La perdita di biodiversità per cause antropiche è tra le più gravi emergenze ambientali della nostra epoca: secondo una ricerca appena pubblicata sulla rivista scientifica PNAS, le specie scompaiono a una velocità 35 volte superiore al tasso medio di estinzione che si è avuto nell’ultimo milione di anni. L’estinzione di massa in corso non è però qualcosa di distante, esotico. È universale: colpisce ovunque creature grandi e piccole, rare e comuni. Compreso il gruppo di animali più di successo della Terra, gli insetti. Una crisi silenziosa, di cui sappiamo ancora poco, ma che mette a rischio la sopravvivenza di tutti gli ecosistemi terrestri.
Cosa sta succedendo agli insetti?
«È abbastanza chiaro che le nostre farfalle stanno scomparendo in fretta»: lo osservò già nel 1880 lo scrittore Archibald Henry Swinton. Vari entomologi per decenni accumularono aneddoti – come il fatto che con gli anni gli insetti spiaccicati sui parabrezza delle auto fossero sistematicamente sempre meno – e sempre più dati sul calo di diverse categorie di insetti – come le farfalle in Gran Bretagna o gli impollinatori in Nord America – si sono addensati tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. A far suonare l’allarme però furono due rapporti apparsi nel 2017 e nel 2018. Il primo riportava che la biomassa totale di insetti volanti in 63 aree protette in Germania era crollata del 75% tra 1989 e 2016. Il secondo descriveva un tracollo del 90% nella biomassa di insetti nella foresta tropicale di Luquillo (Puerto Rico) tra il 1976 e il 2012. Da lì in poi, i media e la comunità scientifica iniziarono a parlare apertamente di «apocalisse degli insetti».
Oggi il quadro è più sfumato. In Europa l’abbondanza di insetti sta probabilmente diminuendo a un tasso medio di circa l’1% all’anno, mentre sul Nord America ci sono dati contrastanti. Gli stessi studi mostrano che le popolazioni di insetti legati agli ambienti acquatici, in molti casi, sembrano stabili o addirittura in ripresa. Da «apocalisse» siamo passati a «crisi», ma il quadro non è rassicurante. Il problema è che con il termine «insetti» riassumiamo una strabiliante diversità di forme, habitat, strategie ecologiche, che reagiscono quindi diversamente ai cambiamenti dell’ambiente e del clima. E le singole categorie note di insetti in crisi sono sempre di più; solo per fare alcuni esempi, stanno calando le popolazioni degli scarabei carabidi e delle falene del Regno Unito, così come i coleotteri delle foreste del New Hampshire, negli Stati Uniti, o i ditteri della Groenlandia. Metà delle specie di farfalle di Singapore sono scomparse in 160 anni. Anche altri artropodi terrestri, come i ragni, in alcune località sono in forte diminuzione.
Si fa presto a dire insetti
Uno studio del 2023 ha analizzato cosa renda le specie più o meno vulnerabili. Gli insetti piccoli ed erbivori se la cavano meglio; viceversa i predatori e le specie più grandi sono più a rischio. Spesso le specie di insetti più adattabili e generaliste prendono il sopravvento su quelle con preferenze più ristrette. In Svezia uno studio del 2011 aveva riscontrato che tra i coleotteri mangiatori di legno 32 specie sono in crescita, ma 26 sono in calo e 5-10 specie sono probabilmente già estinte nel Paese. Allo stesso modo in Arizona e in Ecuador l’abbondanza complessiva delle falene è costante, ma se alcune famiglie aumentano altre scompaiono. Inoltre le specie che riescono a prosperare possono essere dannose; un esempio è l’aumento della popolazione degli scarabei del legno come il bostrico in Usa, capaci di mettere a repentaglio la salute delle foreste. Un falso mito è che a rischio siano le comuni api del miele (Apis mellifera): queste possono anzi competere con altre specie di impollinatori.
