Aula di Scienze

Aula di Scienze

Persone, storie e dati per capire il mondo

Speciali di Scienze
Materie
Biologia
Chimica
Fisica
Matematica
Scienze della Terra
Tecnologia
I blog
Sezioni
Come te lo spiego
Science News
Podcast
Interviste
Video
Animazioni
L'esperto di matematica
L'esperto di fisica
L'esperto di chimica
Chi siamo
Cerca
Come te lo spiego

Che cosa sono le miniere urbane

Il recupero di materie prime dai rifiuti è oggi limitato da ostacoli di varia natura. Ne parliamo con Roberto Braga, geologo dell’Università di Bologna

leggi

Quanto vale lo smartphone che abbiamo in tasca? Se è di fascia media, in negozio lo abbiamo pagato come minimo 200 euro. Ma se consideriamo il solo costo delle decine di materiali che lo compongono il suo valore è poco più di un euro. Il grosso di questo valore è nei metalli, alcuni molto rari e costosi, come i platinoidi e il cobalto, oppure di difficile raffinazione, come le cosiddette terre rare

Le terre rare sono in realtà abbondanti nella crosta terrestre e si trovano in molti minerali diversi, ma ci sono pochi giacimenti dove sono concentrate. Per questo è difficile ottenere gli ossidi puri di lantanio, cerio, neodimio e altri. Per approfondire puoi leggere questa scheda.

Queste materie prime sono estratte da miniere sparse un po’ ovunque, vendute e comprate a tonnellate, e sono essenziali per le tecnologie su cui si basa la nostra società. I giacimenti però non sono infiniti, mentre ogni anno cresce la richiesta per realizzare nuovi prodotti. Non parliamo solo di cellulari: questi elementi sono indispensabili anche per molte tecnologie essenziali per lo sviluppo delle energie rinnovabili, attraverso le quali è necessario realizzare la transizione energetica.

Alcune risorse sono già scarse, altre lo saranno in futuro. Inoltre i paesi più sviluppati, che utilizzano di più queste materie prime, spesso non hanno giacimenti sul loro territorio, e sono completamente dipendenti dalle importazioni. In molti casi l’estrazione avviene in paesi poveri, dove le condizioni di lavoro sono proibitive. Un caso famoso è quello del Coltan, una roccia che contiene una miscela dei minerali columbite e tantalite, da cui si estraggono tantalio e niobio. Questi elementi sono indispensabili in molti dispositivi digitali, smartphone inclusi. Nella Repubblica Democratica del Congo il Coltan è estratto anche dai bambini, e finanzia la guerra in quel territorio.

C’è però un’altra fonte potenziale per queste risorse, e anche per molti altri materiali: sono gli oggetti che li contengono e che hanno terminato il loro ciclo di utilizzo. Da qualche anno si sente parlare di urban mining, miniere urbane dalle quali recuperare queste materie prime direttamente dai prodotti scartati, in modo che siano riutilizzabili in nuovi prodotti (si parla allora di materie prime secondarie). Il primo vantaggio dell’urban mining è quello di allungare la vita delle risorse minerarie, riducendo l'estrazione. Spesso (ma non sempre) il recupero dei materiali è anche meno inquinante rispetto all’estrazione mineraria, e ogni paese che consuma ha in teoria accesso a questa riserva. Le cose, però, sono molto più complicate, come ci ha spiegato il professor Roberto Braga, geologo dell’Università di Bologna.

Che cos’è, in concreto, una miniera urbana?

L’urban mining ci fa pensare subito ai metalli, e in particolare a quelli preziosi contenuti nei rifiuti elettronici RAEE. In realtà questo concetto può essere esteso a tutte le materie prime recuperabili da prodotti, edifici, e infrastrutture non più in uso. Alcune sono state estratte dalla litosfera con le miniere, come appunto i metalli preziosi e non. Ma si parla di urban mining anche per il recupero di gomma e legno.

