La sera di domenica 2 dicembre 1973 il comico Franco Franchi, ospite di Pippo Baudo nella popolare trasmissione Canzonissima, entrò in scena in sella a una bicicletta, apparentemente sfinito, e disse al conduttore: «Ma proprio oggi mi dovevi invitare? Io vengo da Palermo!». La gag dell’attore siciliano celebrava quella che era stata la prima domenica di austerity in Italia, una domenica nella quale era vietato muoversi con automobili private o veicoli a motore non autorizzati.
Era una delle misure decise dal governo italiano guidato dal democristiano Mariano Rumor per far fronte allo shock petrolifero, un evento che oggi viene visto come uno spartiacque della storia contemporanea italiana. Da lì si innescò una crisi che sancì la fine di un periodo di robusta crescita, il cosiddetto “boom economico”, che sembrava senza fine. Col senno del poi, possiamo affermare che quella crisi diede origine a una serie di problemi strutturali del nostro Paese che stiamo tuttora faticosamente affrontando.
L’età dell’oro: 1949-1973
Il periodo che va tra il 1949 e il 1973 coincise in Italia e in molti paesi occidentali con un periodo di crescita rapida e sostenuta, definito spesso “età dell’oro”. Grande protagonista di questa golden age novecentesca fu il petrolio, che si affermò come la principale fonte energetica in Occidente in ambiti quali l’industria petrolchimica, il riscaldamento delle case e i trasporti. Europa e Giappone erano fortemente dipendenti dalle importazioni di petrolio, mentre gli Stati Uniti furono a lungo autarchici, potendo sfruttare giacimenti presenti sul proprio territorio. Verso la fine degli anni Sessanta, però, anche gli USA iniziarono a importare greggio per soddisfare un bisogno interno sempre più crescente.
Negli anni Cinquanta e Sessanta il petrolio mantenne prezzi incredibilmente bassi nonostante il consumo di “oro nero” fosse in costante espansione. Si stima che tra il 1948 e il 1973 il consumo mondiale di greggio aumentò tra le sei e le otto volte, mentre i prezzi al barile rimasero a lungo bassi e stabili, almeno fino al 1971. Si realizzava così un perfetto equilibrio: le compagnie produttrici registravano margini di profitto molto alti e i consumatori, dalle industrie ai privati, pagavano prezzi estremamente contenuti. Com’era possibile questo equilibrio?
Le Sette Sorelle
Prima di rispondere, occorre fare un passo indietro e introdurre le grandi protagoniste del mercato petrolifero dell’età dell’oro: le Sette Sorelle. Si tratta di un termine coniato da Enrico Mattei che definisce sette compagnie petrolifere, cinque americane (Exxon, Mobil, Gulf Oil, Socal e Texaco), e due europee (Shell e British Petroleum). Queste aziende erano tutte nate tra la fine del XIX secolo e i primi anni del Novecento, ma erano diventate dei veri e propri colossi tra gli anni Venti e Quaranta.
Durante la golden age, le Sette Sorelle controllavano il mercato del petrolio in ogni sua fase: estrazione, produzione, raffinazione. Secondo diversi analisti, come riporta Francesco Petrini nel fondamentale saggio La crisi energetica del 1973, le Sette Sorelle avevano anche un ruolo istituzionale in politica estera. I governi dei Paesi di appartenenza (USA, Regno Unito e Paesi Bassi) demandavano di fatto a queste compagnie anche un ruolo attivo nella politica estera nelle relazioni con i paesi esportatori, in particolare con i paesi del Medio Oriente.
I margini di profitto
A metà della golden age, nel 1960, il greggio costava 1,63 dollari al barile: un prezzo che assicurava alle Sette Sorelle un margine di profitto di oltre il 50%[1]. I costi di estrazione erano di soli 18 centesimi di dollaro al barile, mentre le royalties garantite ai governi (di Arabia Saudita, Iran, Iraq e Kuwait) ammontavano a circa 77 centesimi al barile. Ampi profitti per le compagnie e prezzi bassi per i consumatori erano quindi possibili perché il prezzo di questo “uovo di Colombo” poggiava tutto sui Paesi esportatori. Inoltre, la produzione di greggio negli anni Sessanta galoppava a ritmi elevati, superando anche la domanda stessa di petrolio. I profitti si mantennero alti per tutti gli anni Sessanta, ma a ben vedere fu più un effetto della sovrapproduzione che di una reale crescita. Segno che qualcosa stava per cambiare.
L’OPEC e le tensioni geopolitiche
Nel settembre 1960 venne istituita l’OPEC, acronimo che sta per Organization of the Petroleum Exporting Countries. I paesi fondatori erano l’Iraq, l’Iran, l’Arabia Saudita, il Kuwait e il Venezuela. Nel 2022 l’OPEC conta 13 paesi affiliati.
