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Giochi con le frontiere

Quanti colori sono sufficienti per una carta geografica politica? E che cos’è l’omotopia di Stato? Le risposte all’incrocio tra geometria e geografia

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Non sappiamo chi sia stato il primo a delimitare un appezzamento di terra. Possiamo però supporre che la geometria, almeno nel senso in cui la intendiamo noi, sia nata proprio per misurare i terreni, all’alba della rivoluzione agricola. I confini insomma sono all’origine della geometria. E sono alla base anche della geografia – o meglio, della branca chiamata geografia politica, per distinguerla da quella fisica (che si occupa invece di coste, monti, pianure, fiumi, isole).

Quattro e non più di quattro

Da molto tempo le carte geografiche sono quasi sempre colorate. Mentre quelle fisiche sono in genere simili fra di loro (con mari e laghi blu, pianure verdi, ghiacciai bianchi), in quelle politiche la scelta dei colori è del tutto arbitraria. Si può rappresentare l’Italia verde, la Spagna rossa e la Francia grigia, oppure l’Italia marrone, la Spagna arancione e la Francia viola: ogni editore sceglie i suoi colori a piacimento. L’unica regola è attribuire colori diversi a Paesi (o regioni, o province) confinanti, per evitare confusioni. Così Italia e Spagna (che non confinano) possono avere lo stesso colore, ma non Italia e Francia, né Francia e Spagna.

Sulla carta stampata i colori hanno un costo, per cui gli editori tendono spesso a non usarne troppi. Ma quando si può dire che sono troppi? Questa domanda è legata a un famoso problema matematico. E come al solito i matematici amano partire da questioni particolari per passare al caso generale. La domanda così diventa: esiste un numero minimo di colori sufficiente per colorare ogni possibile carta politica? È facile osservare che il numero dev’essere almeno 4: basta guardare l’Italia centrale, dove quattro regioni (Toscana, Marche, Umbria e Lazio) confinano ognuna con le altre tre.

La domanda diventa quindi: bastano 4 colori per qualsiasi carta politica? È qui che le cose si fanno difficili: in matematica si chiama problema dei 4 colori, ed è stato enunciato formalmente per la prima volta nel 1852 dal matematico inglese Francis Guthrie.

Innanzitutto bisogna mettere dei paletti su come sono fatte le possibili regioni. Se per esempio una regione è sconnessa, cioè composta da più pezzetti separati fra loro, allora 4 colori possono non bastare.

Se la regione A, colorata in rosso, possiede un pezzo separato dal resto (denotato con a), allora dev’essere rosso anch’esso. Quindi il colore per la regione B non può essere né giallo, né rosso, né blu, né verde: serve un quinto colore (se invece a non facesse parte di A, allora potrebbe essere colorato di blu, e B di rosso). La cosa poi diventa molto più complicata se una regione è composta da numerosi pezzetti anziché solo due: insomma, non se ne esce. Perciò il problema dei 4 colori è stato ristretto al caso in cui ogni regione è connessa.

Ma c’è una seconda difficoltà. Cosa succede se più di quattro regioni si incontrano in un unico punto? Sono cose che possono capitare: per esempio, in Antartide, sette Paesi accampano diritti di sovranità su altrettanti spicchi di Terra che si incontrano al Polo Sud (con alcune sovrapposizioni).

Le rivendicazioni non sono riconosciute a livello internazionale, ma dal punto di vista matematico sollevano la questione. E dato che i matematici considerano i casi generali, lo stesso potrebbe succedere con 24 o 142 spicchi anziché 7. Come regolarsi allora per i colori? La soluzione è escludere dal problema i casi in cui 4 o più regioni si incontrano in un punto, così come sono stati esclusi i territori sconnessi.

Con questi paletti è facile rendersi conto, facendo un po’ di prove, che 4 colori bastano sempre. Ma dimostrarlo in modo rigoroso, come sono tenuti a fare i matematici, è tutta un’altra storia. A dispetto di un enunciato così semplice, il problema è rimasto insoluto per più di un secolo, nonostante molti tentativi. A risolverlo sono stati, nel 1977, due matematici dell’Università dell’Illinois, Kenneth Appel e Wolfgang Haken: il responso è che sì, 4 colori bastano sempre.

