Le statistiche sui rischi
La diatriba ha spinto a interrogarsi su quali siano le modalità più efficaci per valutare e comunicare i rischi delle vaccinazioni, che in assenza di farmaci specifici restano l’unica opzione disponibile per superare l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia. Gli esperti valutano l’entità di un rischio (R) in termini probabilistici tramite il prodotto fra due fattori: la pericolosità (P), ovvero la frequenza di un evento avverso, e l’entità del danno causato (D), misurata in termini di vittime o di perdite economiche:R = P x D
Nel caso del vaccino AstraZeneca si stima che l’evento avverso (la forma rara di trombosi) si verifichi all’incirca una volta ogni centomila vaccinazioni. Talvolta, purtroppo, con esito fatale. Fino al 22 marzo, a fronte di circa 25 milioni di dosi somministrate nell’Unione Europea e nel Regno Unito, l’EMA aveva riscontrato 86 casi di trombosi correlate al vaccino e 18 vittime. L’approccio statistico è molto potente perché consente di “misurare” un’entità sfuggente come il rischio e di soppesare in termini quantitativi la gravità delle diverse minacce a cui siamo esposti. Adottando questo modello, diversi esperti si sono prodigati in paragoni con altri rischi, spesso nel tentativo di mostrare che nella nostra vita accettiamo tacitamente pericoli ben più gravi di quelli posti dalle vaccinazioni.Confrontare i rischi
È stato ad esempio suggerito come sia più probabile sviluppare una trombosi assumendo un’aspirina o fumando. Oppure che volare in aereo è cento volte più pericoloso che vaccinarsi; figuriamoci viaggiare in automobile. Sebbene possiamo presumere che il confronto sia corretto in termini statistici, si tratta però di paragoni impropri e talvolta fuorvianti. Le trombosi sono infatti piuttosto frequenti, ma nel caso del vaccino AstraZeneca è coinvolta una forma specifica che si presenta assai raramente nella popolazione generale. È questo del resto che ha fatto scattare il campanello d’allarme della farmacovigilanza. Anche il paragone tra un farmaco e un vaccino può risultare improprio dal punto di vista percettivo perché ricorriamo a un medicinale quando stiamo male e accettiamo l’eventualità degli effetti collaterali in virtù del sollievo immediato che abbiamo in cambio, mentre nel caso dei vaccini dobbiamo accettare di esporci a un rischio quando siamo in salute e in virtù di un beneficio futuro non percepibile nell’immediato. Il divario si accentua paragonando un farmaco che ci è famigliare e ha effetti collaterali ben conosciuti come l’aspirina, con un nuovo vaccino appena arrivato sul mercato. Se poi il confronto viene esteso a pericoli di tutt’altra natura come gli incidenti aerei o automobilistici, si finisce per dare l’impressione di voler confrontare le mele con le pere a scopo più persuasivo che informativo, con il risultato di incrinare la fiducia.Soppesare rischi e benefici
Gli esperti del Winton Centre for Risk and Evidence Communication dell’Università di Cambridge (Regno Unito) hanno seguito un approccio più sofisticato per spiegare il rapporto fra rischi e benefici della vaccinazione con il preparato di AstraZeneca. La capacità del vaccino di prevenire i ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 è stata messa a confronto con il rischio di trombosi correlate alla vaccinazione, tenendo però in considerazione che la probabilità di ammalarsi e di sviluppare sintomi gravi aumenta sia con l’età sia con la circolazione del coronavirus SARS-CoV-2 nella popolazione.
Il confronto fra rischi e benefici del vaccino di AstraZeneca nelle diverse classi di età in uno scenario di (A) alta circolazione virale e (B) bassa circolazione virale. I benefici (in blu) sono espressi in termini di ricoveri in terapia intensiva evitati grazie al vaccino ogni centomila persone, mentre i rischi (in arancione) sono espressi con i casi di trombosi ogni centomila persone vaccinate. (immagini: Winton Centre - Cambridge University)
Esaminando i risultati si può osservare a colpo d’occhio come nella gran parte dei casi i benefici superano nettamente i rischi, soprattutto quando la circolazione virale è elevata. I vantaggi offerti dalla vaccinazione decrescono però con l’età, fino ad annullarsi per i più giovani in uno scenario di bassa circolazione virale. Per questo motivo diversi Paesi, inclusa l’Italia, hanno deciso di raccomandare il vaccino di AstraZeneca solo a chi ha più di sessant’anni, contando anche sulla disponibilità di altri vaccini che finora non hanno evidenziato eventi avversi altrettanto gravi.
Un’analisi analoga è stata effettuata in seguito anche dall’EMA sulla base dei dati europei, confrontando il rischio di trombosi con l’efficacia del vaccino di AstraZeneca nel prevenire ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi. Le conclusioni sono simili: rispetto ai ricoveri ospedalieri, negli scenari a più alta circolazione virale i vantaggi sono evidenti per tutte le fasce di età, ma tendono a diminuire in modo marcato tra i più giovani. Se la circolazione virale è bassa, il rapporto si inverte e la vaccinazione non offre vantaggi a chi ha meno di 60 anni.
Il confronto fra rischi e benefici del vaccino di AstraZeneca realizzato dall’EMA. (A) In uno scenario di alta circolazione virale, i benefici (in blu) superano i rischi (in rosso) per tutte le fasce di età, ma il divario è meno marcato nei più giovani. (B) In uno scenario di bassa circolazione virale, il rapporto si inverte per chi ha meno di 60 anni. (immagini: EMA)