Lo scopo dell’OPEC, negli anni Sessanta, era quello di riuscire a creare un cartello di paesi produttori capace di fare da contrappeso al potere delle Sette Sorelle. Di fatto, i paesi associati speravano di rompere un equilibrio fatto di guadagni alti per le Sette Sorelle e di prezzi bassi per i consumatori occidentali, ma di scarsi profitti e soprattutto di scarso controllo politico sulle risorse energetiche per quegli stessi Paesi esportatori. Nel 1968 l’OPEC rese nota una Dichiarazione della politica petrolifera nei paesi membri, nella quale affermava «il diritto inalienabile di tutti i paesi di esercitare la sovranità permanente sulle proprie risorse naturali nell'interesse del proprio sviluppo nazionale».
I paesi esportatori esigettero delle trattative per ottenere dalle Sette Sorelle un mercato riequilibrato, con costi di concessione rivisti al rialzo e maggior controllo strategico per i paesi OPEC sulle loro risorse naturali.
Le trattative del 1971
Nel 1971 l’OPEC – divisa su due fronti, uno più “moderato”, guidato da Iran e Arabia Saudita e uno più “massimalista”, composto da Iraq, Libia e Algeria – portò avanti una serie di trattative parallele per ottenere una maggiore influenza strategica sulle risorse naturali dell’area e limitare lo strapotere delle Sette Sorelle. Come detto, le compagnie petrolifere occidentali non erano solo portatrici di interessi economici, ma giocavano di fatto un ruolo diplomatico al quale, forse, non erano del tutto preparate.
Inoltre, le Sette Sorelle non seppero, e forse non vollero, opporre resistenza alle richieste dell’OPEC. Con i paesi “moderati” le Sette Sorelle accettarono un immediato aumento di 35 centesimi di dollaro al barile come royalties e un aumento di 5 centesimi annui per i cinque anni seguenti, più un adeguamento all’inflazione. Con i paesi “massimalisti” l’accordo fu di aumentare il prezzo di acquisto dai paesi produttori (posted price) da 2,55 dollari al barile a 3,447 nel quinquennio successivo. Già alla fine del 1971, i margini di profitto delle Sette Sorelle e delle industrie petrolifere minori che si erano sedute al tavolo delle trattive segnarono un netto rialzo. Evidentemente, l’accordo con i due blocchi di paesi OPEC non fu conveniente solo per quei paesi, ma anche per le stesse compagnie.
A pagare questi aumenti sarebbero stati i paesi importatori e, di conseguenza, industrie e cittadini. Paesi europei fortemente dipendenti dal petrolio, come l’Italia, erano quindi molto esposti in caso di aumento dei prezzi e, di conseguenza, lo furono ancora di più a seguito alla stretta delle esportazioni decisa dai paesi arabi in occasione della guerra del Kippur.
La Guerra del Kippur
Il 6 ottobre 1973 Egitto e Siria attaccarono congiuntamente Israele dando il via alla cosiddetta Guerra del Kippur, così nominata in quanto in quel 6 ottobre cadeva la festa ebraica dello Yom Kippur. Il presidente egiziano Anwar el-Sadat puntava a riconquistare la penisola del Sinai, persa dal suo paese nella Guerra dei sei giorni, combattuta tra il 5 e il 10 giugno del 1967. In quel conflitto la compagine araba composta da Egitto, Giordania e Siria uscì sonoramente sconfitta. Nel 1973 Egitto e Siria cercarono di recuperare i terreni persi – la Siria aveva perso le alture del Golan – attaccando improvvisamente Israele, che nelle prime fasi dell’attacco fu effettivamente colto di sorpresa dall’offensiva dei nemici.
In occasione di questa guerra, gli Stati Uniti si confermarono alleati cruciali per Israele, che riuscì poi a rispondere all’attacco e a tornare in controllo dell’area. In tutta risposta, i paesi arabi produttori di petrolio decisero di schierarsi al fianco di Egitto e Siria boicottando il principale alleato dello stato ebraico, gli USA. I paesi arabi imposero un blocco delle esportazioni di petrolio non solo agli stessi USA, ma anche a Regno Unito e Paesi Bassi.
L’embargo fece aumentare di colpo il prezzo del petrolio sul mercato globale di quattro volte, salendo da circa 3 dollari al barile a 12 nei primi mesi del 1974. Sebbene la decisione possa sembrare improvvisa, in realtà l’escalation provocata dalla guerra del Kippur non fece che portare a estreme conseguenze una serie di tensioni che serpeggiavano – e forse è un eufemismo – almeno da un decennio, e che si erano poi inasprite ulteriormente nel 1971, anno a cui diversi analisti fanno risalire il vero inizio della crisi energetica che ha poi segnato la fine della golden age e l’avvio di decenni di grandi incertezze.
L’austerità
I paesi importatori, quindi gli alleati europei degli Stati Uniti, ma anche il Giappone e in una certa misura gli stessi USA, si videro costretti a emanare delle leggi volte a limitare il consumo energetico. Quella serie di leggi è passata alla storia con il nome di austerity, un termine tornato poi prepotentemente di moda negli anni Dieci del Duemila in occasione della crisi del debito sovrano che ha colpito l’Eurozona.