Un panorama più preciso non c’è, perché mancano dati. La maggior parte dei censimenti dell’entomofauna vengono da Europa e Stati Uniti, mentre sappiamo pochissimo delle faune tropicali, che ospitano la grande maggioranza della biodiversità di insetti. Raramente sono disponibili dati su intervalli di tempo superiori ai 20 anni. Dove ci sono, spesso sono limitati a poche specie o gruppi di insetti ben studiati, come le farfalle, mentre poco o nulla si sa di altri, meno appariscenti o facilmente censibili. Del resto, si calcola che abbiamo classificato solo il 20% delle specie di insetti; esiste quindi tutta una «biodiversità oscura» la cui salute ci è ignota. Conosciamo 70 specie di insetti estinte negli ultimi 600 anni, ma probabilmente ne sono scomparse decine di migliaia.
Le cause del declino
Le minacce che gli insetti devono affrontare nell’Antropocene sono molteplici, tanto che c’è chi ha parlato di «morte da mille ferite». Su tutte, lo stravolgimento degli habitat dovuto all’attività umana, in particolare all’agricoltura intensiva. Che non solo rimuove interi habitat naturali, per esempio con la deforestazione, ma elimina anche i microambienti come siepi e macchie e altera il suolo. Pesticidi e fungicidi sono tossici per gli insetti e, qualora non li uccidano direttamente, ne possono indebolire le difese immunitarie o pregiudicare lo sviluppo: In Italia tra i colpiti ci sono, per esempio, gli impollinatori (api selvatiche, bombi, farfalle). I pesticidi penetrano nei corsi d’acqua e compromettono lo sviluppo di insetti acquatici come libellule e tricotteri, nonché altri artropodi come i crostacei. Infine, l’impiego di fertilizzanti sintetici in agricoltura riversa flussi incontrollati di azoto e fosforo nell’ambiente, con impatti negativi sugli ecosistemi e sugli insetti acquatici, ma che si riverbera anche su aracnidi e insetti terrestri.
Le specie invasive possono avere effetti devastanti. I ratti introdotti in Australia e Nuova Zelanda hanno estinto o messo in grave pericolo numerosi insetti indigeni come gli insetti stecco giganti o i weta. Le libellule del Sud Africa sono state colpite dall’introduzione di predatori acquatici alieni come le trote. Ridurre la diffusione di piante invasive e mantenere la ricchezza della flora nativa, incluse le piante considerate infestanti per le colture, è altrettanto importante: anche per questo motivo gli erbicidi possono avere un impatto peggiore perfino dei pesticidi. In generale, l’introduzione di flora estranea è un fattore di rischio: in Germania, il rimboschimento con alberi non nativi è uno dei principali fattori correlati al declino di specie di insetti, e in Sud Africa mette in pericolo gli insetti legati all’acqua dolce.
Il riscaldamento globale è un fattore sempre più critico. Gli insetti tropicali, abituati a un clima stabile e già caldo, sono particolarmente sensibili, assieme alle specie montane. La maggiore variabilità climatica sembra essere un ulteriore fattore di rischio. Il cambiamento del clima è correlato a un crollo dell’80% dell’abbondanza di mosche nell’Artico, come al declino di lepidotteri e coleotteri in Europa e negli Stati Uniti. Alcune specie possono viceversa trarre beneficio dall’aumento delle temperature, ad esempio ampliando il proprio areale, ma di rado tale effetto è in grado di contrastare il declino indotto dalle altre cause.
Che effetti potrebbe avere?
Al centro di praticamente tutti gli ecosistemi terrestri, gli insetti forniscono una quantità di servizi ecosistemici immensa, equivalente, secondo una stima del 2006, a 57 miliardi di dollari nei soli Stati Uniti. Si va dall’impollinazione alla degradazione delle carcasse, dal controllo biologico dei parassiti al nutrimento che gli insetti forniscono ad altre specie economicamente importanti. Il collasso degli impollinatori, per esempio, avrebbe gravi conseguenze economiche e sociali, colpendo soprattutto le fasce economicamente più deboli; solo in Brasile il danno potrebbe essere di 5-15 miliardi di dollari all’anno.
