Che cos’è un esopianeta?
Per rispondere a questa domanda è utile ricordare, prima di tutto, che cos’è un pianeta. Secondo gli astronomi, perché un corpo sia definito tale devono essere soddisfatti diversi requisiti. Innanzitutto un pianeta è un corpo celeste che orbita intorno a una stella, ma che non è una stella a sua volta: ha una massa nettamente minore e non produce energia grazie alle reazioni di fusione nucleare, come invece avviene per una stella. In pratica, non brilla di luce propria. Poi, la massa del pianeta, sebbene piccola rispetto a quella di una stella, deve essere sufficiente a dargli una forma sferica o sferoidale e a permettergli di dominare gravitazionalmente la sua regione. In pratica, il pianeta non condivide la propria zona orbitale con altri oggetti di taglia comparabile, mentre può avere satelliti, che sono nettamente meno massicci. Quest’ultima condizione, definita nel 2006 dall’Unione Astronomica Internazionale, è una delle principali ragioni per cui Plutone non viene più considerato un pianeta, ma un pianeta nano. Un esopianeta quindi non è altro che un pianeta che orbita intorno a una stella che non sia il Sole, ovvero che appartiene a un Sistema planetario diverso dal Sistema solare.
Per saperne di più sul pianeta nano Plutone, puoi leggere su Aula di Scienze questo articolo sulla missione New Horizons.
Come si va a caccia di un esopianeta?
Con i pianeti del nostro Sistema solare è possibile effettuare osservazioni dirette, ma gli esopianeti sono generalmente troppo lontani per essere scoperti e studiati in questo modo. A parte pochissimi casi in cui si è riusciti a ottenere, con difficoltà, un’immagine diretta di un esopianeta, nella grande maggioranza dei casi bisogna osservare le stelle alla ricerca di indizi che rivelino la sua presenza.![](https://ieb-assets.s3-eu-west-1.amazonaws.com/files/wp_aulascienze/2016/02/eso1024c.jpg)
La presenza di un pianeta fa "oscillare" la stella e, quindi, variare lo spettro che osserviamo (fonte: eso.org).
Il transito del pianeta davanti alla stella determina una diminuzione della luminosità rilevata dai fotometri (fonte: eso.org)
Qual è l’identikit di un cacciatore di esopianeti?
Le persone che lavorano alla ricerca dei pianeti extrasolari provengono tipicamente da studi di fisica e astronomia e hanno poi proseguito con un dottorato lavorando presso gruppi specializzati. La comunità internazionale dei cacciatori è generalmente suddivisa in base alle tecniche utilizzate. Quando un gruppo di ricerca pensa di aver scoperto un nuovo pianeta, cerca di pubblicare il risultato su una rivista scientifica a revisione paritaria, in modo che i dati siano messi a disposizione della comunità scientifica mondiale per essere discussi. Nel contempo, può decidere di contattare altri gruppi per avere altre misure. Questa collaborazione spesso è tempestiva e comincia in modo informale, anche perché il numero di ricercatori in questo ambito è abbastanza ridotto.![](https://ieb-assets.s3-eu-west-1.amazonaws.com/files/wp_aulascienze/2016/02/planet-hunters1.png)
Scoprire un esopianeta è un lavoro per specialisti, ma chiunque può dare una mano e accelerare la ricerca grazie ai progetti di citizen science. Nel 2010 è stato lanciato Planet Hunters, che ha messo a disposizione del pubblico alcune delle osservazioni di Kepler scoprendo presto che l’intelligenza collettiva degli esseri umani poteva trovare transiti che i software non erano riusciti a scovare.
Quanti pianeti abbiamo scoperto?
Al momento di questa intervista il database della Extrasolar Planet Encyclopaedia elenca 2056 esopianeti individuati, a cui dobbiamo aggiungere diverse migliaia di candidati. Non bisogna prendere questo numero in termini assoluti, perché esistono esopianeti anche molto dibattuti, come ad esempio Alfa centauri B b, che un giorno potrebbero essere ritrattati. Si può comunque dire con sicurezza che conosciamo circa 2000 pianeti che orbitano intorno a una stella diversa dalla nostra. Da questo numero è ancora difficile estrapolare una stima precisa di quanti esopianeti esistano nella nostra galassia, ma in ogni caso si tratta di una quantità enorme, probabilmente compresa tra i 100 e 1000 miliardi. Che gli esopianeti siano moltissimi ce lo dice anche l’andamento storico della loro ricerca: il primo esopianeta è stato individuato non appena sono state disponibili tecniche sufficientemente precise, e il ritmo della scoperta aumenta man mano che progrediscono i nostri strumenti. In altre parole, si tratta di oggetti talmente numerosi nella Galassia che, con le apparecchiature giuste, sono relativamente semplici da scoprire.Perché è così importante cercarli?
