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Che cos'è la space economy?

Da internet ai nuovi materiali, dalla farmaceutica al turismo spaziale, proviamo a capire meglio la rivoluzione in atto sopra le nostre teste

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Immaginate di fare una breve vacanza. Controllate che tempo farà nei prossimi giorni. Quelle previsioni usano senza dubbio molti dati che sono stati raccolti dai satelliti meteorologici. Probabilmente le trovate in un sito web, oppure le ascoltate dalla televisione: in entrambi i casi c’è la possibilità che quelle immagini e quei suoni abbiano attraversato anche lo spazio per arrivare fino a voi, sotto forma di segnali radio trasmessi dai satelliti per le telecomunicazioni. In auto puntate il navigatore, quindi vi mettete con fiducia nelle mani dei satelliti di GPS, Galileo, Glonass, cioè i sistemi satellitari globali di navigazione. Siete finalmente alla vostra meta, e decidete di portarvi a casa qualche scatto da mettere sui social. La macchina fotografica del vostro smartphone si basa su un sensore di immagine sviluppato inizialmente al Jet Propulsion Laboratory, il più famoso dei centri di ricerca ella NASA, l’agenzia spaziale americana.

Ogni giorno usiamo tecnologie spaziali, tanto che non ci facciamo quasi più caso. Eppure questo è solo l’inizio, perché lo spazio sopra le nostre teste diventa ogni giorno più importante per la Terra. Nel 2022 ci sono stati ben 180 lanci spaziali, in maggioranza commerciali. La rivoluzione di cui si parla sui media è definita con due parole: space economy, economia dello spazio. Ma di cosa si tratta?

Guarda la conferenza di Roberto Battiston Space economy, una finestra sul futuro. Nel 2022 professor Battiston ha portato questa conferenza anche agli incontri Scienza a scuola di Zanichelli: 

L’evoluzione della space economy

Oggi parlando di space economy si intende in realtà, più propriamente, la new space economy. L’economia dello spazio, infatti, esiste da quando è cominciata l’era spaziale, nel secondo Dopoguerra. Il primo satellite artificiale è stato Sputnik 1, lanciato il 4 ottobre 1957 dall’Unione Sovietica. Il mese successivo va in orbita Sputnik 2 con a bordo una cagnolina, che aveva avuto tanti nomi, ma che tutti conosciamo come Laika. Gli Stati Uniti risposero l’anno successivo, con il loro primo satellite Explorer 1.

I lanci di satelliti e sonde sempre più ambiziose proseguirono, e alla fine arrivò anche il turno degli esseri umani. Nel 1961 Yuri Gagarin è il primo cosmonauta a volare nello spazio, mentre nel 1969 sono gli astronauti americani a raggiungere per primi la Luna.

In quegli anni alla corsa allo spazio potevano partecipare solo i governi, perché solo entità statali potevano permettersi gli enormi investimenti necessari a lanciare e a gestire le missioni. Già allora, però, l’economia dello spazio non poteva fare a meno di aziende private, a cui le agenzie spaziali appaltavano operazioni specifiche.

Ascolta il podcast Voci in Agenda: La "conquista" di Marte e il ritorno sulla Luna

Negli ultimi vent’anni, però, il ruolo delle aziende nell’industria spaziale è diventato sempre più importante. Oggi i privati non sono più semplici fornitori dei governi, ma protagonisti di una nuova corsa allo spazio. Progettano, costruiscono, lanciano e operano i loro veicoli spaziali e, allo stesso tempo, continuano a collaborare con le agenzie spaziali nazionali a cui offrono servizi ultra-specializzati.

La fase chiamata new space economy è cominciata in questo millennio, e un evento fondamentale è stato il pensionamento dello Space Shuttle, il velivolo riutilizzabile con cui la NASA trasportava gli astronauti in orbita e sulla Stazione Spaziale Internazionale. In previsione del pensionamento, avvenuto nel 2011, l’agenzia spaziale americana ha cominciato a sponsorizzare l’ingresso delle aziende private nel business dei lanci spaziali, con l’obiettivo di servirsene per il trasporto dei propri astronauti.

La competizione ha fatto precipitare i costi dei lanci. Se negli anni Ottanta mandare in orbita 1 kilogrammo di materiale costava circa 100 000 dollari, ora siamo intorno al migliaio. Questa rivoluzione a sua volta ha attratto altre compagnie, spalancando le porte dello spazio a un numero molto maggiore di attori, che prima non potevano accedere a questo settore.

Queste dinamiche riguardano tutta la filiera dello spazio, non solo le aziende che costruiscono i razzi. Negli ultimi vent’anni, per esempio, sono stati sviluppati molti satelliti miniaturizzati, come i famosi Cubesat: oltre a essere più piccoli e leggeri, sono costruiti in parte con componenti commerciali, cioè non progettate “su misura”. Questo ha abbassato molto il loro costo di produzione e ha ampliato ulteriormente l’accesso allo sfruttamento economico dello spazio.

Questa è la novità della space economy. Per fare un paragone, potremmo pensare alla rivoluzione genomica: anche in questo settore si è infatti verificata un’enorme riduzione dei costi di sequenziamento dopo l’interessamento dei privati e la pubblicazione del genoma umano.

L’esplorazione dello spazio è una storia anche al femminile, a questo proposito puoi leggere l’articolo di Andrea Ferrero Katherine Johnson e le donne dello Spazio.

