Il cambiamento climatico ha conseguenze sull’ambiente che ci circonda e sul nostro benessere, per esempio il progressivo aumento delle temperature, l’aumento del livello degli oceani e il verificarsi con maggiore frequenza ed intensità di eventi climatici estremi, come alluvioni, ondate di calore, incendi. Questi fenomeni possono provocare danni agli edifici, alle infrastrutture, agli impianti produttivi, alle produzioni agricole e all’intero sistema economico, oltre ad avere gravi conseguenze per la nostra salute.
Il rischio che si verifichino danni a seguito di eventi estremi legati ai cambiamenti climatici si chiama rischio fisico. Secondo IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite), se l’aumento della temperatura globale dovesse superare i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, il rischio fisico aumenterebbe a tal punto da provocare un cambiamento irreversibile e catastrofico, che metterebbe a rischio intere popolazioni.
Come possiamo limitare il rischio fisico?
Secondo la comunità scientifica occorre contenere e stabilizzare l’incremento della temperatura media rispetto ai livelli preindustriali attorno a 1,5 °C entro la fine di questo secolo. Per raggiungere questo obiettivo occorre abbattere drasticamente le emissioni di gas serra da subito e arrivare entro il 2050 a una situazione in cui l’attività umana non provochi modifiche al clima. Ciò si ottiene azzerando le nostre emissioni nette di gas serra nell’atmosfera, ma questo non è affatto semplice.
In termini economici, è molto impegnativo e costoso modificare i processi produttivi. Per arrivare alla neutralità climatica occorre trasformare profondamente i nostri modi di produrre e di consumare e ciò richiede enormi investimenti in tecnologia e infrastrutture. Tutti i settori economici sono coinvolti in questa trasformazione: l’agricoltura, la produzione di energia, i trasporti e i settori industriali, in particolare quelli che utilizzano di più l’energia e i derivati delle fonti fossili, come i produttori di cemento e acciaio. Anche le nostre abitazioni devono trasformarsi, per diventare sempre più efficienti dal punto di vista dei consumi energetici.
A fronte del costo che ciascun settore sopporta, il beneficio che si ottiene è aver contribuito a preservare le generazioni future dalla catastrofe climatica; quindi lo sforzo che mettiamo in campo per modificare oggi i nostri comportamenti nocivi per l’ambiente dipende da quanto è importante per noi la cura delle generazioni future. L’importanza che una società attribuisce a politiche pubbliche che comportano un costo oggi a fronte di benefici futuri si misura con il tasso di sconto sociale, cioè il tasso a cui una società è disposta a scambiare i benefici presenti con quelli futuri.
Vediamo un esempio semplificato. Ipotizziamo che una società decida di investire oggi 100 € in energie rinnovabili. Il beneficio di questa spesa si concretizzerà in un ambiente migliore di quello che si avrebbe altrimenti e quindi in minori danni futuri. Stimiamo che questo si concretizzi in un guadagno di 150 € tra 30 anni. Il tasso di sconto sociale ci permette di confrontare il beneficio di 150 € tra 30 anni con il costo di 100 € oggi. Tanto più questo tasso è basso tanto maggiore sarà il valore attualizzato a oggi del beneficio futuro.
Come possiamo intensificare la lotta al cambiamento climatico?
L’ambiente è un bene pubblico globale soggetto a condizionamenti esterni (o esternalità) positivi e negativi. Un bene pubblico globale è un bene che può essere fruito da chiunque in modo non esclusivo e ha effetti positivi su tutto il pianeta. Può essere sottoposto a condizionamenti positivi, come la creazione di aree protette, che generano vantaggi, e a condizionamenti negativi, come le emissioni di gas serra che provocano i cambiamenti climatici e tutto ciò che ne deriva. Ma proprio perché è un bene pubblico, cioè non appartiene in via esclusiva a nessuno, tutti vorremmo trarne benefici senza dover pagare i condizionamenti negativi che generiamo con le nostre attività.
Quali sono le implicazioni? La prima implicazione è che si tende a produrre pochi beni pubblici e a eccedere con i condizionamenti negativi, contando sul fatto che qualcun altro al nostro posto se ne prenderà cura. Per superare questi ostacoli e ridurre i condizionamenti negativi occorre far pagare un prezzo a chi li genera, per esempio introducendo il principio che “chi inquina paga”. Tanto maggiore sarà il prezzo delle emissioni nocive, tanto minore tenderà a essere la loro produzione da parte dei privati, che avranno invece un incentivo a investire in soluzioni eco-sostenibili. Per questo sono tanto attuali parole come carbon tax e cap and trade. La carbon tax, o tassa del carbonio, colpisce le emissioni di anidride carbonica (CO2), il più importante gas serra. I meccanismi di cap and trade prevedono l’imposizione di un tetto alle emissioni di CO2 a cui viene associato un mercato per acquistare o vendere i permessi di emissione.