Già oggi si osservano inoltre complessi effetti a catena sugli ecosistemi. Nel Regno Unito e in Olanda, secondo uno studio del 2006, le piante selvatiche che dipendono da insetti impollinatori stavano declinando in concomitanza con gli impollinatori stessi, scesi anche del 55% a partire dagli anni Ottanta. Nel Nord America, la popolazione degli uccelli insettivori è diminuita del 12% negli ultimi 50 anni, mentre le altre specie di uccelli sono stabili. L’impatto dei pesticidi neonicotinoidi sugli insetti acquatici e sul zooplancton ha portato a un calo parallelo delle popolazioni di pesci insettivori in Giappone. Finora le conseguenze non sono state catastrofiche, ma è possibile sia una tregua temporanea. Gli ecosistemi non rispondono gradatamente alle alterazioni. Vanno invece incontro a cambiamenti repentini e irreversibili quando vengono danneggiati oltre una certa soglia.
Le possibili soluzioni
La povertà di dati su diverse categorie tassonomiche, e su cause e trend demografici degli insetti rende difficili, in gran parte dei casi, misure specifiche di contrasto. Ciò nonostante, diversi ricercatori hanno proposto una serie di misure no-regret (letteralmente, «senza rimpianti», cioè meritevoli di essere perseguite in ogni caso per i loro intrinseci benefici). Il recupero delle popolazioni di insetti legati agli ecosistemi d’acqua dolce, per esempio, correlato alle norme di difesa ambientale introdotte negli anni Novanta, dimostra come un intervento ecologico generale abbia avuto conseguenze positive per gli insetti.
Grazie alle piccole dimensioni degli insetti è spesso possibile intervenire in modo semplice, anche in aree fortemente antropizzate. Perfino aiuole, singoli alberi o siepi di pochi metri possono fornire habitat o fonti di cibo essenziali. Ambienti “umili” come le aree verdi ai bordi delle vie di comunicazione possono essere fondamentali; per esempio le zone lasciate incolte ai lati delle ferrovie possono essere corridoi ecologici essenziali per la sopravvivenza di coleotteri altrimenti in pericolo e per gli impollinatori. Nelle città, ambienti capaci di sostenere gli insetti sono stagni, alberi di grandi dimensioni e soprattutto parchi pubblici ricchi in specie vegetali native; in queste condizioni i parchi cittadini possono perfino diventare rifugi per specie rare.
Anche mantenere zone non coltivate, come siepi ai bordi dei campi o prati di erba da fieno, può essere molto utile. L’agricoltura biologica, riducendo i pesticidi, promuove una maggiore diversità di insetti. Fondamentale è che i vari ambienti disponibili agli insetti contengano una flora nativa il più biodiversa possibile, e che siano connessi tra loro, non frammentati, così che le varie popolazioni possano espandersi e spostarsi da un’area all’altra.
Perché la società metta in atto questi e altri interventi, è necessario però secondo molti ricercatori avvicinare il pubblico al valore positivo, sia intrinseco sia pratico, degli insetti. Percepiti come un fastidio a causa di una minoranza di specie dannose, sono in realtà pilastro degli ecosistemi terrestri, e il più grande caleidoscopio della vita sul nostro pianeta.
“Insects, butterflies, and a grasshopper” (Insetti, farfalle e una cavalletta), disegno di Jan van Kessel, XVII secolo (immagine: Wikimedia Commons)
Una striscia di flora selvatica tra due campi di cereali, un esempio di ripristino di habitat favorevoli agli insetti in un ambiente agricolo (immagine: Wikimedia Commons)
Illustrazione della locusta delle Montagne Rocciose, Melanoplus spretus. Un tempo estremamente abbondante, al punto da essere perniciosa per le colture, si è estinta nei primi anni del XX secolo a causa dell’aratura e dell’irrigazione che distruggevano le uova (immagine: Wikimedia Commons)
Un weta gigante della Nuova Zelanda. Quasi estinto a causa dell’introduzione dei ratti nell’arcipelago neozelandese, ora la specie è in ripresa su alcune isole e in riserve naturali, dove mammiferi predatori e allevamenti sono stati eliminati (immagine: Wikimedia Commons)
Componenti essenziali per la tutela degli insetti negli ambienti urbani (da Samways et. al. Solutions for humanity on how to conserve insects Biological Conservation 242 (2020) [Fonte: Science Direct; licenza CC-BY-NC-ND https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/]