Sebbene non sia ancora entrato nel linguaggio comune, il termine climate litigation si sta facendo spazio nel discorso pubblico sulla crisi climatica e sulle sue possibili soluzioni. Indica l’insieme di azioni legali intraprese da individui, organizzazioni o governi per affrontare il cambiamento climatico, chiamando in causa le responsabilità di chi contribuisce maggiormente al riscaldamento del pianeta. Le cause legali possono riguardare istituzioni governative, aziende o altre entità che non hanno preso misure adeguate per limitare o prevenire i danni associati all’innalzamento delle temperature globali.
Negli ultimi anni, il numero di azioni legali direttamente legate alla crisi climatica è aumentato in maniera significativa: secondo il Global Climate Litigation Report del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), nel 2023 vi erano oltre 2.184 cause in tutto il mondo. Nel 2017 erano state soltanto 884, mentre nel 2020 erano 1550.
Questa crescita riflette un cambiamento nella consapevolezza globale riguardo alla gravità della crisi climatica. La climate litigation si sta affermando come uno strumento fondamentale per spingere le istituzioni e le imprese a intraprendere azioni concrete e responsabili. Si tratta di azioni “formali”, capaci di aumentare la pressione sociale per garantire un ambiente più sicuro e una maggiore protezione per le generazioni future.
Le cause contro Stati e aziende fossili
Se da una parte la climate litigation appare sempre più come una risorsa cruciale per affrontare la crisi climatica, forzando le autorità e le grandi aziende a rispondere delle loro azioni (o inazioni), non si tratta però solo di una questione di regolamentazione ambientale: le cause legali toccano infatti aspetti profondi della giustizia, dei diritti umani e della sostenibilità. In questo contesto, sono i cittadini, spesso sostenuti da ONG, a giocare un ruolo chiave nel portare avanti le istanze di giustizia climatica.
Le basi giuridiche di queste cause variano, ma spesso si fondano su principi di diritto costituzionale, violazioni di trattati internazionali o inadempimenti rispetto agli impegni assunti dagli Stati. Sempre più frequenti sono i ricorsi che richiamano i diritti fondamentali, come il diritto alla salute e a un ambiente sicuro. I tribunali stanno diventando i luoghi dove avviene il riconoscimento delle responsabilità e dove germogliano e nascono le idee per le misure più efficaci da adottare contro la crisi climatica e ambientale.
Le azioni legali non riguardano soltanto i governi, ma anche le grandi aziende, in particolare quelle del settore dei combustibili fossili, che sono tra i maggiori contributori alle emissioni di gas serra. Queste imprese sono accusate di alimentare la crisi climatica e, in molti casi, di non fare abbastanza per ridurre il proprio impatto ambientale. Le cause intentate contro ExxonMobil e Shell mirano a obbligare queste aziende ad adottare pratiche più sostenibili, contribuendo in maniera davvero sostanziale a una transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Le prime sentenze storiche
Tra i casi che hanno segnato l’evoluzione della climate litigation, uno dei più importanti è quello che, nel 2007, ha visto contrapposti il Massachusetts insieme ad altri undici Stati degli USA, e l’Agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense (EPA). La Corte Suprema degli Stati Uniti, in quel caso, ha stabilito che sarebbe dovuto essere compito dell’EPA quello di regolamentare le emissioni di gas serra e di qualsiasi inquinante atmosferico che possa mettere in pericolo la salute o il benessere pubblico. Questa sentenza ha rappresentato un punto di svolta, riconoscendo formalmente che un organo di governo federale dovesse intervenire attivamente contro il riscaldamento globale. È stato il primo caso che ha riconosciuto nel cambiamento climatico una minaccia concreta, che richiede una risposta normativa e una pronta azione.
Un altro caso di grande rilevanza è stato quello cominciato nel 2013, che ha visto protagonisti Urgenda Foundation (una fondazione senza scopo di lucro) e il governo dei Paesi Bassi. Nel 2015, la sentenza ha obbligato lo Stato ad adoperarsi per ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 25% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990. È stata una delle prime sentenze a stabilire un obbligo giuridico per i governi di proteggere i cittadini dai danni climatici, basato sia sui diritti umani sia sulle responsabilità internazionali. Questo caso è divenuto un riferimento per altre giurisdizioni in tutto il mondo e ha rafforzato la percezione che i tribunali possano svolgere un ruolo determinante nel promuovere politiche più ambiziose e tempestive nella lotta contro il cambiamento climatico.
