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L’Italia in Antartide

Climatologia, biologia, geologia, astronomia: il “continente di ghiaccio” è un luogo unico per la ricerca. E il nostro Paese è presente dal 1985

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L’Antartide è il luogo più selvaggio e incontaminato della Terra: un continente più grande dell’Europa, quasi interamente ricoperto dal ghiaccio e pressoché disabitato. Fra la fine della primavera e l’inizio dell’autunno viene visitato da poco più di 10.000 persone, mentre nella stagione più fredda vi rimangono solo un migliaio fra tecnici e ricercatori nelle poche basi abitate permanentemente.

È un deserto dominato dalle infinite sfumature del bianco e dell’azzurro, perennemente spazzato dal vento e con condizioni ambientali estreme. Giganteschi ghiacciai si estendono sul 98% del territorio e conservano il 68% dell’acqua dolce dell’intero pianeta. Sul Plateau Antartico, l’immenso candido altopiano che si sviluppa nell’entroterra superando anche i 4000 metri di altezza, le temperature possono scendere al di sotto dei –80°C.

Le forme di vita si concentrano sulla costa, dove il clima è relativamente più mite. In questa zona vivono sei specie di foche e dodici specie di uccelli, alcuni invertebrati e circa 350 specie di muschi, funghi e licheni. I mari intorno all’Antartide, contrariamente alla terraferma, sono invece ricchissimi di vita; il krill, il gamberetto antartico, sostiene infatti un’abbondante fauna marina, che comprende orche e balene.

Dalla climatologia alla biologia, dalla geologia all’astronomia, l’Antartide offre condizioni uniche per gli studi in moltissimi settori e con la sua superficie di 13 milioni di chilometri quadrati si può considerare il più grande laboratorio naturale del mondo. Per compiervi ricerche serve un considerevole sforzo economico, organizzativo e logistico, ma le ricadute ci riguardano da vicino. Non solo perché ciò che accade laggiù è fondamentale per gli equilibri dell’intero pianeta, a partire da quelli che regolano il clima, ma anche per l’unicità delle attività che vi si possono svolgere. Per questa ragione, un trattato internazionale, il Trattato Antartico, dal 1959 ha sospeso le rivendicazioni territoriali di alcuni Stati e lo ha interamente riservato alle attività pacifiche, in particolare a quelle scientifiche.

L’Italia nel continente del ghiaccio

Esplorazione e scienza furono del resto al centro delle spedizioni in Antartide sin dal 1773, quando il britannico James Cook fu il primo a valicare il Circolo Polare Antartico al comando della nave HMS Resolution. 130 anni dopo, fra il 1903 e il 1904, vi mise piede il primo italiano: la guida alpina valdostana Pierre Dayné, che partecipò alla spedizione del francese Jean-Baptiste Charcot lungo le coste della Penisola Antartica. Dal secondo Dopoguerra, e in particolare dalla fine degli anni ’50, si succedettero varie spedizioni italiane, prima private e poi anche organizzate dal CNR.

L’Italia aderì al Trattato Antartico nel 1981. La sua presenza è continua dal 1985, anno in cui istituì il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA). Oggi è finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e le sue attività sono coordinate dal CNR per la parte scientifica e dall’ENEA per quella logistica. Nella stagione 2022-2023 è stata organizzata la 38esima Spedizione del PNRA, che ha coinvolto circa 240 persone fra scienziati e tecnici.

La Stazione Mario Zucchelli

La prima base italiana costruita in Antartide si trova nella parte orientale del continente, a 74 gradi di latitudine Sud. È la Stazione Mario Zucchelli. Aperta da ottobre a febbraio, dispone di 124 posti letto e 7500 metri quadrati di strutture coperte. È posizionata su una piccola penisola rocciosa sulla costa del Mare di Ross, in una zona di grande interesse scientifico.

Vi si arriva dopo un viaggio lunghissimo, che dall’Italia fa tappa a Christchurch in Nuova Zelanda e poi prosegue a bordo di scomodi e rumorosi aerei cargo militari o di navi rompighiaccio che solcano alcuni dei mari più tempestosi del globo.

L’ecosistema e l’ambiente marino sono al centro di molte ricerche che vi sono condotte. Dai fondali della vicina Tethys Bay alle colonie di pinguini imperatore nell’Area di protezione speciale di Cape Washington, gli scienziati studiano le forme di vita che popolano la regione e valutano gli effetti dei cambiamenti climatici.

