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Green Chemistry oggi: bioplastiche, packaging, solventi

A 25 anni dalla formulazione dei principi della chimica sostenibile, vediamo quanta strada ha fatto questa disciplina, oggi in grande ascesa

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Associare il concetto di sostenibilità a una reazione o a un processo chimico potrebbe non risultare del tutto immediato. Spesso gli aggettivi “sintetico” o “chimico” vengono addirittura utilizzati con un’accezione negativa, come se il nostro stesso corpo non sintetizzasse continuamente una enorme varietà di molecole (bio)chimiche. Ma, che si parli di singole reazioni o di interi processi per l’ottenimento di una determinata sostanza, il lavoro di un certo Paul Anastas ha contribuito molto a scardinare l’idea che il mondo della chimica possa soltanto (o soprattutto) essere associato a effetti deleteri dal punto di vista ambientale.

Circa 25 anni fa, Anastas, attualmente direttore del Centre for Green Chemistry and Green Engineering dell’Università di Yale (Stati Uniti), ha infatti ideato i 12 principi fondanti della Green Chemistry (GC), o chimica sostenibile, che sono poi diventati i cardini per chi si occupa di fare ricerca in questo ambito. Dal 1998, anno di pubblicazione del primo libro incentrato su questo tema, ad oggi, i progressi nell’applicazione e nella diffusione di questi principi sono stati molti, come ci ha raccontato Paola Galletti, docente presso il dipartimento di chimica dell’Università di Bologna.

Benign by design

I 12 principi su cui si fonda la GC riassumono molto efficacemente gli aspetti da tenere a mente per rendere una certa reazione o un certo processo chimico il più sostenibile possibile. Per fare un esempio, il primo di questi principi si basa sul concetto del “prevenire è meglio che curare”. Ovvero, prevenire o comunque ridurre la produzione di rifiuti chimici è sempre meglio che trattarli una volta che sono stati generati. Un’idea riassunta molto bene dal motto benign by design, come spiega Galletti:

Si tratta di uno slogan che ha avuto molto successo nel contesto della GC, e che ci ricorda l’importanza di agire a monte, progettando delle sintesi sostenibili e meno impattanti per l’ambiente, provvedendo a sostituire da subito i prodotti che eventualmente lo sono.

Non a caso, con il suo gruppo di ricerca Paola Galletti si occupa di progettare ad esempio processi di sintesi a partire da fonti rinnovabili o che sfruttino materiali e solventi eco-compatibili.

La GC ci fa riflettere soprattutto sul fatto che per rendere sostenibile un processo chimico è necessario occuparsi di ogni singolo aspetto: dalla scelta delle materie prime, alla quantità di energia impiegata, al tipo di processo stesso, fino ai prodotti che si ottengono, incluso il loro fine-vita. Un approccio alla chimica, continua la professoressa Galletti, di tipo riduzionista:

Si tratta di una visione quindi molto più globale rispetto a quella dei 12 principi presi di per sé, che però sono molto efficaci in termini di sintesi e di comunicazione.
Altro concetto importante che cerchiamo sempre di veicolare anche a lezione è che quello della GC è un approccio riduzionista: si tratta di un invito innanzitutto ad utilizzare meno materie prime, meno solventi, meno reagenti, meno energia.

Anche il secondo dei 12 principi riguarda in qualche modo questo aspetto, postulando che le reazioni di sintesi dovrebbero essere progettate in modo da massimizzare l’incorporazione nel prodotto finale di tutti i materiali utilizzati, riducendo di conseguenza gli scarti e gli sprechi. Ovviamente, precisa Galletti:

Mettere in pratica uno o più di questi principi non è una sorta di “garanzia di sostenibilità”. Il punto è che formularli e diffonderli è stato un modo molto efficace per far riflettere la comunità scientifica su questo tipo di problemi.

Contribuire a diffondere un’idea

Questi 12 principi, insieme ai Green Chemistry Challenge Awards, hanno contribuito in modo sostanziale a veicolare i messaggi della chimica sostenibile. I Green Chemistry Challenge Awards, promossi dalla Environmental Protection Agency (EPA) statunitense, sono una sorta di “Nobel” per la chimica sostenibile e vengono assegnati ogni anno a diverse categorie e per diverse tipologie di applicazioni.

Per esempio, quest’anno per la categoria Specific Environmental Benefit-Climate Change (Beneficio Ambientale Specifico-Cambiamento Climatico) è stata premiata un’azienda che ha sviluppato una tecnologia per la conversione dell’anidride carbonica ispirandosi al processo di fotosintesi delle piante. La tecnologia consente infatti di trasformare l’anidride carbonica in molecole più complesse, a partire dalle quali possono essere prodotti carburanti, profumi o altre sostanze, generando ossigeno gassoso come unico sottoprodotto di reazione. Esattamente quello che fanno le piante. Per la categoria Academic, invece, è stato premiato Richard Laine, docente presso il dipartimento di Scienze dei materiali e ingegneria della University of Michigan (Stati Uniti). Laine ha ideato una serie di metodi per riciclare i rifiuti agricoli trasformandoli in prodotti intermedi a base di silice, che possono poi essere sfruttati per la produzione di batterie, condensatori e altre apparecchiature.