Nel novembre 1973 il governo Rumor emanò una serie di misure atte a contrastare lo shock petrolifero. I veicoli privati non potevano circolare la domenica, pena una multa che poteva ammontare fino a un milione di lire. Nacquero così le cosiddette “domeniche a piedi”: come testimoniato da molte riprese dell’epoca, italiane e italiani si riversarono nelle strade in sella alle loro biciclette o affollando autobus pubblici che garantivano gli spostamenti, altrimenti impediti. Fu abbassato a 120 km/h il limite di velocità in autostrada. Furono ridotte le ore di illuminazione pubblica nelle strade, limitati gli orari di apertura delle pompe di benzina e di tutti i negozi, fu stabilita l’anticipazione della chiusura delle emissioni televisive alle 22:45 e il telegiornale di Raiuno fu programmato alle 20 invece che alle 20:30.
La televisione pubblica ebbe un grande ruolo nel comunicare e raccontare alla cittadinanza queste misure a loro modo storiche. Non a caso, la popolare trasmissione Canzonissima del 2 dicembre 1973 ospitò la gag di Franco Franchi – nella quale diceva di essere arrivato agli studi romani della Rai direttamente in bicicletta da Palermo – e anche l’esibizione del cantante Tony Santagata, che intonò il brano satirico Austerity: “S’abbassa la corrente, di voltaggio/ bisogna risparmiare fino a maggio!”.
Nella primavera del 1974 furono poi organizzate le domeniche delle “targhe alterne”, che consentirono un utilizzo – seppur parziale – della flotta delle automobili private.
Le conseguenze della crisi
L’epilogo di questa storia forse è ancora tutto da scrivere. In Italia la fine della golden age e la conseguente crisi economica dovuta alla stagflazione – ovvero una crisi nella produzione industriale che aveva sofferto lo shock petrolifero, a cui si aggiunse una pesante inflazione che galoppò anche per tutti gli anni Ottanta – innescò una serie di squilibri strutturali che ancora oggi contraddistinguono il nostro Paese. Non va scordato che negli anni Settanta l’Italia visse anche quelli che oggi chiamiamo “gli anni di piombo”, attraversati da enormi tensioni sociali, attentati sanguinosi ed eventi drammatici.
Lo Stato italiano rispose alla crisi economica e alle tensioni sociali con una forte espansione della spesa pubblica. Da un lato, essa servì a finanziare importanti strutture di welfare come il Servizio Sanitario Nazionale, che nacque proprio in quegli anni. Dall’altro lato, però, a causa di misure assistenzialistiche e clientelari più che di reale welfare, contribuì a far innalzare molto velocemente il debito pubblico senza risultare davvero utile come manovra espansiva di sostegno all’economia. Il debito pubblico iniziò così a salire a livelli estremamente alti: negli anni Settanta era all’incirca calcolato intorno al 50-60% del PIL. A metà degli anni Novanta toccò la soglia del 120% del PIL. Nel 2020, anno segnato dalla pandemia di Covid-19, ha raggiunto il 150%.
E oggi?
A determinare l’attuale situazione italiana concorrono e hanno concorso tanti altri fattori ed eventi che esulano dallo shock petrolifero del 1973. Tuttavia, non si può non notare come quella crisi mise in evidenza i primi effetti concreti di quella che gli economisti chiamano “seconda globalizzazione”, che ha mostrato tutta la sua influenza sugli scenari mondiali soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda e a cavallo del nuovo millennio.
Il 2 dicembre del 1973 gli italiani si ritrovarono così a passeggiare in sella alla loro bicicletta, a camminare per le città prive di veicoli e ad affollare autobus per una serie di intricate questioni internazionali, economiche, strategiche e belliche che ancora oggi fanno sentire il loro peso sulle nostre spalle.
A distanza di quasi mezzo secolo, e con contesti geopolitici ed economici del tutto diversi, la guerra russo-ucraina ha riportato d’attualità la questione dell’approvvigionamento energetico, soprattutto quando essa è legata a precari equilibri geopolitici come quelli che intercorrono tra i paesi dell’Unione Europea e la Russia di Vladimir Putin. La situazione italiana è ancora una volta una delle più delicate. Quasi cinquant’anni dopo l’austerity e la successiva crisi economica, l’Italia è a oggi in ritardo sul versante energetico, appiattita su una scarsa capacità di differenziare le proprie fonti energetiche e le forniture.
[1] La fonte di questi numeri è il testo Genie out of the Bottle dell’economista M.A. Adelman, riportato da Francesco Petrini in La crisi energetica del 1973. Le multinazionali del petrolio e la fine dell’età dell’oro (nero) in Contemporanea, Vol. 15, No. 3, luglio-settembre 2012, pag.455, Bologna, Il Mulino.
Due rappresentanti dell’OPEC negli anni Settanta. Fonte: Wikimedia Commons
Anche altri paesi nel mondo intrapresero politiche di austerità in risposta all'embargo. Negli Stati Uniti, per esempio, i benzinai limitarono l'accesso agli automobilisti o agli autotrasportatori. Fonte: Wikimedia Commons/National Archives
Il generale Avraham Adan guidò la controffensiva israeliana verso il canale di Suez nell'ottobre 1973 Fonte: Wikimedia Commons/National Library of Israel