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Barriere coralline a rischio nel mare sempre più caldo

La perdita dei coralli dovuta all’aumento della temperatura dei mari minaccia la biodiversità marina e ha un enorme impatto sociale ed economico

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Le barriere coralline sono uno scrigno di biodiversità, un patrimonio naturale di inestimabile valore e una fonte di sostentamento per centinaia di milioni di persone. Sono considerate l’equivalente marino delle foreste tropicali, e come le foreste tropicali oggi sono in pericolo. Dagli anni Cinquanta del secolo scorso abbiamo infatti già perso metà di tutte le barriere coralline del mondo e la sopravvivenza delle restanti è gravemente minacciata dal riscaldamento globale.

Secondo l’IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, un incremento delle temperature globali di 1,5°C metterebbe a repentaglio tra il 70% e il 90% delle barriere coralline, mentre un aumento di 2°C potrebbe essere fatale. Le barriere coralline rischiano di essere il primo ecosistema a scomparire per colpa delle attività umane e potrebbe accadere già nell’arco della nostra vita.

Nascita di una barriera corallina

I coralli sono colonie di piccoli animali invertebrati chiamati polipi (da non confondere con i polpi), molto simili agli anemoni di mare e appartenenti al phylum dei Celenterati. I polipi sono lunghi appena da 1 a 3 millimetri, ma le loro colonie, cioè i coralli, sono costituite da centinaia o migliaia di individui. Per difendersi dai predatori, i polipi costruiscono uno scheletro esterno di carbonato di calcio, da cui allungano i loro tentacoli per catturare i nutrienti presenti nell’acqua. Crescendo l’uno sull’altro, questi scheletri calcarei finiscono per creare le barriere coralline, che possono essere formate da milioni di colonie ed estendersi per chilometri. Gli strati inferiori e disabitati sono i più antichi, mentre in superficie i polipi continuano la loro instancabile attività di accrescimento.

Questi minuscoli animali non sarebbero però in grado di realizzare opere così imponenti senza un alleato prezioso. Per procurarsi tutto il nutrimento di cui hanno bisogno per sostenere i processi di calcificazione, crescita e riproduzione, i polipi vivono infatti in simbiosi con microscopiche alghe fotosintetiche chiamate zooxantelle. Grazie alla fotosintesi, le zooxantelle forniscono ai polipi ossigeno e zuccheri, ricevendo in cambio diossido di carbonio e altri composti metabolici a loro essenziali, nonché un rifugio all’interno degli scheletri corallini. È proprio la presenza delle zooxantelle a conferire ai coralli i loro affascinanti colori. E sono sempre queste alghe microscopiche che, sottraendo diossido di carbonio all’ambiente circostante, facilitano il processo di calcificazione dello scheletro corallino.

Un bianco spettrale

Sebbene la maggior parte dei coralli viva nelle calde acque tropicali, la simbiosi tra polipi e zooxantelle può entrare in crisi a causa di un aumento eccessivo della temperatura marina. Quando infatti l’acqua resta calda troppo a lungo – per molti coralli basta 1°C in più rispetto al massimo estivo – i coralli espellono le alghe con cui vivono in simbiosi, perdendo i loro colori. Questo effetto è chiamato sbiancamento (in inglese bleaching) e può essere molto pericoloso per la sopravvivenza dei coralli. Se infatti le alte temperature perdurano, i coralli, senza più il nutrimento assicurato dalle zooxantelle, possono anche morire. Tutto ciò che resta è un bianco scheletro calcareo privo di vita.

A causa del riscaldamento globale, gli eventi di sbiancamento delle barriere coralline e le morie di massa dei coralli tendono a ripetersi sempre più spesso. Mari e oceani assorbono infatti oltre il 90% del calore in eccesso prodotto dal riscaldamento globale e dagli anni Settanta a oggi la temperatura media delle acque superficiali non ha fatto che crescere, arrivando a 0,9°C in più rispetto all’epoca preindustriale. A preoccupare gli scienziati è soprattutto l’intensificarsi delle ondate di calore marine, periodi di tempo prolungati (almeno cinque giorni) in cui la temperatura dell’acqua raggiunge valori estremi, che stanno diventando più frequenti e duraturi, non lasciando ai coralli il tempo di riprendersi.