La loro dimostrazione però era talmente elaborata che è stata possibile solo grazie all’uso del computer: uno dei primissimi casi del genere nella storia della matematica. All’epoca questo ha suscitato grande scalpore: molti matematici tradizionalisti non volevano ammettere la validità di una dimostrazione che non fosse verificabile da parte di altri matematici umani. Oggi siamo più abituati all’uso degli strumenti informatici, e la maggior parte dei matematici sono ormai disposti ad accettare le dimostrazioni al computer; al massimo, si limitano a trovarle meno eleganti.

Paesi bucati

Per motivi storici, oggi non sempre i Paesi sono connessi. Per esempio l’Italia è sconnessa, perché il comune di Campione d’Italia appartiene alla provincia di Como ma è interamente circondato dalla Svizzera: è un esempio di enclave, cioè appunto una piccola porzione di un Paese interamente circondata da un altro Paese. In pratica, la Svizzera ha un “buco”. Anzi, ne ha due, perché vicino al confine settentrionale con la Germania circonda anche la località tedesca di Büsingen am Hochrein.

In matematica, la proprietà che conta i buchi di una figura geometrica si chiama omotopia. Per esempio, in questa immagine la figura A e la figura B hanno un buco ciascuna, la figura C e la figura D non ne hanno nessuno e la figura E ne ha due. In termini di omotopia, le figure A e B sono equivalenti, così come lo sono fra loro le figure C e D: non contano le dimensioni né le forme, ma solo il numero di buchi.

Applicando l’omotopia alle carte politiche, si può definire una nuova proprietà: l’omotopia di Stato. L’omotopia di Stato della Svizzera dunque è 2. Altri Paesi, come per esempio la Serbia, hanno omotopia di Stato pari a 1, mentre quella del Kirghizistan è 3. L’Italia ha omotopia di Stato 2, perché ha due buchi: la Città del Vaticano e la Repubblica di San Marino. Ma sono buchi speciali, perché ognuno dei due non è parte di un altro Paese, ma l’intero Paese.

Non sono evenienze frequenti. Per esempio il caso della Francia con Monaco non vale: il piccolo Principato si affaccia sul mare, quindi non è interamente circondato dal territorio francese. La Francia (che contiene invece un’enclave spagnola) ha dunque omotopia di Stato uguale a 1.

In alcuni casi però la situazione è molto più complicata: per esempio quella fra Belgio e Paesi Bassi, con 22 enclave del Belgio in territorio olandese e, al loro interno, 7 contro-enclave olandesi (una configurazione ancora più aggrovigliata sussisteva presso il confine fra India e Bangladesh, risolta con una serie di scambi territoriali nel 2015).

Come nel problema dei quattro colori, si può semplificare la questione. Per comodità, definiamo come “omotopia di Stato assoluta” il numero di Paesi interamente circondati, tralasciando le enclave. Cosa resta? L’Italia, certo, a quota 2. L’unico altro Paese ad avere un’omotopia di Stato assoluta diversa da zero è il Sudafrica, che circonda interamente il Lesotho.

Nella classifica mondiale in base all’omotopia di Stato il titolo va ai Paesi Bassi, nettamente in testa a quota 22. Ma se si considera invece l’omotopia di Stato assoluta, l’Italia vince davanti al Sudafrica per 2 a 1, con tutti gli altri fermi a quota zero.

Voronoi, chi era costui?

Con lo sviluppo delle prime civiltà agricole, i piccoli insediamenti umani originari si sono trasformati in città, le quali si sono poi aggregate in nazioni e infine, in alcuni casi, addirittura in imperi. Ormai la geometria non serviva più solo per misurare i terreni, ma anche aree molto più vaste come le province: è a questo punto che si è saldata con la geografia. Il più antico impero multinazionale, quello persiano, era diviso in province (le satrapie) e aveva istituito il primo efficiente sistema postale: due caratteristiche destinate ad avere un futuro comune.

