Il clima del pianeta sta cambiando a causa delle emissioni di gas serra legate alle attività antropiche, la comunità scientifica è ormai largamente concorde su questo punto. Dunque se vogliamo che la Terra continui a essere un luogo ospitale e abitabile anche in futuro è necessario, anzi urgente, agire con lo scopo di limitare queste emissioni, trovando soluzioni alternative a quelle messe in campo in passato. In due parole, questo processo prende il nome di transizione energetica o transizione ecologica.
Attualmente, però, la transizione energetica grava in maniera sostanziale sull’utilizzo di batterie agli ioni di litio per l’alimentazione di veicoli elettrici e anche per l’accumulo di energia ottenuta da fonti rinnovabili. Ma il litio non può essere l’unica soluzione: a causa della sua distribuzione geografica, delle difficoltà legate alla sua estrazione e soprattutto della domanda in costante crescita, il litio è stato classificato nel 2022 come elemento “sempre più a rischio per il crescente utilizzo”. In altre parole, il litio a nostra disposizione non è poco in assoluto, ma non è sufficiente per sostenere da solo gli obiettivi globali legati al processo di transizione energetica.
La buona notizia è che le alternative alle batterie al litio esistono: alcune sono in fase di studio, altre sono già a uno stadio più avanzato. Giampaolo Lacarbonara, assegnista di ricerca presso il dipartimento di chimica “Giacomo Ciamician” dell’Università di Bologna, ci aiuta a fare il punto e a capire vantaggi e svantaggi di queste opzioni alternative. Lacarbonara conduce la propria attività di ricerca all’interno del laboratorio di elettrochimica dei materiali per l’energetica.
L’appeal del litio, fra vantaggi, svantaggi ed evoluzioni
Ma facciamo un passo indietro: cosa rende il litio così “attraente” per la costruzione di batterie? Perché la maggior parte delle batterie ricaricabili ad oggi presenti sul mercato si basa su questo elemento?
Il litio è il metallo più leggero della tavola periodica ed è anche uno dei più elettropositivi. Questo significa che, in una cella, le proprietà chimiche del litio consentono di accumulare molta energia in un volume limitato.
Come anticipato, però, il litio a nostra disposizione non è sufficiente per sostenere da solo gli obiettivi legati alla transizione energetica. Inoltre, il problema riguarda anche altri elementi. Le prime batterie agli ioni di litio contenevano anche la cobaltite di litio, ovvero un ossido misto di cobalto e litio, e il cobalto presenta problemi di approvvigionamento forse ancor più gravi di quelli legati all’estrazione del litio, sia dal punto di vista economico che da quello etico ed ambientale. Anche in questo caso, la buona notizia è che esistono delle alternative e l’evoluzione delle batterie litio-ione sta in effetti andando nella direzione di sostituire il cobalto con elementi più abbondanti e caratterizzati da una distribuzione geografica meno problematica, come il nichel, il manganese e il ferro.
Ci sono già auto elettriche commerciali dotate di batterie agli ioni di litio che sfruttano elementi diversi dal cobalto. Parliamo in particolare delle litio-ferro-fosfato. Al momento sono varianti con autonomia più limitata, perché sono in grado di accumulare una minore quantità di energia per unità di volume.
Le alternative che “assomigliano” al litio
Per quanto riguarda invece le alternative al litio stesso, esistono (o sono allo studio) sia batterie che ereditano una chimica paragonabile alle litio-ione, sia batterie basate su celle con architettura completamente diversa. Nel primo caso, sodio e potassio sono i candidati più studiati e promettenti: all’interno della tavola periodica questi due elementi sono infatti i “vicini di casa” del litio, col quale condividono diverse caratteristiche chimiche. Proprio per questo motivo, spiega ancora Lacarbonara, le batterie agli ioni del sodio e del potassio possono ereditare molte delle conoscenze accumulate per il litio nel corso degli anni, in termini di materiali, elettroliti, componenti e, più in generale, di chimica della cella. Alcune di queste soluzioni si stanno gradualmente avvicinando alla commercializzazione:
Le batterie agli ioni di sodio sono già state proposte dalla CATL per l’alimentazione di veicoli elettrici, anche se, al momento, non si riescono ancora ad ottenere densità di energia paragonabili a quelle che caratterizzano le litio-ione. Per esempio, le celle sodio-ione proposte da CATL hanno una densità di energia pari a 160 Wh/kg, contro i 200 Wh/kg di una batteria al litio-ferro-fosfato. Ma l’obiettivo è quello di eguagliare queste performance.