Che cosa “produce” lo spazio?

Lo spazio è essenziale per la ricerca scientifica di base ed è strategico dal punto di vista militare. Questo è il motivo per cui i governi continueranno a investire risorse in questa frontiera. L’arrivo dei privati apre nuove opportunità in questo senso. Come abbiamo già detto, oggi alla NASA conviene usare aziende private come taxi o “fattorini” per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale. Ma la “new space economy” è molto più estesa.

Per esempio, oggi è possibile lanciare delle costellazioni di piccoli satelliti grazie ai quali ci si può connettere facilmente a internet, a grande velocità, in qualunque zona del mondo. I più famosi sono gli Starlink di SpaceX, ma ci sono anche altri operatori. Sono già migliaia i satelliti di questo tipo sopra le nostre teste. Secondo i suoi sostenitori questa tecnologia potrebbe diventare competitiva, per costi e prestazioni, con la fibra ottica che attualmente domina l’industria.

Questo breve video illustra il funzionamento delle costellazioni di satelliti per la connessione internet:

Un altro settore importantissimo è l’osservazione della Terra. Le agenzie pubbliche usano da tempo i satelliti per monitorare il nostro pianeta, ma ora ci sono anche diverse aziende in gioco, che operano come data company. Progettano e producono i loro satelliti, dotati di fotocamere ad alta definizione e altri sensori, poi li lanciano in orbita (grazie a compagnie come Space X). Si occupano poi del loro funzionamento e vendono i dati raccolti a chiunque li richieda, siano essi governi o aziende.

Questi dati possono, per esempio, essere utilizzati per l’agricoltura di precisione: scansionando dal cielo un campo nella banda del vicino infrarosso (NIR) si deducono diverse informazioni sulla salute delle piante, che l’agricoltore può usare a terra per correggere in maniera mirata la quantità di acqua, fitofarmaci, fertilizzanti.

Sull’agricoltura di precisione puoi leggere la chiave di lettura Zanichelli Nove miliardi a tavola, di Mauro Mandrioli.

Lo spazio, però, può diventare anche una “fabbrica”. Un oggetto in orbita intorno alla Terra è come se fosse in caduta libera, quindi sperimenta una situazione di microgravità. Sulla Terra non è possibile ottenere queste condizioni, se non per brevi periodi nei voli parabolici. Si tratta quindi di un ambiente del tutto unico e lo possiamo sfruttare ad esempio per produrre nuovi materiali e composti difficili (o impossibili) da ottenere sulla Terra.

Sulla ISS, per esempio, la compagnia InnoStudio ha condotto un esperimento per migliorare la stabilità dell’antivirale Remdesivir, prodotto dalla Gilead. Siamo ancora allo stadio sperimentale, ma per il prossimo futuro si pensa già alla costruzione di nuove stazioni spaziali orbitanti private, di cui si serviranno non solo le agenzie spaziali come la NASA, ma anche le aziende. Il pensionamento della Stazione Spaziale Internazionale è infatti previsto per il 2030, e per allora l’idea di una “fabbrica spaziale” per scopi farmaceutici, per esempio, potrebbe sembrarci molto più concreta di adesso.

New space economy vuol dire anche turismo spaziale, cioè offrire un viaggio indimenticabile in orbita (e forse un giorno sulla Luna e oltre) non solo agli scienziati, ma a chiunque possa pagare il biglietto. Il primo turista spaziale è volato sulla ISS nel lontano 2001, ma negli ultimi 2 anni i turisti spaziali sono diventati decine grazie ai razzi commerciali. Anche se non sembra un utilizzo particolarmente “raffinato” dello spazio, è possibile che l’interesse di questi viaggiatori contribuisca all’innovazione e alla diminuzione dei costi.

Nuovi spazi, nuovi problemi

La new space economy ha molte potenzialità ma anche molte incognite. Le leggi che regolamentano lo spazio devono essere aggiornate per garantire che questa risorsa sia sfruttata in modo sostenibile. Perché lo spazio dovrebbe continuare a essere di tutti. Per esempio, l’orbita terrestre bassa è la più ambita per molti scopi, incluse le costellazioni di satelliti, ma non sappiamo quanti di questi oggetti possa contenere in sicurezza.

Più aumentano gli oggetti, più aumenta il rischio di collisioni, che a loro volta generano spazzatura spaziale, un problema che non sappiamo ancora come risolvere. Non solo: gli astronomi sono preoccupati che troppi satelliti possano disturbare le loro osservazioni a terra, e bisogna chiedersi se sia etico, dal punto di vista ambientale, lanciare un razzo solo per permettere a facoltosi turisti spaziali di dare un’occhiata al nostro pianeta dall’alto.

Col supporto delle agenzie spaziali nazionali molte startup sono già al lavoro per provare a ripulire le orbite dalla nostra “spazzatura”. Questo breve video dell’ESA spiega la posta in gioco:
Nell'immagine in apertura l'astronauta Dale A. Gardner regge un cartello con scritto "In vendita". Si riferisce scherzosamente a due satelliti malfunzionanti che l'equipaggio dello Shuttle Discovery (missione STS-51-A, 1984) ha dovuto recuperare dall'ortbita. Da: NASA, Public domain, attraverso Wikimedia Commons