Di grande rilevanza è il caso storico, in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la Svizzera viola i diritti umani dei suoi cittadini a causa di un’azione inadeguata sul cambiamento climatico. Nel 2016, un gruppo di oltre duemila donne svizzere ha intrapreso la causa contro lo Stato, chiedendo una migliore protezione della salute delle donne anziane in relazione al riscaldamento globale e in particolare alle ondate di calore a cui le persone di età avanzata sono più vulnerabili. La sentenza della Corte è vincolante e può avere un’influenza sui procedimenti in corso nei 46 Paesi europei membri del Consiglio d’Europa.
Le cause climatiche in corso in Italia
Anche nel nostro Paese la climate litigation sta cominciando a entrare nei tribunali. I due casi che sono emersi negli ultimi anni evidenziano come anche la società civile italiana stia adottando questo strumento per affrontare la crisi climatica.
Nel 2021 l’organizzazione ambientalista A Sud ha intentato causa contro lo Stato italiano per contestare la mancata attuazione da parte del governo degli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti a livello internazionale, in particolare in riferimento agli impegni dell’Accordo di Parigi. Questa causa mira a obbligare il governo a prendere misure concrete e urgenti per ridurre le emissioni di gas serra, rispettando gli obiettivi climatici europei. Nel febbraio 2024 è arrivata la sentenza: la causa è inammissibile per difetto di giurisdizione. In altre parole, il tribunale ha stabilito che non ha competenza per esprimersi in merito.
Nel maggio 2024, Greenpeace Italia, ReCommon e dodici persone italiane hanno invece dato via a una causa nei confronti di ENI, del Ministero dell’Economia e della Cassa depositi e prestiti. L’intento dell’azione legale è obbligare ENI a rivedere la sua strategia industriale per ridurre le emissioni di gas serra in linea con l’Accordo di Parigi.
L’impatto di una condanna
Un eventuale verdetto favorevole nei confronti di chi ha intentato una causa climatica potrebbe avere ripercussioni importanti. Sul piano pratico, potrebbe obbligare governi e grandi aziende a intraprendere azioni più incisive per ridurre le emissioni e promuovere politiche più sostenibili; sul piano simbolico, sentenze del genere invierebbero e inviano un forte segnale di responsabilità: la lotta al cambiamento climatico non è più una questione rinviabile o secondaria. Ogni caso potrebbe inoltre ispirare altri Paesi a seguire l'esempio e ad avviare azioni legali simili, creando una rete globale di responsabilità condivisa.
Un risultato di questo tipo potrebbe avere un impatto anche sulle politiche climatiche a lungo termine, inducendo i governi a considerare la crisi climatica una questione prioritaria. Inoltre, il coinvolgimento crescente dei tribunali potrebbe fornire uno strumento potente per garantire maggiore trasparenza e responsabilità nelle scelte ambientali. La climate litigation, se così contestualizzata, potrebbe diventare un catalizzatore di cambiamenti significativi.
Una questione di giustizia climatica
Determinare chi è responsabile per la crisi climatica non è tuttavia semplice. I Paesi industrializzati hanno contribuito maggiormente alle emissioni storiche di gas serra, ma sono spesso i Paesi emergenti a soffrire maggiormente delle conseguenze, pur avendo una minore impronta ecologica. Questo squilibrio solleva questioni di giustizia climatica, che sono sempre più spesso affrontate attraverso cause legali.
Le aziende del settore dei combustibili fossili sono al centro di molte di queste controversie, accusate (spesso a ragione) di aver nascosto o minimizzato gli effetti dannosi delle loro attività sul clima. Le cause contro giganti come ExxonMobil oppure Shell cercano di portare alla luce queste responsabilità, chiedendo non solo risarcimenti, ma anche una trasformazione delle loro pratiche industriali.
La pressione della società civile ha giocato un ruolo fondamentale nell’espansione della climate litigation. Si tratta di un lungo percorso fatto da movimenti globali e locali, che hanno catalizzato una mobilitazione di massa per richiedere azioni immediate e concrete volte a fermare la crisi climatica. Questo fervore ha creato un terreno fertile per lo sviluppo di nuove strategie come la climate litigation, che oggi è divenuta uno strumento legittimo e necessario nel contrasto al riscaldamento globale.
Numero di casi di climate litigation nel mondo, suddivisi per Paese (fonte: UN Global Climate Litigation Report 2023, pagine 16 e 17)
Donne in marcia per il clima a una manifestazione in Svizzera nel 2019 (immagine: Hadi/Wikimedia)
Bambini manifestano per avere giustizia climatica alla March for Science di Saint Paul, Minnesota (Stati Uniti), 2017 (immagine: Wikipedia / autore: Di Lorie Shaull, CC BY-SA 2.0)