Per quanto riguarda il potassio, lo sviluppo tecnologico delle batterie è leggermente più indietro. Si tratta di un elemento più pesante sia del sodio che del litio, per cui la densità di energia delle batterie basate su di esso è ancora inferiore rispetto a quella che si riesce ad ottenere con le sodio-ione. Però ci sono anche dei vantaggi:
Le batterie agli ioni di potassio possono essere adatte a situazioni che richiedono una maggiore potenza. Questo perché i fenomeni di diffusione che si verificano all’interno di questo tipo di batterie sono un po’ più veloci.
Una chimica completamente diversa
In generale, le litio-ione e le alternative che si basano su una chimica paragonabile sono particolarmente adatte per il settore automotive e per la portabilità, proprio perché consentono di accumulare una discreta quantità di energia in uno spazio relativamente ridotto. Esistono però anche applicazioni per cui le esigenze in termini di spazio, e quindi di densità di energia, sono diverse. Se parliamo infatti di batterie da utilizzare all’interno di un parco eolico o di un parco fotovoltaico, il limite dello spazio è meno stringente.
In questo caso si possono sfruttare architetture di cella completamente diverse, come quelle che caratterizzano le batterie redox a flusso.
Un vantaggio, tra l’altro, è che le redox a flusso sfruttano per lo più elettroliti acquosi, a differenza delle litio-ione che spesso si basano su elettroliti organici. Questi ultimi non possono contenere acqua, nemmeno in tracce, e ciò comporta dei costi di produzione molto più elevati.
La chiave è la diversificazione
Le batterie redox a flusso sono state studiate a partire dagli anni ’80 ed erano inizialmente basate sul vanadio.
Da lì sono nate anche tante altre alternative basate su zinco o cerio, elementi meno tossici del vanadio, oppure su rame e ferro, per i quali esiste una catena del valore europea. Quello verso cui stiamo andando è un futuro diversificato. Fino ad oggi abbiamo pensato di usare le batterie al litio ovunque, ma, se così fosse, dovremmo già l’anno prossimo raddoppiare la produzione globale di litio per sostenere gli obiettivi di transizione energetica posti per il 2050.
Ovviamente se tutto lo stazionario non dovesse più gravitare solo sul litio ma anche su vanadio, zinco, cerio, rame e ferro, e se per le city car che non richiedono un’elevata autonomia usassimo batterie agli ioni di sodio o di potassio, la fetta di energia da ‘caricare sulle spalle’ del litio diminuirebbe tantissimo. In conclusione, secondo Giampaolo Lacarbonara, per l’immediato futuro non potremo avvalerci di una sola tecnologia e dipendere da un solo materiale:
Ci saranno comunque applicazioni per cui la batteria al litio rimarrà un punto di riferimento. Però la chiave sarà quella di diversificare i sistemi di accumulo in base alle specifiche applicazioni e alle esigenze che ne conseguono.
Anche le batterie degli smartphone si basano sulla tecnologia litio-ione (immagine: Tyler Lastovich su Unsplash)
Il crescente mercato della mobilità elettrica sta trainando l’aumento della richiesta di accumulatori (immagine: Eren Goldman su Unsplash)
In questa fotografia aerea della NASA sono ben visibili i siti di estrazione di litio nel deserto Atacama, in Cile (immagine: NASA via Wikipedia)