La seconda implicazione è che, affinché i benefici che derivano dall’ambiente per le generazioni future valgano quanto quelli delle generazioni presenti, occorre agire subito, attribuendo un tasso di sconto sociale pari a zero.
Agire subito e secondo politiche di decarbonizzazione ben definite è importante per ridurre i rischi di transizione, cioè i rischi connessi al passaggio da un sistema energetico basato sull’utilizzo di fonti fossili a un modello che ne riduce l’intensità. Questi rischi possono essere legati per esempio:
- all’improvvisa perdita di valore di alcune attività economiche;
- all’improvvisa carenza di alcuni beni e servizi;
- all’aumento eccessivo dei prezzi dell’energia in conseguenza delle politiche ambientali.
Chi deve garantire il rispetto delle politiche di decarbonizzazione?
La comunità globale deve agire insieme in maniera coordinata e cooperativa. Occorre cioè scoraggiare comportamenti opportunistici da parte di alcuni a danno di tutti. I Paesi maggiormente responsabili delle emissioni globali oggi sono Cina (31%), Stati Uniti (13,5%), Unione Europea (7,5%) e India (7,3%). Se questi Paesi agissero in maniera coordinata e cooperativa per raggiungere la neutralità climatica attorno alla metà del secolo, le emissioni di gas serra incontrollate sarebbero ancora poco meno della metà di quelle attuali; ciò significa che non basta.
Inoltre, questo espone i Paesi al rischio concreto che le imprese più inquinanti che operano in questi Paesi – e che dovrebbero sostenere i costi più alti per abbattere le proprie emissioni – decidano di andare a produrre nei Paesi che non hanno preso impegni a favore dell’ambiente. Questo «trasferimento» di emissioni è chiamato carbon leakage e, se accadesse, gli sforzi degli Stati sarebbero totalmente vanificati.
Occorre quindi fare in modo che tutti i Paesi del mondo si accordino in difesa dell’ambiente. Per questo motivo la comunità internazionale sta lavorando intensamente per raggiungere degli accordi vincolanti globali attraverso conferenze annuali, chiamate Conference of the Parties (COP), dove gli impegni dei Paesi più ricchi, che sono anche quelli che nel tempo hanno contribuito di più all’accumulo di gas serra nell’atmosfera, prevedono anche il supporto finanziario ai Paesi in via di sviluppo per sopportare il costo della transizione verso la neutralità carbonica.
Quali sono le iniziative economiche contro il cambiamento climatico?
Per scoraggiare il fenomeno del carbon leakage e creare gli incentivi per un coordinamento globale degli sforzi, il premio Nobel per l’economia William Nordhaus ha lanciato la proposta di creare un club del clima. I paesi che entrano a far parte del club si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra imponendo un prezzo in cambio di benefici, come per esempio condizioni vantaggiose per gli scambi commerciali. Chi resta fuori dal club rimane invece penalizzato, attraverso sanzioni e dazi talmente elevati da incentivare la partecipazione al club.
Nell’ambito degli accordi globali, l’Unione Europea si è impegnata a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Tra le tante misure che accompagnano il piano elaborato dall’Unione Europea per raggiungere questo obiettivo, c’è anche la possibilità di introdurre dei dazi nei confronti dei beni importati da Paesi che impongono un prezzo al carbonio più basso di quello europeo, secondo un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere.
Che cos’è la finanza sostenibile?
Il processo di transizione verso modelli di sviluppo più sostenibili è accompagnato anche dalla rapida crescita della finanza sostenibile, un ecosistema in cui gli operatori tengono conto di temi ambientali, sociali e di governance (conosciuti con l'acronimo ESG) nelle decisioni di investimento.
Il segmento più sviluppato è proprio quello della finanza verde, che canalizza i risparmi privati verso investimenti ecosostenibili. Come per qualsiasi altro strumento finanziario (azioni, obbligazioni, titoli di stato), oltre agli aspetti etici, occorre sempre fare attenzione al rischio e al rendimento: maggiore è il rendimento, maggiore sarà il rischio di non vedersi rimborsato in tutto o in parte il capitale investito.
Nel caso degli strumenti finanziari sostenibili occorre anche tenere in considerazione il rischio di greenwashing, cioè la possibilità che l’emittente presenti come ecosostenibili attività o prodotti che invece non lo sono. Per tutelare gli investitori da questo rischio e guidare imprese e autorità la Commissione Europea ha elaborato una tassonomia delle attività economiche sostenibili, cioè un sistema di classificazione che elenca le attività economiche ecosostenibili e fornisce una definizione esatta di ciò che può essere considerato tale.
- Il lato oscuro della transizione energetica di Alessio Giacometti;
- Cos’è il greenwashing e come riconoscerlo di Giancarlo Sturloni.