Nel 1790, pochi mesi dopo la presa della Bastiglia, i rivoluzionari francesi hanno ridisegnato la carta geografica politica della Francia in base a principi illuministi: un ordinamento nuovo, laico, razionale, slegato dalla tradizione dell’ancien régime. Fissato un certo numero di città prescelte come capoluoghi, per ognuna di esse il suo dipartimento (cioè l’equivalente della provincia) veniva ritagliato in modo che ogni località al suo interno si trovasse al massimo a un giorno di posta dal capoluogo: un compromesso perfetto fra razionalità e pragmatismo, che – probabilmente in modo inconsapevole – si rifaceva alle invenzioni dei persiani. Si perdevano i legami storici e culturali fra le città, ma questo era visto come un meritorio contributo alla missione di tagliare i ponti con il passato e uniformare tutta la nazione.

La carta politica attuale dei dipartimenti francesi (esclusi quelli d’oltremare) non è troppo diversa da quella del 1790: la maggioranza dei dipartimenti, soprattutto quelli senza coste o confini esteri, sono abbastanza omogenei fra loro per forma e dimensioni, a differenza per esempio delle province italiane, disegnate principalmente secondo criteri storici.

Anche quest’idea è legata a un problema matematico. Il primo a porselo sembra sia stato Cartesio nel 1644, e si può formulare in questi termini: data una porzione del piano e scelto al suo interno un certo numero di punti (che possiamo chiamare punti-base), si tratta di dividerla in altrettante regioni tali che ogni punto di una regione sia più vicino al suo punto-base che a qualunque altro.

Il problema, formalizzato nell’Ottocento dal matematico tedesco Peter Gustav Lejeune Dirichlet, si chiama “tassellazione di Voronoi” dal nome del matematico russo Georgij Feodos’evič Voronoj, che all’inizio del Novecento ha risolto il caso generale (come tendono a fare i matematici): quello in n dimensioni anziché le 2 sole del piano.

L’applicazione più intuitiva riguarda proprio le carte geografiche. Ecco per esempio quella costruita a partire dalle capitali europee (comprese quelle dei microstati come la Città del Vaticano, San Marino, Andorra, eccetera).

A differenza del problema dei quattro colori e dell’omotopia, qui entra in gioco un parametro numerico: la distanza. Del resto la parola geometria, etimologicamente, non vuol dire genericamente “studio della Terra”, ma “misura della Terra”. Se nel caso dei dipartimenti francesi la distanza era calcolata (molto opportunamente) in termini di tempo, qui invece è la normale distanza euclidea fra due punti del piano.

Un’altra piccola differenza sta nel rigore matematico: nella tassellazione di Voronoi ogni punto è attribuito in modo univoco a una regione, mentre nel caso dei dipartimenti una località si poteva trovare a meno di un giorno di posta da due diversi capoluoghi, e in quel caso l’attribuzione diventava arbitraria. A parte questi particolari, l’idea di base è grosso modo la stessa: anche qui geometria e geografia si incontrano in un gioco con le frontiere.

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Toscana, Marche, Umbria e Lazio

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Gli attuali dipartimenti della Francia metropolitana

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La tassellazione di Voronoi dell’Europa (fonte: Illustration based on “World Capitals Voronoi” by Jason Davies (https://www.jasondavies.com/))

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L’omotopia di Stato dell’Italia

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L’omotopia di Stato del Sudafrica

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La carta geografica mostra 16 delle 22 enclave del Belgio nei Paesi Bassi e le 7 contro-enclave olandesi (immagine: Wikipedia – Tos – Own work, Public Domain)

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La tassellazione di Voronoi con 20 punti-base in un quadrato (immagine: Wikipedia – Balu Ertl – Own work, CC BY-SA 4.0)

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Omotopia delle figure piane

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Una regione sconnessa (in rosso)

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Le rivendicazioni territoriali in Antartide

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Il comune di Campione d’Italia (immagine: Wikipedia – Vonvikken, Public domain, via Wikimedia Commons)