Nonostante il nome, l’urban mining è, nella maggior parte dei casi, un’attività inserita nelle filiere del riciclo. Significa che prima il rifiuto di partenza è raccolto in modo differenziato e attraversa una serie di passaggi per facilitare l’estrazione vera e propria della materia prima di interesse. L’attenzione verso alcune materie prime rispetto ad altre varia nel tempo, per esempio in base al loro valore di mercato e allo sviluppo tecnologico: l’aumento della domanda di batterie, per esempio, richiede più nickel, cobalto e litio.

I rifiuti RAEE ricevono molta attenzione quando si parla di urban mining perché alcune materie prime potenzialmente recuperabili sono preziose (oro, argento) o “critiche” per l’Unione europea. Si chiamano così perché sono necessarie per molti prodotti tecnologici e in particolare per realizzare la transizione ecologica (cobalto, litio, terre rare…), ma sono anche a rischio di approvvigionamento.

Purtroppo, questi sono anche i rifiuti più difficili da lavorare. È molto complesso separare gli elementi che ci interessano dai circuiti stampati di prodotti anche molto diversi tra loro. Spesso sono all’interno di leghe, che richiedono molta energia e complessi procedimenti chimici per la loro separazione. Mentre è di routine recuperare materie ferrose e rame da questi oggetti, le sostanze più preziose sono tralasciate per limiti tecnologici ed economici. Oggi in Europa meno dell 1% dei RAEE serve a recuperare materie prime preziose o critiche.

L’ENEA nel 2020 ha presentato ROMEO (Recovery Of MEtals by hydrOmetallurgy), un impianto che può recuperare oro, argento, platino, palladio, rame, stagno e piombo dai RAEE. Si tratta però di un impianto dimostrativo, che ha lo scopo di sviluppare la tecnologia.

Possiamo trasformare le discariche in miniere urbane?

In alcuni casi esistono già, e si parla di landfill mining. Questo tipo di urban mining è però ancora molto raro. Sulla carta, l’idea sembra promettente. Prima dell’avvento della raccolta differenziata (per l’Italia dopo il decreto Ronchi del 1997) le discariche si sono riempite di ogni tipo di rifiuto, dalle automobili alla nostra spazzatura indifferenziata. Contengono enormi quantità di materiali che in teoria potremmo recuperare. Il principale problema tecnico è capire se una certa discarica è davvero conveniente da sfruttare, ma la risposta dipende anche dal contesto ambientale, sociale e regolatorio.

Per esempio, una discarica chiusa da decenni ora è ormai parte del paesaggio, può avere l’aspetto di una normale collina. La sua riapertura, anche se per realizzare un progetto di urban mining, non può essere imposta ai cittadini, che sono legittimamente preoccupati delle conseguenze. Per gli stessi motivi è complicato fare urban mining nelle miniere non più operative, dalle quali in teoria sarebbe possibile recuperare ulteriori materie prime riprocessando i residui della lavorazione precedente. Al momento questi tipi di urban mining sono quasi inesistenti in Europa.

In questo video Rob Reid, ingegnere e docente all’università di Waterloo (Canada), parla delle potenzialità e dei limiti del landfill mining:

Esistono miniere urbane in Italia?

In Italia facciamo urban mining perché, grazie ai progressi nella raccolta differenziata, possiamo recuperare una crescente quantità di materiali, non solo le frazioni che separiamo nelle case. Lo facciamo anche dai rifiuti elettronici, per i quali ora c’è un obbligo di ritiro pensato per portare allo smaltimento appropriato del prodotto (molti RAEE, riciclo o no, contengono materiali pericolosi per l’ambiente e la salute). Da questi però, come dicevamo, quasi mai è possibile recuperare le materie più preziose in impianti di larga scala, e in Italia non esistono ancora. Sono in corso diversi progetti che sviluppano nuove tecnologie per questo obiettivo.