Sopravvivenza a rischio

Spesso le colonie sono in grado di recuperare le loro funzionalità dopo un periodo di stress, ma la crescita dei coralli è un processo lento e una barriera corallina può impiegare anche dieci anni per riprendersi da un evento di sbiancamento. Come infatti ha certificato il sesto rapporto sullo stato delle barriere coralline nel mondo, pubblicato nel 2020 dal Global Coral Reef Monitoring Network, nel decennio successivo al primo evento di sbiancamento di massa, avvenuto nel 1998, molte barriere coralline avevano mostrato evidenti segni di miglioramento. Ma nel decennio seguente, tra il 2009 e il 2018, una serie di estesi e ripetuti eventi di mortalità di massa, causati da ondate di calore sempre più estreme e ravvicinate, hanno impedito alle barriere coralline di ristabilirsi, causando la perdita del 14% dei coralli nel mondo.

Se le temperature del pianeta continueranno a crescere, entro la metà del secolo gli eventi di sbiancamento nelle regioni tropicali potrebbero susseguirsi con frequenza annuale, rendendo impossibile la rigenerazione delle barriere coralline. È uno dei motivi che ha spinto la comunità scientifica a chiedere di limitare il riscaldamento globale entro 1,5°C: anche solo mezzo grado in più potrebbe infatti causare la definitiva scomparsa di questi preziosi ecosistemi.

La Grande barriera corallina

Oggi la sorvegliata speciale è la Grande barriera corallina australiana, che si estende per 2.300 chilometri al largo delle coste del Queensland, nell’Australia nord-orientale. Visibile persino dallo spazio, è stata inserita dall’Unesco nei siti patrimonio mondiale dell’umanità ma si trova in condizioni di grave rischio.

A partire dal 1998, la Grande barriera corallina ha subito sei episodi di sbiancamento di massa: nel 2002, nel 2016, nel 2017, nel 2020 e, infine, nel 2022. Quest’ultimo episodio (il quarto in appena sette anni) ha destato allarme nella comunità scientifica perché, per la prima volta, si è verificato nel periodo della Niña, una fase ciclica di raffreddamento delle acque superficiali dell’oceano Pacifico. Ora gli esperti attendono con preoccupazione l’estate australe del 2023 (che corrisponde al nostro periodo invernale), quando si potrebbero invece manifestare i primi effetti di El Niño, la fase di riscaldamento delle acque oceaniche, che nei prossimi anni renderà più probabili nuovi sbiancamenti di massa.

Mari più acidi e altre minacce

L’aumento delle temperature non è però l’unico effetto negativo del riscaldamento globale sugli ecosistemi marini. Mari e oceani assorbono infatti un terzo delle emissioni antropiche di CO2, subendo un processo di acidificazione delle acque molto pericoloso per diversi organismi, coralli inclusi. Disciolto in acqua, infatti, il CO2 forma acido carbonico (H2CO3) che acidifica l’ambiente marino e ostacola la produzione del carbonato di calcio (CaCO3) con cui molluschi, crostacei e coralli formano i loro rivestimenti calcarei.

Questo video mostra nel dettaglio in che modo l’assorbimento della CO2 porta all’acidificazione dei mari:

L’acidificazione indebolisce gli scheletri dei coralli perché l’acido carbonico scioglie il carbonato di calcio da cui sono formati. Il risultato è l’erosione delle barriere coralline e il rallentamento della crescita dei coralli, che complica anche il recupero dopo gli eventi di sbiancamento. Una ricerca pubblicata nel 2012 sulla rivista scientifica Nature evidenzia come a partire dagli anni Sessanta l’acidificazione abbia rallentato in modo significativo la crescita delle barriere coralline, che entro il 2054 potrebbero addirittura  dissolversi.

Il riscaldamento della superficie degli oceani aumenta inoltre la forza dei cicloni tropicali e delle mareggiate che possono danneggiare le barriere coralline. Più elevata è la temperatura dell’acqua, infatti, maggiore è l’energia in grado di alimentare fenomeni meteorologici violenti. Infine, oltre ai molteplici impatti del riscaldamento globale, le barriere coralline devono vedersela anche con fattori di stress locale. Alcuni sono di origine naturale, come la voracità delle stelle corona di spine, una varietà di stelle marine che divorano i coralli.

Altri sono invece di origine antropica, come l’inquinamento dovuto allo sviluppo urbano delle coste. Nel 2012 l’Unesco e l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) hanno avvertito che la situazione della Grande barriera corallina si sta aggravando anche a causa dei rifiuti di plastica dispersi in mare e dell’inquinamento da nitrati e fosfati usati in agricoltura.