Sfide e opportunità

Naturalmente la GC non è priva di sfide: rispetto all’approccio per così dire “classico” pone molti vincoli ad esempio nella scelta dei reagenti, ma anche delle metodologie da utilizzare. Le difficoltà possono inoltre essere legate al grado di purezza del materiale di partenza, specialmente quando si tratta di progettare una sintesi che sfrutta un prodotto di scarto come fonte di reagenti, in un’ottica di economia circolare. Racconta ancora Paola Galletti:

In tutto questo la fortuna è quella di lavorare in un ambiente multidisciplinare, e di poter quindi collaborare con colleghi che si occupano di aspetti diversi dello stesso tema. Per esempio, abbiamo lavorato spesso con chi si occupa di Life Cycle Assessment, abbiamo inoltre colleghi che si occupano di eco-tossicologia e ci hanno supportato nel condurre studi di questo tipo sui solventi e sui prodotti che utilizziamo nel nostro laboratorio.

Il gruppo di ricerca di Paola Galletti sta inoltre collaborando con altri gruppi che si occupano di analizzare l’effetto che determinate sostanze inquinanti possono avere sugli organismi viventi, e con i quali stanno studiando in particolare i possibili effetti degli additivi presenti nelle plastiche e nelle bio-plastiche. Spiega Galletti:

Inizialmente l’interazione può essere estremamente difficile, perché ovviamente tutte queste materie “parlano” lingue diverse. Ma col tempo si impara a comprendersi e l’effetto è molto fruttuoso, anche in termini di progettualità. In più, la ricerca a livello europeo adesso difficilmente è basata su una singola disciplina, è necessario mettere insieme molte competenze diverse anche per ottenere finanziamenti.

Dalla curiosità alle applicazioni

Come ci ha raccontato la professoressa Galletti, fondamentale è anche considerare l’aspetto delle possibili applicazioni su larga scala che i progetti di ricerca nell’ambito della GC possono avere:

Ovviamente si inizia con la ricerca curiosity driven, senza preoccuparsi immediatamente della scala industriale: non avrebbe senso e non sarebbe neanche produttivo. Però in linea generale dedichiamo molta attenzione all’aspetto delle possibili applicazioni, e spesso partecipiamo a progetti in collaborazione con aziende. D’altra parte le idee e le soluzioni che sviluppiamo attraverso questo tipo di ricerca devono puntare ad arrivare al mercato, altrimenti non servono a molto.

E fra i vari progetti di ricerca a cui il laboratorio di Galletti ha partecipato, in collaborazione anche con altri gruppi, uno si è trasformato prima in una spin-off, poi in una piccola startup, fino a diventare una vera e propria azienda indipendente, la B-Plas, che oggi si occupa di commercializzare impianti progettati per ottenere bio-plastiche a partire dai fanghi reflui.

Se vuoi approfondire il tema delle bioplastiche, puoi leggere l’articolo Vita, morte e miracoli delle plastiche biodegradabili.

Un altro esempio di progetto con evidenti risvolti pratici è quello in cui il gruppo guidato da Galletti si è occupato di studiare l’utilizzo di solventi eco-compatibili per suddividere, e quindi poter riciclare, i diversi materiali che costituiscono i contenitori multi-strato. I risultati dello studio, pubblicati quest’anno sulla rivista scientifica Resources, Conservation and Recycling, mostrano che i due materiali presi in esame, il polietilene a bassa densità e l’alluminio, sono stati separati efficacemente attraverso l’uso di solventi a basso impatto ambientale, ottenendo prodotti finali con caratteristiche e proprietà del tutto comparabili a quelle dei due materiali vergini. Non solo, il processo è stato progettato in modo da poter recuperare quasi il 100% delle sostanze impiegate, solventi inclusi.

25 anni di Green ChemisTREE: uno sguardo al futuro

La GC ha fatto molti progressi negli ultimi 25 anni. Oggi ogni ateneo universitario ha di fatto almeno un laboratorio che si occupa di fare ricerca in questo ambito, e anche a livello aziendale c’è una sensibilità certamente più elevata rispetto al passato per quanto riguarda i temi della sostenibilità nel mondo della chimica. Allo stesso tempo ci sono ancora molte cose che si possono migliorare e molte sfide di cui occuparsi, come ricorda Anastas in un articolo pubblicato in occasione del ventesimo compleanno dei 12 principi della GC, di cui è stato il primo ideatore. Nell’articolo, Anastas e colleghi fanno il punto sui risultati ottenuti fino a quel momento, riportando esempi di applicazioni per ognuno dei 12 principi, ma anche le aree di intervento su cui è ancora necessario lavorare. Una riguarda ad esempio le difficoltà relative alla caratterizzazione tossicologica degli intermedi di reazione o dei prodotti secondari.

A corredo della pubblicazione è stato anche ideato un simbolo molto evocativo, il Green ChemisTREE, costituito da un albero i cui rami rappresentano i 12 principi fondanti, e ciascuna foglia un’area di ricerca e sviluppo relativa al “ramo” a cui è attaccata. Un simbolo a cui ispirarsi, guardando al passato con consapevolezza, e con fiducia e spirito di iniziativa al futuro. «Finché la creatività rimarrà una risorsa inesauribile», si legge nella conclusione dell’articolo, «il Green ChemisTREE prospererà».

immagine di copertina: Karl Egger via Pixabay

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I 12 principi della Green Chemistry proposti da Anastas (immagine: Wikimedia Commons)