L’idea di estrarre materiali preziosi e critici dai nostri smartphone e computer è molto interessante nell’ottica dell’economia circolare, ma è bene tenere conto delle grandi difficoltà da superare. Ogni anno nel mondo consumiamo oltre 300 tonnellate d’oro per fabbricare nuovi dispositivi, quindi è vero che nei nostri RAEE c’è una “miniera”. Ma, per fare un esempio estremo, anche negli oceani c’è una miniera d’oro: 20 milioni di tonnellate nell’acqua marina, e poi ci sono i depositi sottomarini. Tuttavia oggi non esiste un processo per estrarre quel materiale dagli oceani in maniera conveniente. Con i RAEE stiamo ancora imparando.

Per approfondire il rapporto tra risorse e loro riciclo, in questo webinar il professor Giovanni Grieco spiega che, anche in condizioni ideali, il riciclo delle risorse la cui domanda è in crescita non può soddisfarla completamente. Un esempio è quello del rodio, necessario per le marmitte catalitiche.

Quali sono i materiali che sappiamo recuperare in modo efficiente con l’urban mining?

I materiali ferrosi sono abbastanza facili da recuperare, processare e riutilizzare come materia prima secondaria. Si possono infatti separare bene dalle altre frazioni, anche con l’uso dei magneti. Anche l’alluminio, il rame e altri metalli sono recuperati facilmente quando si riesce a separarli meccanicamente o col calore.

Sappiamo riciclare bene anche i rifiuti da costruzione e demolizione. Possono essere sminuzzati in aggregati, di diversa pezzatura, da riutilizzare in edilizia. Per esempio per asfaltare strade o anche all’interno di nuovi edifici. Esiste però un problema regolatorio, cioè a seconda della legislazione locale non è detto che gli aggregati siano utilizzabili per quell’uso. In alcuni casi non è possibile stabilire con certezza se i materiali di un certo edificio erano contaminati, e in via precauzionale si decide di non usarli. C’è inoltre ancora diffidenza verso il materiale di costruzione riciclato (pavimentazioni a parte), nonostante i test positivi.
In Olanda questo tipo di urban mining è molto rappresentato, ma anche da noi è un settore in espansione.

Guarda il servizio di ricicla TV sul riciclo dei materiali edili in Italia:

Che cosa deve cambiare per favorire le miniere urbane?

Non esiste una risposta univoca, perché dipende molto dal tipo di risorsa che vogliamo estrarre. Come accennavamo, in alcuni casi c’è ancora un problema di legislazione. La definizione di cosa è un rifiuto (e non può essere riutilizzato) e cosa è invece una risorsa deve evolversi nel nostro ordinamento. Questo crea le condizioni perché sia possibile e incentivato lo sfruttamento in sicurezza delle materie prime secondarie. Nel caso degli aggregati abbiamo una tecnologia matura, ma meno applicata di quanto sarebbe possibile. Questo problema si può risolvere nel medio periodo con il dialogo tra tecnici e ricercatori, il legislatore e i cittadini. Gli scienziati insomma si devono spiegare, dimostrando al pubblico i benefici e la sicurezza.

In altri casi, invece, prevalgono le difficoltà a livello tecnologico ed economico, come abbiamo visto nel caso dei RAEE come fonte di materiali preziosi o critici. Nel caso del landfill mining, cioè lo sfruttamento delle discariche, ai limiti tecnologici ed economici si somma l’impatto ambientale e sociale. In questi casi la strategia migliore per favorire l’urban mining è continuare a studiare. Credo cioè che sia necessario ragionare sul medio e lungo termine per ottenere risultati in quest’ambito. I geologi studiano un sito anche per vent’anni prima di concludere se sia conveniente aprire una miniera “tradizionale” e cominciare a estrarre. Potrebbero essere necessari studi simili anche per le discariche. Un altro aspetto importante è la comunicazione di queste pratiche, perché nessuna è a impatto zero. Per essere un po’ più “green” bisogna comunque sporcarsi.

Anche il riciclo della plastica è una sfida ancora da vincere, sia tecnicamente che economicamente, e da solo non risolverà il problema dell’inquinamento, come abbiamo raccontato in questo articolo.

tavola periodica dell'abbondanza

La tavola periodica dell’abbondanza mostra la disponibilità degli elementi chimici sulla Terra e i problemi ambientali e sociali legati al loro approvvigionamento