A dominare il panorama è il Monte Melbourne, un vulcano attivo alto 2733 metri che ha eruttato per l’ultima volta circa 150 anni fa. Sulla sua cima la caldera ricoperta da una calotta è costellata da fumarole che creano grotte di ghiaccio. Lì i vulcanologi monitorano l’attività vulcanica e i microbiologi cercano microscopiche forme di vita adattatesi a vivere in questi bui e isolati ambienti estremi, dove l’unica fonte di energia è costituita dalle sostanze chimiche emesse dalle fumarole stesse. Individuarne qualcuna fornirebbe anche indicazioni su che tipo di microorganismi potrebbero vivere in ambienti analoghi su altri mondi ricoperti dal ghiaccio, come la luna di Giove Europa o la luna di Saturno Encelado.

Per i geologi la costa del Mare di Ross è anche un luogo ideale per ricostruire il clima del passato. Le sue alte e variopinte falesie sono state create dal susseguirsi delle eruzioni vulcaniche. A ogni strato corrisponde un’eruzione e un tipo di roccia diverso: alcuni si crearono perché il magma incontrò ghiaccio, altri perché incontrò l’aria, altri ancora perché incontrò acqua liquida. Conoscendo l’età delle rocce si può quindi stabilire se all’epoca il clima era più freddo o più caldo di oggi.

Intorno alla Stazione Mario Zucchelli si trovano anche vari osservatori permanenti. Magnetismo terrestre, ionosfera, terremoti, maree, meteorologia, geodesia sono solo alcuni dei temi su cui si concentrano le ricerche che vi sono portate avanti.

La Stazione Concordia

A 1200 chilometri dalla costa e a 3230 metri di quota sul Plateau Antartico, dal 2005 è operativo uno degli avamposti scientifici più remoti del mondo: la Stazione Concordia. Con le sue due grandi torri cilindriche unite da un corridoio coperto e poggiate su un’infinita distesa bianca, ricorda un’astronave atterrata su un altro pianeta.

Gestita congiuntamente dal PNRA italiano e dall’Istituto Polare francese, sorge su una vera e propria macchina del tempo: una calotta di ghiaccio spessa oltre tre chilometri. Il luogo, chiamato Dome C, fu individuato dal progetto EPICA, che lì dagli anni ’90 iniziò a estrarre carote di ghiaccio antichissimo. Le bollicine d’aria intrappolate al loro interno – veri e propri campioni di atmosfera del passato – hanno permesso di ricostruire l’evoluzione del clima negli ultimi 800.000 anni.

Anche oggi la paleoclimatologia è tra i principali settori delle ricerche condotte nella Stazione Concordia. A circa 40 chilometri di distanza, un team internazionale guidato dall’Istituto di Scienze Polari del CNR ha individuato un luogo chiamato Little Dome C che custodisce ghiaccio ancora più antico. Le trivellazioni sono già iniziate e quest’anno hanno superato gli 800 metri di profondità. La speranza è di raggiungere nel giro di qualche anno i 2700 metri di profondità, dove si dovrebbe trovare ghiaccio formatosi addirittura 1,5 milioni di anni.

L’elevata altitudine, la bassissima umidità e la grande trasparenza dell’atmosfera rendono Concordia il luogo ideale anche per le osservazioni astronomiche, soprattutto nel periodo invernale. Altri studi riguardano la sismologia, la fisica dell’atmosfera, l’inquinamento, la medicina e persino la psicologia. Da febbraio a novembre, ogni anno una dozzina di tecnici e ricercatori rimane qui a condurre ricerche in totale isolamento, nel cuore della notte polare e con temperature che scendono anche a –80°C. Li chiamano “gli invernanti”. La loro è una vera prova di resistenza, un’esperienza simile a quella di un equipaggio di un’astronave e per questo l’Agenzia Spaziale Europea li studia per pianificare al meglio le future missioni verso Marte.

La rompighiaccio Laura Bassi

Dal 2019 il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide può contare anche sulla nave rompighiaccio “Laura Bassi”. Di proprietà dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), è utilizzata sia per il trasporto di materiali e persone, sia per le attività di ricerca. Di fatto è una base scientifica galleggiante che consente di effettuare studi in mare aperto, in genere tra la Nuova Zelanda e la Stazione Mario Zucchelli e nelle aree limitrofe.

Tra i campi di ricerca, gli effetti del riscaldamento globale sul ghiaccio marino, lo studio dei fattori che regolano i meccanismi della circolazione oceanica, la raccolta e lo studio dei sedimenti presenti sui fondali.

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La costa del Mare di Ross (foto: Andrea Bettini)

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La nave rompighiaccio Laura Bassi dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale - OGS (immagine: PNRA)

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Panorama antartico (foto: Andrea Bettini)

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Vista del Monte Melbourne (foto: Andrea Bettini)

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All’interno di una grotta di ghiaccio sul Monte Melbourne (foto: Andrea Bettini)

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La Stazione Concordia (fonte: Andrea Bettini)

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Il plateau antartico (foto: Andrea Bettini)

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Distese di neve e ghiaccio (foto: Andrea Bettini)

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La Stazione Mario Zucchelli (foto: Andrea Bettini)