Il 13 dicembre 2022 il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha annunciato che al Lawrence Livermore National Laboratory, dove si trova la National Ignition Facility, è stata raggiunta la prima reazione di fusione nucleare della storia con guadagno di energia. Per la comunità scientica, che rincorre questo obiettivo da almeno 60 anni, si tratta di un evento memorabile per almeno due ragioni: la prima è che siamo riusciti a riprodurre sulla Terra la reazione nucleare con la quale le stelle producono energia; la seconda è che questo risultato potrebbe essere il primo passo verso l’utilizzo della fusione nucleare per la produzione di energia a scopi civili. Ed è proprio la possibilità di utilizzare la fusione nucleare come fonte green per la produzione, per esempio, di energia elettrica ad aver attratto l’attenzione dei media.
Ma che cos’è la fusione nucleare? Con quali tecniche è stata ottenuta al Lawrence Livermore National Laboratory? E soprattutto, può davvero essere una strada percorribile per la produzione di energia a basso impatto ambientale? Per cercare di dare una risposta a queste domande abbiamo incontrato Ugo Amaldi, fisico nucleare che ha trascorso quarant’anni al CERN di Ginevra. Presidente dal 1992 della Fondazione TERA, il professor Amaldi ha progettato il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia, tra i primi centri di ricerca italiani a offrire questa di terapia.
Fissione nucleare e fusione nucleare a confronto
L’energia prodotta dalla fissione nucleare, cioè dalla divisione dei nuclei di atomi pesanti come l’uranio e il plutonio, è alla base del funzionamento delle centrali nucleari oggi impiegate per la produzione di energia elettrica. La tecnologia e il funzionamento dei reattori a fissione è migliorata nel corso degli anni, sia per ottimizzare l’utilizzo del combustibile nucleare, sia per ridurre al minimo l’eventualità di incidenti, che nei casi peggiori, come a Chernobyl nel 1986 e a Fukushima nel 2011, possono avere conseguenze gravi per gli ecosistemi e le persone.
Uno dei problemi ancora aperti della fissione nucleare è la gestione delle scorie che si producono a valle dei processi di fissione, che possono restare radioattive anche per milioni di anni. Da questo punto di vista la fusione nucleare, che produce energia fondendo nuclei molto leggeri per formare nuclei più pesanti, fornirebbe non pochi vantaggi. In questo caso infatti i residui della reazione sono nuclei stabili, cioè non radioattivi. Ma ascoltiamo dalle parole del professor Amaldi quali sono i meccanismi alla base dei due processi nucleari.
Fusione nucleare a confinamento magnetico
Cadarache, nel sud della Francia, è la sede del progetto ITER, una vasta collaborazione internazionale che ha come obiettivo la costruzione di un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale in grado di sviluppare una potenza maggiore di quella utilizzata per il suo funzionamento.
All’interno del reattore ITER, una miscela gassosa di deuterio e trizio verrà trasformata in un plasma che raggiungerà temperature prossime a 100 milioni di gradi, necessarie per innescare i processi di fusione. Nessun contenitore resiste a queste condizioni estreme; per questa ragione il combustibile nucleare deve essere confinato all’interno di un campo magnetico. Come ci racconta Ugo Amaldi, si tratta di una sfida affascinante, ma molto ardua da vincere.
Fusione nucleare a confinamento inerziale
L’altra tecnica sperimentale pensata per raggiungere la fusione nucleare è detta “a confinamento inerziale”. Al momento è la strada che ci ha portato verso i risultati migliori, perché è proprio la tecnica utilizzata al Lawrence Livermore National Laboratory. Anche in questo caso tutto parte da una miscela di deuterio e trizio, questa volta contenuta all’interno di un cilindretto d’oro di pochi centimetri. A questo punto entrano in gioco 192 fasci laser, che colpiscono contemporaneamente il cilindretto d’oro, comprimendo la miscela di deuterio e trizio migliaia di volte. Ma facciamoci guidare nel cuore della National Ignition Facility da Ugo Amaldi.
Il bilancio energetico della prima fusione nucleare
Quando si parla di produzione energetica con sistemi sperimentali sosfisticati come quelli del laboratorio Lawrence Livermore, occorre sempre fare i conti con l’energia totale impiegata per mettere in moto “la macchina”. In questo caso, se è vero che l’energia guadagnata nel processo di fusione è superiore a quella trasferita alla miscela di deuterio e trizio, è vero anche che l’energia spesa per azionare i fasci laser è molto più grande di quella ottenuta nel processo di fusione.
Ma di quanta energia parliamo? Quali sono gli ordini di grandezza delle energie in gioco? E soprattutto, quanto deve migliorare l’efficienza dei fasci laser affinché tutto il processo risulti vantaggioso in termini energetici? Le parole del professor Amaldi ci aiutano ad averne un’idea.
Uno sguardo verso il futuro
Questi sono i giorni dell’ottimismo per un evento che resterà storico. Ma come ci ha spiegato Ugo Amaldi l’energia prodotta con la tecnica del confinamento inerziale dovrà aumentare di mille volte per compensare l’inefficienza dei laser. Inoltre, in una centrale a fusione connessa alla rete elettrica, si dovranno fare implodere almeno dieci cilindretti al minuto, mentre la National Ignition Facility, al momento, può farne implodere uno o due al giorno.
Con enormi investimenti in personale qualificato e infrastrutture, questi traguardi potrebbero essere raggiunti tra 30-40 anni, troppo tardi per aiutarci ad affrontare la crisi climatica nella quale siamo già immersi. Ma ancora in tempo per disegnare un futuro d’energia verde praticamente illimitata, se nel frattempo saremo stati in grado di far fronte alle emergenze ambientali.