado di offrire le prestazioni sperate.
L’obiettivo, adesso, è risolvere il problema del rumore, che rende i loro risultati completamente inaffidabili. Negli ultimi due anni, alcune combinazioni di strategie hardware e software (sfruttando anche algoritmi di intelligenza artificiale) hanno permesso di fare promettenti passi avanti. La docente dell’università di Helsinki Sabrina Maniscalco, parlando con la MIT Tech Review, si è detta fiduciosa che l’era della “utilità quantistica” – quando cioè questi computer avranno un utilizzo pratico in alcuni settori – possa essere distante non più di due anni.
Per allora potrebbe quindi essere completato il progetto a cui Maniscalco lavora da tempo: la progettazione tramite sistemi quantistici di farmaci antitumorali meno dannosi per i pazienti. È solo un esempio degli ambiti di applicazioni di queste macchine, che non sono destinate a rimpiazzare i computer tradizionali, ma saranno impiegati a scopo scientifico per risolvere problemi complessi e molto particolari, come la modellazione delle reazioni chimiche, la progettazione di nuovi materiali per le batterie elettriche, per migliorare esponenzialmente le scienze meteorologiche, la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale, la sismografia, l’analisi dei mercati finanziari e, più in generale, tutti quei settori particolarmente complessi e dominati dall’incertezza.
L’ottimismo di Sabrina Maniscalco e di parecchi altri ricercatori deve però fare i conti con un’altrettanto ampia schiera di scettici: «Considerate le sfide tecniche nella realizzazione di un computer quantistico resistente all’errore è difficile fare delle stime temporali, ma penso che manchi almeno ancora un decennio», ha per esempio spiegato, parlando con la rivista ingegneristica Spectrum, Oskar Painter, responsabile della sezione Quantum Hardware di Amazon Web Services. Altri, come Matthias Troyer di Microsoft, ritengono invece che gli ambiti di applicazione potrebbero essere limitati alla crittografia e alla scienza dei materiali.
E allora perché così tante aspettative in una tecnologia che forse potrebbe funzionare tra una decina d’anni e forse potrebbe avere applicazioni in un paio di aree strategiche? «Le aspettative e le dimostrazioni teoriche aiutano a ottenere investimenti e ad attirare i migliori talenti», ha spiegato sempre a Spectrum un dirigente della startup QuEra. «Il rovescio della medaglia è che quando affermi che i computer quantistici risolveranno la crisi climatica, e in realtà non sappiano nemmeno quando saranno pronti, si crea parecchia delusione».
Come già visto con le auto autonome, il metaverso, la realtà aumentata, la blockchain e tantissime altre innovazioni, le aspettative possono insomma essere un’arma a doppio taglio. Nel caso dei computer quantistici, però, la posta in palio è troppo elevata per lasciare che l’hype fantascientifico abbia il sopravvento sulla realtà.
immagine di copertina tratta da Wikipedia: ingrandimento del wafer di un computer quantistico che usa la tecnologia D-Waves