Il valore ecologico ed economico

Gli esperti concordano sul fatto che la scomparsa delle barriere coralline avrebbe enormi conseguenze ecologiche, economiche e sociali. Le barriere sono infatti un insostituibile hotspot di biodiversità: sebbene per estensione coprano appena lo 0,2% dei fondali, nel complesso ospitano almeno il 25% delle specie marine, a cui offrono nutrimento e riparo. La sola Grande barriera corallina ospita circa 400 specie di coralli, più di 1.500 specie di pesci, sei delle sette specie di tartarughe marine esistenti al mondo, 30 specie di mammiferi marini, e un’incredibile varietà di altri organismi: granchi, gamberi, aragoste, molluschi, anemoni di mare, ricci, meduse, spugne e vermi che danno vita a un ecosistema sottomarino straordinario.

Dalle barriere coralline dipende inoltre la protezione delle coste, la sicurezza alimentare e il benessere economico di mezzo miliardo di persone in oltre cinquanta nazioni. La loro presenza garantisce infatti una difesa naturale dalle mareggiate e dai cicloni tropicali, e un’importante fonte di sostentamento per le comunità costiere che dipendono dalla pesca e dal turismo. Nel complesso, il valore dei beni e dei servizi forniti dalle barriere coralline è stimato in 2.700 miliardi di dollari all’anno. Proteggere le barriere coralline significa quindi proteggere il nostro stesso benessere.

Salvare le barriere coralline

Nonostante siano costrette ad affrontare un numero crescente di minacce, le barriere coralline non sono indifese. I coralli che abitano oggi la Terra sono apparsi 240 milioni di anni fa, e se dopo tutto questo tempo sono ancora qui significa che hanno avuto la capacità di adattarsi e sopravvivere a numerosi sconvolgimenti climatici. Le diverse specie di corallo possono infatti avere differenti livelli di tolleranza all’aumento delle temperature, e alcuni studi suggeriscono che dopo un evento di sbiancamento i coralli sopravvissuti conferiscano alla barriera una maggiore resistenza. I ricercatori stanno cercando di capire perché alcuni coralli sembrano cavarsela meglio di altri, nel tentativo di migliorare la resilienza delle barriere e ripristinare quelle danneggiate con trapianti selettivi delle varietà più tolleranti al calore, coltivate in appositi vivai subacquei.

Ridurre i fattori di stress dovuti alle attività umane sarà comunque essenziale per consentire ai coralli di resistere all’aumento delle temperature marine. L’inquinamento, la pesca eccessiva e i danni causati alle barriere dalle imbarcazioni possono infatti compromettere le loro naturali capacità di rigenerazione. Una ricerca condotta alle isole Hawaii, per esempio, ha dimostrato che nelle acque pulite i coralli hanno maggiori possibilità di sopravvivere alle ondate di calore. Anche vietare la pesca eccessiva e la perdita di biodiversità con l’estensione delle aree marine protette sarà fondamentale. Nelle barriere coralline del sud-est asiatico si è infatti osservato come una maggiore biodiversità aumenti la resistenza agli eventi di sbiancamento. Oggi le riserve marine coprono appena il 7% dei mari del mondo, ma lo scorso giugno le Nazioni Unite hanno adottato uno storico Trattato per la protezione degli oceani che, quando entrerà in vigore, dovrebbe consentire la tutela a un terzo della superficie dei mari.

La selezione di specie più resistenti alle alte temperature, la riduzione dell’inquinamento e l’estensione delle aree marine protette possono farci guadagnare tempo prezioso, ma non saranno sufficienti senza un freno al riscaldamento globale. Alcuni coralli stanno provando a salvarsi da soli, migrando verso nord e verso sud in cerca di acque più fresche, come già si osserva lungo le coste del Giappone e dell’Australia meridionale. Ma i cambiamenti climatici causati dalle attività umane rischiano di essere troppo rapidi rispetto ai tempi di adattamento dei coralli, e non c’è luogo negli oceani al riparo dall’acidificazione. Limitare il riscaldamento globale a 1,5°C o comunque ben al di sotto di 2°C, come richiede l’accordo di Parigi sul clima, resta dunque una condizione necessaria – e ancora alla nostra portata – per scongiurare la scomparsa delle barriere coralline.

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Una porzione della Grande barriera corallina australiana vista dalla Stazione Spaziale Internazionale (immagine: NASA/Kjell Lindgren)

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La varietà dei coralli nella Grande barriera corallina australiana (immagine: Wikipedia)

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Una stella corona di spine (immagine: David Clode via Unsplash)

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Sbiancamento dei coralli nella Grande barriera corallina australiana (immagine: Wikipedia)

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Distribuzione geografica delle principali barriere coralline nel mondo (immagine: NOAA).