La ricerca e lo studio dei pianeti extrasolari sta accrescendo la nostra conoscenza in vari modi. Il solo fatto che esistano ha cambiato ancora una volta la concezione che l’uomo ha dell’Universo e del suo posto all’interno di esso; non a caso, infatti, molti ritengono che i ricercatori che identificarono i primi esopianeti meritino il Premio Nobel. Tra gli astronomi la scoperta di esopianeti ha ravvivato lo studio della formazione dei sistemi planetari e ha sempre più senso chiedersi se esiste o meno un pianeta simile alla Terra. Di tutti i pianeti scoperti solo una percentuale piccola (ma non trascurabile) si trova nella cosiddetta zona abitabile, cioè a una distanza dalla stella sufficiente a mantenere potenzialmente acqua liquida sulla superficie. Questo non implica che l’acqua sia sicuramente presente, ma che, se dovesse esserci, potrebbe formare laghi e mari. Se un pianeta fosse roccioso, di grandezza simile alla Terra, nella zona abitabile e possedesse anche un’atmosfera con del vapor d’acqua, allora avremmo trovato una potenziale “Terra gemella”. Anche se tutte le condizioni specificate valessero per una percentuale piccola degli esopianeti esistenti, il loro numero è così grande che verosimilmente esisterebbero parecchi pianeti di questo tipo. E, chissà, su qualcuno di essi potrebbe essersi anche sviluppata la vita. Questo ci porta a un altro tema molto legato agli esopianeti, cioè l’astrobiologia. Al momento non sappiamo se la vita esista fuori dal nostro Sistema solare, né possiamo immaginare quale sia il suo aspetto. Quello che possiamo fare è però cercare coi nostri strumenti dei biomarcatori, cioè degli indizi della presenza di forme di vita, nelle atmosfere esoplanetarie. Si cercano, per esempio, i composti che sulla Terra sono legati, anche se non necessariamente, alla presenza di organismi viventi, come acqua, metano e ossigeno; ma sarebbe teoricamente possibile anche rilevare lo spettro di molecole complesse come la clorofilla. Il problema è che la ricerca dei biomarcatori si basa sulla biologia terrestre, mentre non sappiamo quali strade potrebbe aver preso l’evoluzione su un altro pianeta: in questo tipo di ricerche è quindi essenziale mantenere la mente il più possibile aperta. Infine la presenza di tanti altri mondi ci permette di riflettere sul futuro della nostra specie: saremo sempre legati alla Terra, o riusciremo a espanderci nella galassia? I viaggi interstellari attualmente esistono solo nei libri di fantascienza; ma se l’uomo tra uno o due miliardi di anni esisterà ancora, andarsene dal Sistema solare sarà una necessità a causa dell’evoluzione stellare del nostro Sole, che renderà la Terra troppo calda per sostenere la vita come oggi la conosciamo. Quello che possiamo fare noi è continuare a cercare, e nei prossimi anni due grandi progetti ci aiuteranno a farlo. Il James Webb Space Telescope, che potrebbe essere lanciato già nel 2018, sarà il successore del famoso Hubble. Sulla sommità del monte Cerro Armazones, in Cile, si sta invece costruendo lo European Extremely Large Telescope, dotato di uno specchio di quasi 40 metri di diametro. Entrambi gli strumenti saranno in grado di catturare immagini dirette dei mondi che abbiamo scoperto e di quelli che scopriremo, e ci permetteranno così di sapere molto di più sulla loro struttura e sulla loro eventuale atmosfera.![Planet_reflex_200](https://ieb-assets.s3-eu-west-1.amazonaws.com/files/wp_aulascienze/2016/01/Planet_reflex_200.gif)
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![Planet around Beta Pictoris (annotated)](https://ieb-assets.s3-eu-west-1.amazonaws.com/files/cache/wp_aulascienze/2016/02/eso1024c.jpg/eso1024c_960x0_5a40b534d135527bb629602e906220ec.jpg)