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Chemofobia: perché la chimica fa paura?

Molte etichette enfatizzano l’assenza di sostanze chimiche al loro interno: ecco perché questa affermazione assurda ci rassicura

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«Questo prodotto non contiene sostanze chimiche». Magari non ricordate dove, ma da qualche parte avete letto un’affermazione simile. A meno che ci stiano vendendo confezioni vuote – ma letteralmente vuote, neanche piene d’aria – della chimica c’è per forza. Chi fa la spesa, però, non sembra gradirla e questo molti esperti di marketing lo sanno molto bene. Così vengono esaltate la presenza di prodotti di origine naturale e l’assenza di prodotti sintetici. È la chemofobia, cioè la paura che sembriamo avere nei confronti di tutto ciò che è legato alla chimica.

Cosa spaventa della chimica?

Un massiccio lavoro della Royal Society of Chemistry del 2015 ha permesso di fare dei grossi passi avanti nella comprensione del fenomeno. Per esempio, sappiamo che gli abitanti del Regno Unito non sembrano avere paura della chimica intesa come disciplina. Per carità, non li esalta, ma nemmeno li spaventa. Almeno la chimica non è sotto attacco. Allora magari hanno paura dei chimici? No, non sembrerebbe. Anzi, vengono visti di buon occhio, si crede che diano un contributo positivo alla società e all’economia e, al massimo, vengono visti come un po’ spocchiosi. Allora hanno paura delle sostanze chimiche? Esatto. La disciplina e chi la pratica non preoccupano: è il prodotto a far paura.

Una ricerca condotta su otto Paesi europei da un gruppo di studiosi e studiose di Zurigo ha fatto emergere un dato piuttosto significativo. Il 39% degli europei afferma di voler vivere in un mondo senza sostanze chimiche. Quindi, a leggere questo risultato, sembrerebbe che quasi 4 europei su 10 non vorrebbero esistere. Infatti non si può vivere in un mondo senza sostanze chimiche visto che tutto è fatto di sostanze chimiche: l’acqua è una sostanza chimica, l’aria che respiriamo è una miscela di sostanze chimiche, noi stessi siamo fatti di sostanze chimiche e rimaniamo in vita grazie a un continuo turbinio di reazioni chimiche.

Ma un’altra domanda della ricerca ha fatto emergere il vero problema. È stato chiesto alle persone di associare una sensazione positiva o negativa a tre elementi:

  • sostanze chimiche;
  • sostanze chimiche di sintesi;
  • sostanze chimiche naturali.

I risultati mostrano punteggi negativi tanto per sostanze chimiche quanto per sostanze chimiche di sintesi, mentre punteggi positivi per sostanze chimiche naturali. Forse si è trovato l’inghippo. Quando le persone sentono (e dicono) sostanze chimiche pensano subito a di sintesi. Possiamo quindi rileggere il risultato di prima come «il 39% degli europei afferma di voler vivere in un mondo senza sostanze chimiche (di sintesi)». Il problema della chemofobia viene decisamente ridimensionato, pur rimanendo un grave problema. La società come la conosciamo oggi non sarebbe possibile senza sostanze chimiche di sintesi. Non stareste nemmeno leggendo questo articolo senza un’innumerevole quantità di composti sintetici diversi che permettono il funzionamento dei nostri dispositivi elettronici. Per non parlare di farmaci, colle, vernici, detergenti, plastiche, resine, fibre, ecc.

Quando è nata la chemofobia?

A questo punto potremmo liquidare la questione con un «la gente è ignorante» e non pensarci più. Ma anche in questo caso si tratta di una risposta troppo facile. Diversi autori hanno cercato di identificare un momento nella storia in cui sia nata la chemofobia. Ci sono diverse teorie, ma quella che riscuote maggiori consensi ha identificato una data simbolica molto precisa: il 1962, con l’uscita del libro Primavera Silenziosa di Rachel Carson. Quel libro è stato indicato anche come punto di partenza dell’ambientalismo moderno. Quindi la stessa opera ha messo in relazione due fenomeni, che non sono altro che i due lati di una stessa medaglia. L’ambientalismo, infatti, porta con sé un sovra-scetticismo nei confronti dei prodotti di sintesi.

In realtà è tutta la seconda metà del Novecento a dare ottime ragioni per non fidarsi troppo dell’industria chimica: tra gli anni ’50 e ’60 si è consumata la tragedia del talidomide, con la nascita di oltre diecimila bambini con gravi malformazioni; nel 1974 si sono identificati i clorofluorocarburi (o CFC) come responsabili del buco dell’ozono; nel 1976 è avvenuto il disastro di Seveso con la dispersione di una nube di diossina; nel 1984 c’è stato il rilascio di isocianato di metile a Bophal, in India, che ha causato migliaia di morti.

La somma di questi disastri e l’approccio sbagliato dell’industria chimica, che molto (troppo) spesso sminuiva, nascondeva o negava i fatti, ha incrinato il rapporto tra la cittadinanza e la chimica di sintesi. La chemofobia affonda le sue radici in una preoccupazione legittima e del tutto razionale. Questo va riconosciuto. Ciò non toglie che c’è una bella differenza tra un sano scetticismo e il voler vivere in un mondo senza sostanze chimiche (di sintesi).

La soluzione non sarà né semplice né immediata. C’è un rapporto di fiducia da ricostruire, che non può prescindere dalla trasparenza nella comunicazione. L’altra parte passa dall’educazione. Vedere il mondo con gli occhi della chimica e possedere delle nozioni base di tossicologia può davvero aiutarci ad affrontare la nostra chemofobia.

Se vuoi leggere una recensione di Primavera silenziosa di Rachel Carson, scritta da Pietro Bassi nel suo blog Biblioteca 42, clicca qui.
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L’indagine è stata svolta su 5631 cittadini che vivono in Austria, Francia, Germania, Italia, Polonia, Regno Unito, Svezia e Svizzera

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